Questa è gente che ha fiuto per i buoni affari, ma il buon affare che sto per presentarvi è diverso da ogni altro. Ha una crocchia di treccine, grandi occhi spalancati, modi schivi e veste abiti dimessi, si chiama Caterina Sloper ed è l’ereditiera. La impersona Olivia De Havilland, cogliendo appieno la sua natura: non proprio bella, dolcissima e indifesa, Caterina vive in un’America ottocentesca ossessionata dall’etichetta, è orfana di madre e destinata a possederne tutti i beni, nonché perennemente rannicchiata all’ombra di un grande uomo. Austin Sloper (Ralph Richardson) è suo padre, stimato medico e uomo dalla battuta pronta, autoritario e astuto. Si aggiunge a loro la zia Lavinia (Miriam Hopkins), presenza effervescente e chiacchierona, vedova inconsolabile quanto donna sveglia e brillante. Il dottor Sloper e la zia hanno un solo problema: maritare quella Caterina introversa e non troppo avvenente che non sembra riscuotere l’interesse dei giovani della città.
Da questa miscela scoppiettante ci si aspetta una romantica commedia degli equivoci di gusto pungente. Impressione che ci accompagna durante ogni iniziale, spassosa scena del film, dove una goffa Caterina soggiace ai desideri paterni e tenta vanamente di abbellire il suo musetto per recarsi al ballo. La tensione, tuttavia, è destinata a fare il suo ingresso in scena: veste abiti finissimi, è galante e forte del sorriso angelico di Montgomery Clift. Lui è Morris Townsend, ha messo gli occhi su Caterina durante il ballo ed è pronto a farla arrossire coi suoi modi da adorabile mascalzone. Lei, per tutta risposta, è in balia dell’imbarazzo e non fa mistero della sua natura credulona e assai poco raffinata.
Il binomio pericoloso prende forma e seguiamo ammutoliti le varie e complicate fasi di quello strano corteggiamento. Lui, bellissimo e squattrinato, è pazzo di lei. Lei, ricamando centrini e calcandosi cuffie sulla testa, sembra a ogni scena più ridicola. Eppure è d’amore che parla il bel Morris e i nostri cuori si lasciano corrompere volentieri dalle sue accorate dichiarazioni.
Sullo sfondo scorrono interni di bomboniera via via più opprimenti, sete, lampade e scaloni, nido di ferro di un uccellino piccolo e spaurito che non sa spiccare il volo. Quando Morris chiede a Caterina di sposarlo, una terribile aria di tempesta inizia ad aleggiare nella casa. Il dottor Sloper è certo di avere a che fare con un avventuriero attirato dalla cospicua dote della figlia e non vuole darla in sposa. Lei, inconsapevole posta in gioco, ha assaggiato con la punta della lingua il miele e non ha nessuna intenzione di sciacquarsi la bocca.
Lo scontro è inevitabile e William Wyler non desiste dal prenderci per mano e farci scivolare come in un giro di valzer sempre più serrato dentro il vivo della storia. Da un lato c’è il medico burbero e i suoi divieti, dall’altro il giovane ammiratore armato solo delle proprie parole poetiche e al centro quella minuscola e scolorita Caterina che finisce per diventare la beniamina inevitabile: l’eroina atipica che lotta per difendere il suo amore, mai arresa e sempre più pressata fra i due poli maschili. Ma il proposito certamente caustico di Wyler è metterci di fronte a una domanda cruciale. Quello di Morris è vero amore?
Il regista non semina chiari indizi per trovare risposta al dilemma; è come se volesse infilarci per primi nei panni di quella Caterina tanto ricca quanto innamorata. Ci lascia appesi allo sguardo ceruleo di Morris e ci tormenta distaccandocene per volere di un padre severo. Dobbiamo credere alla figura protettiva del vecchio luminare o lasciarci sedurre dalle promesse del giovane scapestrato?
Quando Morris propone a Caterina una fuga romantica, l’intenzione più dissacrante del regista viene a galla, tanto che il film pare diviso in due grandi scaglioni: il primo è aggraziato e floreale, il secondo è greve. Il romanticismo è diluito sino a scomparire dalla scena, a rimpiazzarlo ci sarà freddezza, vendetta, rabbia mai sopita e brutti scheletri nell’armadio. L’anima nera del film, per quanto vestita di broccato e dedita al punto croce, alza la testa con prepotenza e ci trascina verso un finale di fiammelle che si spengono lente in una notte plumbea e inesorabile. Non una tragedia, ma un delicato e gustoso ritratto di società, giocato sul tema dell’amore e della negazione dello stesso, capace persino di strapparci un sorriso finale rivelando la vera e grande eredità di Caterina. Il carattere.
Privarsi della visione di questo particolare capolavoro non è di certo quel che si dice un buon affare.
Maria Silvia Avanzato
Sezione di riferimento: Vintage Collection
Scheda tecnica
Titolo originale: The Heiress
Anno: 1949
Durata: 115'
Regia: William Wyler
Sceneggiatura: Ruth Goetz, Augustus Goetz
Fotografia: Leo Tover
Musiche: Aaron Copland, Ray Evans, Jay Livingston
Attori: Olivia de Havilland, Montgomery Clift, Ralph Richardson, Miriam Hopkins, Mona Freeman