Questa proposta, nelle sue varianti, compare nel film circa ogni tre scene: abbiamo a che fare con un film pieno di piccoli luoghi d’amore.
Divertita e mai annoiata da quei colori un poco opachi, sono tornata a Pine Island per rivivere lo scandalo e gongolare sui visi raggianti di un vero campionario di bellezza. Bellissime creature, naufraghe emotive su un’isoletta che si rivela poco alla volta con roseti abbandonati, calette deserte e quelle piccole spiagge appartate dove l’inibizione viene meno. Richard Egan dal sorriso accecante, l’evanescente e lunare Dorothy McGuire schiava di uno sguardo triste e dolcissimo, quella prorompente Sandra Dee dalle labbra ciliegia e gli occhi da cerbiatta, innocente dea dell’amore, acerba e ubriaca di lunghi sospiri. E Troy Donahoue, il principe azzurro smaccatamente americano, immaturo seduttore, a volte così tragicamente inespressivo nella sua condanna alla bellezza impeccabile. Sono loro le pedine affascinanti di un gioco scandaloso ed è alle loro peripezie che ci si appassiona, perdonando qualche risvolto che oggi appare davvero troppo banale pur raccontando l’immaginario di un’epoca.
Due famiglie si ritrovano su un’isola calda di sole e pulsioni represse: gli Hunter, decaduti albergatori ancorati a un fastoso passato ormai scolorito e gli Jorgensen, nati nella polvere, fatti da sé e ora pronti a riscattarsi apparendo a bordo del loro yacht. Una vacanza tesa, quella del capofamiglia Ken Jorgensen (Egan) tornato all’isola dove ha lavorato come bagnino nel suo nuovo ruolo di uomo piacente e benestante con la stupenda figlioletta Molly al seguito (Dee) e l’irritante moglie Helen al braccio (Constance Ford). Un mese di vacanza al vecchio hotel Hunter dove Sylvia lavora ancora, la stessa Sylvia che Ken ha amato da ragazzo. Quest’ultima sorregge a fatica il peso di un matrimonio sbagliato e ha come unico affetto il bellissimo figlio Johnny (Donahue). E se fino a qui siete riusciti a ricostruire il puzzle di amori intrecciati, sappiate che la vera difficoltà sorge ora. Ora che la piccola Molly si lascia condurre a spasso per l’isola dal bel Johnny. Ora che l’affranta Sylvia scivola di nuovo fra le braccia di Ken.
Un doppio amore clandestino, quello di figli e genitori che sembrano trovare su Pine Island la dimensione del sogno e dell’incoscienza, il sapore delle passioni perdute. A gettare ombra su entrambi i lieti idilli è Helen, mostro di snobismo e aridità, intollerante e razzista, dispotica e vendicativa: Delmer Daves regala allo schermo una delle peggiori madri cinematografiche di sempre. Terrorizzata dal sesso e ossessionata dalla nettezza dei costumi, castiga la figlia e le riserva le più crudeli punizioni cercando di reprimere una spigliata vitalità, una sana freschezza e una curiosità romantica verso l’amore. Helen è l’unica grande antagonista dalle primissime scene alle ultime: con i suoi eleganti cappotti, il viso arcigno, le sentenze spietate e le soporifere prediche puritane attira su di sé immediate antipatie.
Di sesso, appunto, si vuole parlare in questo ambizioso lavoro infarcito di spiaggette dove baciarsi in segreto. Il sesso ovviamente censurato eppure propugnato silenziosamente al pubblico – il pubblico dell’epoca, che immaginiamo ben più trasognante di quello attuale – assume una valenza rivoluzionaria. Per Molly e Johnny tenersi stretti è tanto importante che poco importa se rischiano di scontrarsi con gli scogli in mare aperto; il loro insaziabile desiderio di baciarsi li spinge come banderuole nell’occhio di un ciclone materno assai pericoloso. Ad ogni sconfitta dei due giovani amanti segue un momento musicalmente perfetto in cui la loro esigenza di appartenersi – anche fisicamente – prenderà il sopravvento.
Così da un lato i ragazzi combatteranno per spezzare le catene dei falsi moralismi e dall’altro Ken e Sylvia, pur facendo parte del mondo adulto, non sapranno trattenere la passione e diventeranno simili ai loro figli nel giro di un’estate. L’amore è la grande livella del film e con lui il sesso: rende ogni personaggio incapace di dominare le emozioni, accomuna e travalica ogni ostacolo. Forse un tentativo troppo ardito da parte di Daves, un cult che oggi trova una nuova dimensione ai nostri occhi strizzando vagamente l’occhio alla telenovela.
Perché allora scandalizzarsi ancora sotto il sole?
Per due validi motivi. La musica superba e vibrante di Max Steiner che alterna umori ed esagera magnificamente con i violini, un tappeto morbidissimo sul quale i bei corpi sotto il sole trovano rifugio.
E poi per Sandra Dee, icona assoluta di purezza, adolescente da grande schermo, visetto pulito, labbra irresistibili. I bronci di un’eterna ragazzina immortale, le sue corse lungo la spiaggia e la testolina di capelli corti, ricci, soffici, che si scompigliano al vento.
Così felice sullo schermo, così triste nella vita.
Così tanto che Scandalo al sole, oggi, appare davvero come un film distante anni luce dalla realtà.
Maria Silvia Avanzato
Sezione di riferimento: Vintage Collection
Scheda tecnica
Titolo originale: A Summer Place
Anno: 1959
Durata: 130'
Regia: Delmer Daves
Sceneggiatura: Delmer Daves
Fotografia: Harry Stradling
Montaggio: Owen Marks
Musiche: Max Steiner
Attori: Sandra Dee, Troy Donahue, Richard Egan, Dorothy McGuire, Constance Ford