No, non è l’incipit di un horror.
Si tratta di una mia recente spedizione presso una nota casa di riposo della mia città, struttura che accoglie unicamente i grandi artisti drammatici del passato. La dimora tutta mogano e drappeggi dove riposano ibridi fra Norma Desmond e Baby Jane Hudson. Preparatevi a odiarmi, perché non intendo svelarvi cosa ho visto in quella villa, chi ho incontrato, di cosa abbiamo parlato. Intendo soltanto sussurrare al vostro orecchio una domanda.
Dove vanno a morire le stelle?
Questione che si sarà certamente posto anche Robert Aldrich, del quale mi risulta difficile scrivere in modo imparziale: è il mio regista preferito. Ebbene, con lo spietato L’Assassinio di Sister George, il registra guida un’incursione nel torbido e nella bassezza umana, facendoci luce con il rassicurante fiammifero del Metrocolor.
Diamo dunque un volto a June Buckridge (Beryl Reid): è, in apparenza, una matura attrice inglese, vestita di tweed e capace di sgranare amorevoli sorrisi, tripudio di fossette. Recita in una serie televisiva della BBC, un piccolo capolavoro di buonismo per grandi e piccini, dove impersona Sister George, la cara infermiera del villaggio di Appleheart. A riflettori spenti, invece, June è dedita a confortarsi con l’alcool. Una vecchia strampalata ed eccentrica, maleducata e insolente, vendicativa come una bambina, irrimediabilmente autentica, un fascio di nervi e cattive abitudini. Dà il peggio di sé quando è a casa con Alice “Childie” (Susanna York), la sua giovane fidanzata: un’angelica bellezza sfregiata dall’insipienza, per June una visione da “foresta incantata”.
Childie colleziona bambole e le tratta come personcine viventi, scrive poesie impubblicabili e volteggia per casa nel suo impalpabile baby doll. June la domina completamente con la sua personalità aspra e ingombrante, è mortalmente gelosa e – fra una sbornia e l’altra - le infligge punizioni corporali. Questo grande circo di mostruosità inizia a prendere forma, e Aldrich diventa una Diane Arbus dallo sguardo più allucinato.
Il film prende una paurosa rincorsa quando June inizia a sospettare che la BBC voglia uccidere il personaggio di Sister George e licenziarla: tutto volge a una tormentosa peregrinazione fra scoppi d’ira. A intervallare i momenti del dramma ci sono scene della serie Appleheart dove una leziosa Sister George sorride fra battute banali e finali scontati. Parallelamente June, ormai macerata dalle nevrosi e abbruttita dall’alcool, diventa il grande fenomeno da baraccone del proprio declino: aggredisce verbalmente chiunque, si copre di ridicolo e ha sensibili, brevissimi istanti di intima amarezza (“mi serve un posto dove piangere”, afferma in una delle scene più toccanti). I sospetti di licenziamento si concretizzano con l’arrivo dell’impeccabile e austera Mercy Croft (Carol Browne) della BBC: ferrea ispettrice mandata da June per darle un anticipo sull’imminente, brutta notizia.
Questo è un film di ribaltamento e asfissia. Da un lato c’è la protagonista con i suoi eccessi e l’incapacità di nascondersi, con la scomoda e dichiarata omosessualità, con il sadico ma commovente legame verso una ragazza tanto più giovane. Dall’altro c’è la scintillante indoratura della Tv, dove ognuno colloca in ombra le proprie perversioni, risultando lineare e rispettabile nella vita di tutti i giorni. Gli affetti di June sono sassolini colorati destinati a scivolarle fra le dita: ama una giovane bambola assai meno svampita di quanto sembri, non ha amici eccettuata la prostituta della porta accanto. Tutti, intorno a June, vogliono uccidere Sister George e June stessa, punendola per la sua sfrontata spontaneità, per i suoi vizi, per le sue scelte alla luce del sole. La BBC è il grande maestro di cerimonia, che insabbia colpe e ridimensiona carriere con una netta cesura di forbice, da un giorno all’altro.
C’è poi una sfavillante panoramica sul Gateways Club (locale gay dell’epoca ripreso nella sua realtà, scelta che diede luogo a sfrenate polemiche), sui bar sempre aperti dove è facile trovare quel rinfrancante whisky della sera, sulla televisione come rifugio ultimo per le vecchie glorie del teatro. La sessualità emerge in questo film con un crudo contorno di dettagli, senza mezze misure.
June è rancorosa e maldestra, ribelle, lesbica e incapace di edulcorare la sua natura: per questo viene ingiustamente punita e diventa la trottola senza riposo che vaga sul set della falsità e della finzione altrui.
Dove vanno a morire le stelle?
Per Robert Aldrich, muoiono là dove gli altri decidono di dimenticarle.
Maria Silvia Avanzato
Sezione di riferimento: Vintage Collection
Scheda tecnica
Titolo originale: The Killing of Sister George
Anno: 1968
Durata: 138'
Regia: Robert Aldrich
Sceneggiatura: Lukas Heller
Fotografia: Joseph F. Biroc
Montaggio: Michael Luciano
Musiche: Gerald Fried
Attori: Beryl Reid, Susannah York, Coral Browne, Ronald Fraser