Cambiamo ascensore.
Cornelia Hilyard (Olivia De Havilland) è la ricca proprietaria di un piccolo maniero urbano: deliziose porcellane, busti e candelabri, un nido dove carezzare i propri anni con sobria dignità. Una Havilland quarantacinquenne e mai sfiorita la impersona egregiamente. Sin dai titoli di testa assaggiamo un gioco di tagli, scatti e forme che ricordano le sbarre di una gabbia, passando attraverso i fotogrammi del traffico quotidiano. A casa Hilyard, al contrario, regna la placida sonnolenza di una piccola vita tranquilla. Un trionfo di contrapposizioni.
Il figlio Malcom (William Swan) vive nel boato assordante dell’amore materno, è un bambino in un corpo da trentenne. La madre tiene ben stretto il laccio attorno al suo collo e difficilmente allenta la presa; si sdilinquisce in indigeste raccomandazioni e premure imbarazzanti. Quando Malcom parte per una breve vacanza, ci sentiamo sollevati per lui. Cornelia, reduce da una recente rottura della gamba e costretta a usare un ascensore per spostarsi lungo i tre piani della casa, rimane sola: è intenta a rivangare le vecchie poesie che era solita comporre in passato e nulla può turbare la quiete del suo confortevole rifugio. Nulla, eccetto un disguido.
Mentre l’auto di Malcom si dirige sicura verso un’occasionale libertà, un tecnico addetto a lavorare con i fili elettrici compie un piccolo, fatale errore. Il filo che porta corrente a casa Hilyard si spezza e il buio piomba nella bella dimora. Fra quelle mura, la padrona di casa trattiene il fiato aggrappandosi alle sbarre: si trova all’interno del suo ascensore che si è appena bloccato a mezz’aria fra il primo e il secondo piano, e la cosa non le piace affatto. Ma Cornelia non si scompone, certa che qualcuno rimedierà all’inconveniente. Si sbottona il pullover e sdrammatizza in un rassicurante dialogo con se stessa. Sono gli albori di una tragedia che vi terrà a lungo incollati alla sedia, perché la nostra Cornelia passerà in quella minuscola gabbia tutto il resto del film. Sadismo in tutte le sue sfumature.
La donna, liquefatta dal caldo torrido, si aggrappa alle notizie della sua piccola radio portatile: la città si è spopolata per il fine settimana vacanziero, c’è l’allerta per il traffico. In casa c’è invece un silenzio logorante, talvolta interrotto dal trillo fastidioso di quel telefono irraggiungibile. I nervi di Cornelia iniziano a dare segni di cedimento e le pareti della gabbia sospesa nel nulla ricordano quelle di una bara. Il debole trillo del campanello d’allarme si perde nel rombo dei motori americani: c’è una curiosa altalena di inquadrature fra l’interno dove regna un silenzio di morte e l’esterno chiassoso. Le ore passano e la poetessa non ha più nessuna voglia di recitare versi; ora è un animale in cattività, spogliato di ogni pudore e trasfigurato dalla paura.
Di lì a poco un barbone completamente ubriaco s’intrufola in casa. A partire da questa scena, il regista indossa guanti da chirurgo e si prepara a operare il pubblico senza anestesia, in una cruda sequenza di orrori. Saggiamo tutta l’impotenza di Cornelia, costretta a guardare il mondo dalla sua prigione dorata. L’uomo saccheggia, strazia e fa scempio della bellezza nella rivincita del popolo degli emarginati sulle inarrivabili esistenze della buona società americana. Ma il farneticante ubriaco è solo il primo di una serie di inquietanti ospiti. Torna accompagnato da una prostituta e depredano la casa. Infine tre giovani criminali irrompono in casa attirati dal trambusto: un ladruncolo e una ninfetta spietata, devoti al capo banda Randall O’Connell (l’esordiente e magnifico James Caan), e un ex carcerato sadico e violento.
La rivolta dei ruoli ha inizio. Mentre la corte dei miracoli delle brutture umane vandalizza la casa con calze di nylon a sfigurare i volti, l’urlo di Cornelia si fa più disperato (“Io sono un essere umano!”). Donna in gabbia contro bestia a piede libero, in un caleidoscopio che rende molto sottile il confine fra i ruoli. All’esterno c’è ancora il trambusto delle auto, che amplifica l’indifferenza della società facendo di Cornelia la vittima brutalizzata del suo stesso sistema. Seguiamo a fiato corto i suoi vani tentativi di fuga e le perverse gesta dei tre giovani assassini. Le bestie impongono il regime del terrore. Il film risulta efficace, cruento, senza un barlume di pietà e pieno di gabbie dalle quali fuggire.
Avete paura degli spazi chiusi? Questo film non fa per voi.
Non sempre c’è un amico francese disposto a salvarvi dalla vostra gabbietta.
Maria Silvia Avanzato
Sezione di riferimento: Vintage Collection
Scheda tecnica
Titolo originale: Lady in a Cage
Anno: 1964
Durata: 94'
Regia: Walter Grauman
Sceneggiatura: Luther Davis
Musiche: Paul Glass
Attori: Olivia de Havilland, James Caan, Jennifer Billingsley, Jeff Corey, Scatman Crothers