E badate, il mio non è un caso isolato: a qualcuno è andata infinitamente peggio.
Per verificarlo coi nostri occhi dobbiamo entrare a passi felpati nella villa di Donna Lucia; lo facciamo passando per le cucine dove fervono preparativi per una grande cena. La servitù sta curando gli ultimi ritocchi, ma fatta eccezione per un cameriere, tutti sono ansiosi di andarsene.
All’arrivo degli invitati i domestici sono scomparsi, ma questo non preoccupa eccessivamente la ricercata combriccola che ha appena fatto il suo ingresso in casa. Un medico, una pianista, un direttore d’orchestra: sotto cappotti e pellicce c’è una grande porzione del bel mondo, di ottima borghesia. Donna Lucia e suo marito Edmundo sfoggiano i loro più affettati modi da padroni di casa. La cena è allietata da scherzetti perfidi e non mancano attrazioni al limite del circense, dal gregge di agnelli impauriti all’orso bruno.
I dialoghi fra commensali sono un omaggio all’assurdo, al paradosso, al surreale. Senza risparmiare la comicità ci danno la cifra dell’ipocrisia imperante: scomode abitudini, false rassicurazioni, insensati formalismi da rispettare, paranoie a iosa. La falsità di questi benpensanti traspare cruda e spassosa attraverso i dialoghi. Sul conto della malata terminale di cancro costretta a indossare la parrucca si dice “Ha un bel cranio”, il direttore d’orchestra è un anziano signore con sregolati appetiti sessuali, un’invitata tiene due zampette di gallina nella borsa per formulare riti satanici, una coppia sposata ha perso il conto dei figli, la stessa Donna Lucia tradisce il marito dietro una tenda con un amico comune e gli raccomanda “Più tardi raggiungimi in camera mia. Se mio marito dovesse scoprirti, digli che eri venuto per vedere i miei disegni”. Ogni atteggiamento dei personaggi è la studiata e incisiva presa in giro di un diffuso costume, di una classe sociale.
Quando la cena si conclude, la pianista esegue un brano al pianoforte, e la telecamera indugia su quei volti che impareremo a conoscere sempre meglio. Terminata la musica, gli invitati iniziano ad accusare una fulminante e immotivata apatia. Con inspiegabile lentezza, i vari figuri scavano un angolo per sé nell’immobilità della stanza, cominciano a campeggiare fra arazzi e tappeti come fossero parte dell’arredamento e perdono interesse a uscire dalla stanza. Sembrano sempre sul punto di congedarsi, poi trovano una nuova poltrona da colonizzare ed è lì che vanno ad acciambellarsi.
Ciò che in prima battuta sembra un attimo di riposo generale, diventa ben presto un incubo astruso e indecifrabile: gli invitati sono prigionieri, veri e propri ostaggi fra quattro mura, incapaci di varcare la soglia di quella stanza e costretti alla sete e alla fame. Le lamentele volano alte, in molti si spazientiscono e imprecano, ma puntualmente lo stipite della porta ha il potere di farli indietreggiare e tornare al mortorio mefitico.
Dopo un’interminabile notte, a corto d’acqua e provvigioni, si decide di spaccare il muro e usufruire di una tubatura: la piccola folla si accalca presso il tubo con la bocca arida e spalancata, lasciandoci attoniti davanti a un quadretto privo di senso.
Eppure è proprio in questo clima di totale assurdità che la vera natura di ognuno viene a galla, assieme a segreti sconvenienti e istinti bestiali, in una chiara condanna alla morale borghese. Non manca chi paga con la vita la reclusione. Mentre alcuni muoiono, altri trovano pretesti per liti furibonde, sollazzi sessuali, riti magici, sonni agitati, vendette, strategie massoniche. In quella stanza l’aria diventa irrespirabile, i mobili vengono spostati come scacchi, i corpi restano stravaccati sul pavimento e sui divani, lo scenario decadente sembra sempre sul punto di risucchiare anche noi.
Il merito di un film così surreale e attanagliante è da attribuirsi a Luis Bunuel, un maestro che ancora una volta vuole colpirci duramente utilizzando il richiamo biblico per raccontare una storia di bassezza umana. L’odore acre del sudore si infiltra nelle nostre narici mentre i personaggi brancolano fradici in quella stanza. Il regista non fa sconti e non conosce pietà, diventa a sua volta giustiziere mentre gioca con le vite degli invitati, con foga anticlericale e antiborghese. Siamo ostaggi della noia assieme a questo popolo di annoiati cronici dagli scarsi valori. Come loro vorremmo fuggire, come loro restiamo.
Altro che una pennichella dopo i pasti; questo è un inferno servito su un piatto d’argento.
Maria Silvia Avanzato
Sezione di riferimento: Vintage Collection
Scheda tecnica
Titolo originale: El ángel exterminador
Anno: 1962
Durata: 89'
Regia: Luis Buñuel
Sceneggiatura: Luis Buñuel, Luis Alcoriza
Fotografia: Gabriel Figueroa
Musiche: Chopin e Paradisi (brani coordinati da Raúl Lavista)
Attori: Silvia Pinal, Jacqueline Andere, José Baviera, Augusto Benedico, Lucy Gallardo