Ricordo anche l’ultima di quelle telefonate segrete, il terribile errore che prima o poi doveva capitare: chiamammo la casa sbagliata, una casa dove si era appena verificato un lutto. Cornetta riagganciata e fine degli scherzi, senso di colpa per molte notti.
Ma se “giocare col telefono” è una vera bambinata, l’adolescente Libby Mannering (Andi Garrett) non resiste alla tentazione. La vita in un’isolata casa di campagna, lontana dai locali e dai ragazzi, comincia a pesarle un po’. Quando mamma e papà annunciano di doversi assentare per una notte e la bambinaia non si presenta a casa, Libby viene incaricata di occuparsi della sorellina Tess (Sharyl Locke): “è una sola notte”, “non preoccupatevi”, “penso io a tutto”. Con queste raccomandazioni da copione, Libby saluta i genitori e pregusta una notte di assoluta libertà.
Personalmente, inizio a detestare cordialmente Libby già in questo punto: ma vi anticipo che, scena dopo scena, la troverò sempre più seccante. Dopo aver invitato a casa un’amica, Libby e la febbricitante sorellina Tess propongono di fare un gioco per uccidere la noia. Indovinate su cosa ricade la scelta.
Armato di telefono, il trio di “brave ragazze”, si scatena in una serie di chiamate buone per far infuriare tre quarti della città: seminano zizzania fra coppie sposate e prendono di mira tutti coloro che hanno un cognome buffo. Un grande classico: il gioco funziona e tiene occupate le ragazzine per un bel pezzo. Frattanto affranti genitori in libera uscita tentano di chiamarle e trovano sempre occupato.
Se non fossimo in Gli occhi degli altri di William Castle ma a casa della mia amica nel 1998, tutto si risolverebbe col ritorno dei nervosi genitori e una sfuriata plateale. Ma siamo nel film e il prossimo numero sull’elenco appartiene a Steve Marak (John Ireland). Proprio quello Steve Marak che ha appena pugnalato a morte la sua amante nella doccia, accecato di gelosia. Quindi abbiamo un omicidio ancora caldo e tre pericolose ragazzine sole in casa con il telefono che scotta. Provate a immaginare cosa accadrebbe se chiamassero Marak pescandolo a caso dall’elenco e gli dicessero “Ho visto cosa hai fatto e so chi sei”.
Ecco che, nell’atmosfera irritante e patinata del perbenismo da famigliola americana, irrompe lo spettro nero e furioso dell’omicidio. Libby, la sempre più ingenua e svampita Libby, prende gusto al gioco: intuito che Marak ha qualcosa da nascondere inizia a punzecchiarlo. Quindi scende in campo la fantasia frivola da ragazzina: comincia a immaginare il misterioso interlocutore, si invaghisce della sua voce. Non rimane che mettere l’abito buono, truccarsi a dismisura e correre a incontrarlo sulla macchina della mamma.
Un concatenarsi urticante di situazioni dove verrebbe voglia di saltare dentro lo schermo, scuotere poderosamente Libby per le spalle e intimarle di filare a letto. Ma suprema nemesi di tanta leggerezza, è la magnifica Joan Crawford. L’arrivo di Amy Nelson sembra, sulle prime, provvidenziale. Amy appare ai nostri occhi come una Crawford non più nel fiore degli anni e malata d’amore, una vera boccata d’aria fresca: è la vicina di casa di Marak, perdutamente innamorata di lui. Un amore scomodo, infame e doloroso. Amore che passa attraverso il ricatto e il rancore: lei, non più giovane, ha messo gli occhi su di lui ed esige il suo amore ad ogni costo. Un vortice di gestualità drammatica e di espressioni estatiche, sino al bacio “doloroso” e incredibile che piomba sullo schermo a metà del film, lasciando il segno. Lei, qualche ruga negli attenti chiaroscuri, i capelli schiariti raccolti in una monumentale costruzione di crocchie, la vistosa collana di perle, l’abito nero, il viso incattivito dalle pene del cuore. La vera eroina del film è questo fiore mai appassito, rabbioso, deluso e intramontabile.
E vale la pena di attendere (e forse perdonare) il finale, appiattito da un certo senso comico che fa da cornice a buona parte delle scene. Vale la pena di seguire col cuore in gola le peripezie delle brave ragazze e il passo inesorabile dei carnefici. Vale infine la pena di scuotere la testa e lasciarsi andare a un sorriso.
Dopotutto, certe cose si fanno per ridere.
Si fanno per morire.
Dalle risate.
Maria Silvia Avanzato
Sezione di riferimento: Vintage Collection
Scheda tecnica
Titolo originale: I Saw What You Did
Anno: 1965
Durata: 82'
Regia: William Castle
Sceneggiatura: William P. McGivern
Fotografia: Joseph F. Biroc
Montaggio: Edwin H. Bryant
Musiche: Van Alexander
Attori: Joan Crawford, John Ireland, Leif Erickson, Sara Lane, Andi Garrett