Come in ogni lugubre tradizione famigliare che si rispetti, ho anch’io un prozio che fece scalpore per le sue macabre paure. Tafofobia, appunto. Il poveretto temeva di essere sepolto vivo e per questo lasciò scritto nel testamento che “Prima dell’inumazione desiderava che il suo cuore venisse trafitto con uno spillone da capelli” (lasciando in dotazione persino lo spillone). Volete sapere come andò a finire?
Ve lo racconto dopo, perché un nebbioso cimitero di campagna ci attende e lì una distesa di tombe sbilenche accoglie un esiguo gruppo di uomini dai soprabiti scuri. Fra loro c’è Guy Carrell (Ray Milland) intento ad assistere alla riesumazione della salma di suo padre. Scoprirà un corpo scomposto in una posa di terrore e un coperchio graffiato furiosamente. Sì, il vecchio Carrell è stato sepolto vivo, e noi non ci troviamo dentro un cimitero qualsiasi, ma siamo immersi nel genio sregolato e ombroso di Edgar Allan Poe.
Tafofobia, appunto. Cavalcante tafofobia per Guy Carrell, non più giovane e sempre inquieto, costretto a convivere con la sua divorante ossessione, a eclissare i tormenti in una fialetta di laudano scalciando via gli affetti e vivendo da ostaggio nel grande palazzo di famiglia. Perché l’arrivo della morte, per un Carrell, può chiamarsi “catalessi” e trascinare nelle profondità della terra da vivi per un soffocante risveglio nel buio, come è toccato al vecchio capofamiglia.
Il maniero gotico dei Carrell - candele rosso sangue, tendaggi opprimenti, vecchi pianoforti e una cripta sotterranea per i corpi degli antenati – è ormai più freddo di una tomba. Guy divide le giornate con una sorella autoritaria e solo la visita della sua amata Emily ( Hazel Court ) lo scuote dai soliti, funebri pensieri. Decide su due piedi di sposarla e lei, una bellezza di gusto preraffaellita dalle fluenti ciocche rosse e dalla pelle screziata di efelidi, è pronta a prendersi cura di lui. Sradicando dal suo cuore le angosce che lo colgono ogni notte, le distorte fantasie che lo riportano con la mente nel piccolo cimitero dietro casa dove i becchini fischiettano una ballata scozzese, dove la terra attende ansimando l’arrivo di una nuova preda. Viva.
La vita di Carrell è un’agonia; Emily ne divide il peso affrontando notti insonni, crisi e collassi, strane peregrinazioni notturne sotto il temporale, incubi. Ma Guy vive per perfezionare un piano ed Emily non può fermarlo.
Egli vuole prendere in contropiede la catalessi. A tale scopo segue il flusso incontrollato della sua fobia e costruisce un vero mausoleo in giardino: lì posiziona la bara che un giorno dovrà accoglierlo e tutte le comodità necessarie a un morto che ritorna. Dispositivi per spalancare la bara, cibo, musica, scale e cancelli automatici, dinamite, vie di fuga ingegnose e un grande calice di veleno per porre fine allo strazio, se necessario. Guy non ha nessuna intenzione di sembrare morto ed è strangolato dai suoi sinistri ragionamenti; lascia sfiorire la bella moglie e rifiuta l’aiuto di Miles, l’amico medico.
Un horror atipico che trae linfa letteraria da Poe e incontra il gusto di Roger Corman, maestro indiscusso del genere. Al posto del consueto Vincent Price, protagonista dei primi due film della serie basata sui racconti dello scrittore (I vivi e i morti e Il pozzo e il pendolo), troviamo un Ray Milland meno incisivo ma squisitamente preparato, e capace di sostenere una prova brillante nei panni del paranoico dai memorabili picchi d’ira.
Le atmosfere pesanti e polverose del gotico vecchio stampo aleggiano perenni nei grandi saloni dalla tappezzeria sbiadita, nei vermigli cangianti, nei velluti neri, nei rintocchi di un vecchio pendolo, negli incarnati di porcellana e nell’alito di brume che serpeggia fra le lapidi. Lo scenario è quello dell’horror, ma il complotto in primo piano rivela note noir inaspettate.
Nessuno spettro, nessun demone, solo il girone infernale di una mente che va in pezzi: una lunga sequenza onirica giocata su evanescenze verdi e violacee diviene quintessenza del terrore, mostrando Guy alle prese con il suo mal funzionante mausoleo. Topi, vermi, scale recise, cancelli sbarrati, sepolcri che innalzano candelabri e tele di ragno all’indifferenza del mondo esterno in un trionfo di maestria per Corman, abituato a film dal basso budget e dall’effetto garantito.
Il motivetto scozzese diventa così la più martellante e insopportabile delle nenie, penetrando da ogni spiffero, riecheggiando nel vento e adattandosi a funebre marcia di strumenti a fiato. Quel pugno di note ci rincorre ovunque, come la promessa che finiremo lì, sotto la terra e lontano dai vivi, a elemosinare ossigeno mentre il buio si apre e si richiude sopra di noi: un pensiero che perseguitò lo stesso Poe e anche il meno noto prozio della sottoscritta.
A proposito, volete sapere che ne fu dello spillone? Fu riposto e mai utilizzato. Mia nonna si accertò che il corpo del prozio fosse cadavere toccandogli le mani. “Un morto si riconosce”, assicura lei.
Già, tafofobia, un morto si riconosce.
Chiedetelo al mio prozio.
Maria Silvia Avanzato
Sezione di riferimento: Vintage Collection
Scheda tecnica
Titolo originale: The Premature Burial
Anno: 1962
Durata: 81'
Regia: Roger Corman
Soggetto: Edgar Allan Poe
Sceneggiatura:Charles Beaumont, Ray Russell
Fotografia: Floyd Crosby
Montaggio: Ronald Sinclair
Musiche: Les Baxter Ronald Stein
Attori: Ray Milland, Heather Angel, Hazel Court, Alan Napier, Richard Ney