Ciò che si presenta agli occhi di Mademoiselle Henriette Deluzy – Desportes (una giovane Bette Davis) è poco dissimile da quell’inferno. Professoressa di francese in un istituto femminile, affronta la sua prima lezione con nervosismo e titubanza. Fra le alunne c’è un fitto vociferare attorno alla pallida e austera insegnante: qualcuna ha riconosciuto quel viso per troppo tempo comparso sui giornali francesi associato alla parola “delitto”.
Sarà proprio l’affranta Mademoiselle, nel suo fasciante abito nero, a scendere dalla cattedra per impartire alle alunne una lezione del tutto nuova. Racconterà loro la storia di una governante, soffiando vita in un lungo flash back fiabesco meravigliosamente illustrato da una Francia in costume di metà ottocento. Proprio lei, Mademoiselle Deluzy, è la protagonista di questo doloroso ricordo: praticamente sola al mondo e avvezza a cibarsi delle “briciole della felicità altrui”, ha dedicato i propri anni migliori ai figli di ricche famiglie. Una donna materna, leale, severa all’occorrenza, pacata e capace di riassettare non solo le stanze di una casa, ma le ferite profonde fra genitori e figli. Assunta dal Duca e la Duchessa di Praslin, varca le soglie del loro monumentale maniero lasciandosi alle spalle i sussurri premonitori del vecchio tuttofare di famiglia: “non vorrà entrare lì dentro, vero?”.
Scompare, quella figurina tremante, nell’abbraccio dorato di una dimora opprimente. Isabelle, Berthe, Louise e il piccolo, triste Raynald saranno affidati a lei: la circonderanno con il loro entusiasmo infantile, rivelando poco a poco un campionario di lacune affettive. Il Duca di Praslin (un Charles Boyer tanto impetuoso quanto represso) adora i propri figli.
Non si può dire altrettanto della Duchessa - Barbara O’Neil, in una fantastica prova recitativa - che si rivela un personaggio tentacolare, ibrido di pessime pulsioni umane capace di infangare ogni passaggio del film. Ossessionata dalla gelosia nei confronti del marito, anaffettiva coi figli, vendicativa e umorale, abile nell’ordire complotti. Una donna dai nervi disastrati che tiene in pugno lo spettatore con i suoi colpi di testa, contrapposta all’innocente e garbata Mademoiselle Deluzy, quell’imprevedibile Bette Davis che ancora una volta riesce a saltare con profitto da ruoli nerissimi a icone di bontà d’animo.
Mentre i piccoli Praslin si stringono ansiosi attorno alla nuova compagna di giochi eleggendola a madre adottiva, il Duca non può fare a meno di stringere con lei una rischiosa complicità. Complicità che dilaga nella passione, seppur rimanendo sospesa in quel gioco di sguardi e sospiri che il codice Hays impose al cinema. Mentre un amore represso e frustrato divampa fra i due, la Duchessa sfodera l’invidia più corrosiva. Vero simulacro dell’odio coniugale è la veduta esterna della villa: la stanza della Duchessa dalla luce sempre accesa così come quella del Duca e fra loro il corridoio perennemente buio. Quel corridoio è il terreno incolto dove un odio conclamato ha piantato bandiera. Alla finestra dirimpetto il viso preoccupato della Deluzy segue i movimenti dietro le tende e cerca di domare l’incendio di un amore inconfessabile.
La tragedia è molto vicina, e seminerà orme di sangue.
Un film di muri che bisbigliano e tradimenti sottili: i servitori, la stampa francese, addirittura il Re sembrano figure imbevute d’odio e incapaci di gratitudine. Coloro che invece hanno il coraggio di amare in questo serraglio di mostri (il Duca, la governante e i bambini), pagheranno un atroce prezzo al destino. Tratto da un romanzo della Field e ispirato a un caso di cronaca nera, il lunghissimo sguardo melò di Anatole Litvak (novantadue minuti, mai noiosi) pone l’accento sul legame fra la governante e i piccoli Praslin, addolcendo il sapore di uno scandalo inaccettabile per l’epoca.
La commozione sopraggiunge spesso in punta di piedi per lo spettatore, specie innanzi ai distacchi che porteranno la Deluzy lontana dalla Francia e condannata a coltivare per sempre l’inesaudibile desiderio di una famiglia. Porterà addosso la croce della dedizione e le cicatrici di un amore negato, sussurrato, maledetto e demolito dall’opinione pubblica. Passerà attraverso il carcere e la povertà, tenendo stretto il ricordo di una sfera di vetro e l’ultimo sguardo di un moribondo. Torneranno a lei in un bisbiglio della memoria le buone parole alle quali non diede peso - “non vorrà entrare lì dentro, vero?” - e sarà troppo tardi.
Darà infine una lezione indimenticabile, quella della tolleranza.
Quella che a suo tempo avremmo dovuto apprendere anche noi, bambini terribili.
Maria Silvia Avanzato
Sezione di riferimento: Vintage Collection
Scheda tecnica
Titolo originale: All This, and Heaven Too
Anno: 1940
Durata: 141'
Regia: Anatole Litvak
Sceneggiatura: Casey Robinson
Fotografia: Ernest Haller
Musiche: Max Steiner
Attori: Bette Davis, Charles Boyer, Jeffrey Lynn, Barbara O'Neil