Il guanto verde di Maté conquista con la sua vivacità, il brio e la capacità di oscillare fra i generi con massima destrezza ed eleganza. La struttura stessa del film non lascia spazio alla noia: si comincia dal finale seguendo i passi di quel parroco di campagna che ogni giorno percorre la stessa strada, mani incrociate dietro la schiena e sguardo all’orizzonte aspro e montuoso di Saint Elizaire, un villaggio vicino a Montecarlo. La voce fuori campo racconta quel luogo, le finestre si aprono, il vento scuote gli ulivi e dalla vecchia chiesa in pietra, di colpo, si ode un tripudio festoso di campane. Questo di per sé è già un mistero.
Il parroco, incredulo, corre sul campanile a vedere che succede: come vuole la leggenda, le campane suoneranno soltanto quando il guanto verde del Santo e guerriero Elizaire farà ritorno alla chiesa. E proprio questo magnifico guanto tempestato di diamanti vi ha appena fatto ritorno, dopo essere stato rubato in guerra. Ora però, fra le campane, giace un cadavere.
A questo punto Maté ci mette nuovamente alla prova e salta a raccontarci l’inizio della vicenda, così da darci solo due indizi, inizio e fine: ogni mistero nel centro verrà chiarito in un tumulto di suspense.
Durante i bombardamenti della guerra, proprio nel piccolo villaggio di Saint Elizaire, atterra un paracadutista alleato americano: Michael Blake (Glenn Ford) sta perlustrando una vecchia fattoria quando compare al suo cospetto un soldato tedesco che con modi affettati si presenta come il Conte Rona e prega l’americano di risparmiarlo. A impersonare Rona troviamo George Macready, un volto scolpito nella malvagità, più volte assegnato a ruoli neri e – siccome l’argomento è di casa – da ricordare come generale francese Mireau in Orizzonti di Gloria. Nelle vesti di Rona, Macready diventa un collezionista d’arte del tutto disinteressato alla guerra ma geloso del contenuto del suo borsello. Sotto le sollecitazioni di Blake, Rona rivela di essere in possesso del guanto verde, cimelio che ha sottratto alla chiesa di Saint Elizaire.
Un attimo dopo l’esplosione di una bomba inghiottisce i due in una nuvola di polvere e macerie spingendo il borsello nelle braccia dell’americano. Quando quest’ultimo riapre gli occhi, a soccorrerlo c’è un grottesco trio di personaggi: una contessa (la bravissima Jany Holt), suo figlio adolescente e il maggiordomo. Il trio, appartenente alla Resistenza, condurrà l’americano al sicuro negli ambienti tetri di un vecchio castello. Di lì a poco la notizia di una sventata manovra d’invasione nemica, e di un lutto improvviso in famiglia, distoglierà Blake dal pensiero del guanto verde al punto che lascerà il borsello - spacciandolo per suo - a casa della contessa con la promessa di tornare a prenderlo.
Sappiamo la fine, sappiamo l’inizio; il regista si rimbocca le maniche e ci conduce attraverso lo svolgimento. La guerra è finita, Michael è arrivato a Parigi. Vuole tornare in quel castello di un avito villaggio francese e riprendersi il guanto, ma ha una squadra di uomini armati fino ai denti alle calcagna. E ha il cuore distratto da un incontro fatale: Chris (una Gerardine Brooks esile, fine, solare), guida turistica dai modi allegri, disposta a seguirlo in una caccia all’uomo attraverso villaggi di montagna.
Ecco allora, come promesso in principio, quell’abile gioco di prestigio che fa di un film come questo (uno dei titoli minori di Maté, ma davvero pregevole) un capolavoro mignon: scene serrate e atmosfere differenti. Dopo un viaggio in treno a base di piombo e depistaggi, una piccola locanda diventa lo scenario romantico dell’amore fra Chris e Michael in un crescendo di battute in puro stile screwball. Ci sono avventura e azione in una lunga sequenza che mostra un inseguimento fra le rocce e non manca l’intensità drammatica tornando a trovare la contessa.
La donna, impazzita dopo la morte del figlio in guerra, è uno dei personaggi più affascinanti del Guanto Verde. Indimenticabile la scena in cui soccorre Chris e Michael avanzando nel buio, reggendo una lanterna. Abbondano i picchi di tensione controbilanciati dalla dolcezza del tema musicale di Joseph Kosma, ci sono squadre di uomini scuri che compaiono all’improvviso lungo un buio scalone, ma anche tutta la luce e la freschezza delle scene girate all’aperto. Un antico borgo di montagna che da subito ci è famigliare, così semplice e deserto, raccolto e impervio, con le statue dei Santi erose dal vento e le dicerie sospese fra magia e realtà. Quest’aria bianca e azzurra scuote i vestiti e si fa respirare, sfidando la barriera di uno schermo.
Sono tanti i generi che Maté affida a questo film, in modo coraggioso, con entusiasmo. Ciò decreta l’unicità del Guanto verde, una storia sommersa che vuole farsi ricordare.
Maria Silvia Avanzato
Sezione di riferimento: Vintage Collection
Scheda tecnica
Titolo originale: The Green Glove
Regia: Rudolph Maté
Sceneggiatura: Charles Bennett
Musiche: Joseph Kosma
Attori: Cedric Hardwicke, Gaby André, George Macready, Geraldine Brooks, Glenn Ford, Juliette Gréco
Anno: 1952
Durata: 89'