Da sempre fiera di questo primo giugno che ci accomuna, non perdo occasione per ricordare che “sono nata lo stesso giorno di Marilyn Monroe”. Le cose in comune finiscono qui. Lasciatemi questo vezzo, l’alternativa è dire “sono nata lo stesso giorno di Morgan Freeman”, che sarà anche un grande attore e un bell’uomo ma non è Marilyn Monroe.
Se di lei vogliamo parlare – mitica e tragica, tanto tagliata per i ruoli di bionda che ammicca – dobbiamo farlo con un occhio di riguardo per i rari ed efficaci ruoli che l’hanno spinta lontana dal cliché. In questo senso Niagara del 1953 è il primo vero banco di prova per l’attrice drammatica che vive in silenzio sul fondo della bionda esplosiva. Pur senza perdere di vista quell’alone di frivolezza che tanto si addice al suo corpo mozzafiato, la Monroe colonizza il grande schermo nel ruolo di Rose Loomis. Non odiarla sarà impossibile.
Canada, cascate del Niagara, diapositiva di neosposini americani attirati dalla Mecca della luna di miele tradizionale. I Rainbow Cottage sono piccole costruzioni gemelle allineate che si sporgono sull’imponenza delle cascate, prestandosi a nido d'amore per sposini come Molly e Ray Cutler (Jean Peters e Max Showalter); sono bomboniere d’amore, eccettuato però il cottage B, saturo di un’atmosfera umida e asfissiante.
Persiane abbassate, basse nuvole di fumo sopra un posacenere, piccole costruzioni ricavate da un barattolo di conserva. George Loomis (un nervoso e torvo Joseph Cotten) è tornato dalla guerra di Corea pagando lo scotto di una permanenza in manicomio e adesso uccide il tempo, alzando talvolta occhi furiosi e inquieti sulla giovane moglie. Lei, Rose Loomis (battesimo del fuoco technicolor per una Marilyn conturbante), è una disarmante bellezza che pare vivere sospesa in una bolla di confortante noncuranza. Canticchia a labbra socchiuse quella Kiss che ha eletto a canzone preferita, liquida in fretta le scenate del marito uscendo di buon passo sui suoi piccoli tacchi alti, a volte sembra dargli corda, spesso lo schernisce.
Inafferrabile Rose, implacabile come la cascata, oscilla fra i modi di una moglie premurosa e i freddi silenzi di un letto che è diventato trincea. Così come il cottage stesso, rifugio sudicio di una convalescenza e torbida scenografia per due vite parallele e distanti. Rose esce, va in paese, si concede il lusso di abili scollati (memorabile è l’abito scarlatto che la fascia nella scena del ballo all’aperto). George la segue con gli occhi e poi coi piedi, la accusa di tradimento, si trascina alle sue spalle amandola e disprezzandola senza sosta.
Vivace antitesi allo sfacelo matrimoniale dei Loomis sono i coniugi Cutler, ovvero la coppia americana marchiata anni Cinquanta: Molly è sveglia e sagace, Ray è il marito affettuoso che vive nell’accogliente recinto della banalità, con un impiego per una ditta di popcorn e qualche battuta di spirito più o meno riuscita. Ma i Cutler sono anche gli unici testimoni della decadenza che porta i Loomis ai ferri corti. Imbarazzati eppure coraggiosi, sono gli unici ad avere contatto con il disperato mondo dei vicini di cottage e quasi si propongono di contagiarlo con la loro positività. Fallendo miseramente, s’intende. Perché George sospetta un tradimento e la vita di Rose è un calvario di accuse e insinuazioni.
Quando Molly scorge Rose abbandonata fra le braccia di un giovane sconosciuto nei pressi delle cascate, intuisce che un ordigno pericoloso sia sul punto di esplodere. L’affascinante moglie tanto in pena per il marito reduce di guerra ha un piano preciso per toglierselo dai piedi, e forse quel George che abbiamo creduto pazzo sin dalla prima scena è molto più accorto di quanto non sembri.
Scandito dai rintocchi festosi delle campane, il film svela un Niagara di nebbia e schianti d’acqua, di corpi fradici e passi smarriti, di edifici scuri e imponenti come la camera mortuaria, pugno in un occhio nell’assolato centro cittadino. Henry Hathaway perde di vista il sapore noir del film e calca con più forza l’aspetto drammatico, accentuando la contorta psicologia dei personaggi. Per i Loomis il delitto è forse il male minore, perché vivere perennemente in balia di scontri accesi o silenziosi è il peggior tormento.
Manca l’aria in questo film di grandi spazi acquosi e rapide discese verso il basso. C’è tutto lo splendore e la potenza delle grandi cascate, a un passo dalla piccola camera di tortura dove un uomo e una donna danno l’estremo saluto all’amore e il benvenuto alla morte. C’è tutto il patetismo di un vecchio matrimonio naufragato accostato alla genuinità di un nuovo matrimonio che non chiede troppo e vive di poco. Il resto è un delitto che sfocia impetuoso come l’acqua, fra svenimenti e identità rubate, deliri e campane che inneggiano all’amore. Quello vero, quello degli altri.
Non importa che siate nati o meno nello stesso giorno di Marylin: conoscerla nelle vesti di un carnefice sensuale è un grande regalo da fare a voi stessi.
Maria Silvia Avanzato
Sezione di riferimento: Vintage Collection
Scheda tecnica
Titolo originale: Niagara
Anno: 1953
Durata: 92'
Regia: Henry Hathaway
Sceneggiatura: Charles Brackett, Richard L. Breen, Walter Reisch
Fotografia: Joseph MacDonald
Musiche: Sol Kaplan
Attori: Marilyn Monroe, Joseph Cotten, Jean Peters, Denis O'Dea