ORIZZONTI DI GLORIA - La sfida del cinema di qualità
  • HOME
  • REDAZIONE
  • LA VIE EN ROSE
  • FILM USCITI AL CINEMA
  • EUROCINEMA
  • CINEMA DAL MONDO
  • INTO THE PIT
  • VINTAGE COLLECTION
  • REVIVAL 60/70/80
  • ITALIA: TERZA VISIONE
  • AMERICA OGGI
  • ANIMAZIONE
  • TORINO FILM FESTIVAL
    • TORINO 31
    • TORINO 32
    • TORINO 33
    • TORINO 34-36-37
  • LOCARNO
    • LOCARNO 66-67-68
    • LOCARNO 69
    • LOCARNO 72-74-75-76-77
  • CANNES
    • CANNES 66
    • CANNES 67
    • CANNES 68
    • CANNES 69
  • VENEZIA
  • ALTRI FESTIVAL
  • SEZIONI VARIE
    • FILM IN TELEVISIONE
    • EXTRA
    • INTERVISTE
    • NEWS
    • ENGLISH/FRANÇAIS
  • SPECIAL WERNER HERZOG
  • SPECIAL ROMAN POLANSKI
  • ARCHIVIO DEI FILM RECENSITI
  • CONTATTI

CRIMSON PEAK - Barocco scarlatto

27/10/2015

0 Comments

 
Immagine
Contemplai la scena che mi si stendeva dinanzi, 
la casa, l'aspetto della tenuta, i muri squallidi, le finestre
simili a occhiaie vuote, i pochi giunchi maleolenti, alcuni bianchi
tronchi d'albero ricoperti di muffa; contemplai ogni cosa con tale
depressione d'animo ch'io non saprei paragonarla ad alcuna sensazione
terrestre se non al risveglio del fumatore d'oppio, l'amaro ritorno alla
vita quotidiana, il pauroso squarciarsi del velo. 


(Edgar Allan Poe, La caduta della casa Usher)

Il passato è un corpo che non può essere sepolto, non vuole farsi dimenticare, e la sua presenza si manifesta come sangue che ribolle sotto la superficie, scorre misto all’argilla, si concretizza in forme fantasmiche, abita e vive tra le architetture fatiscenti di una vecchia magione inglese. 
Avidità, cupidigia e vendetta tingono di rosso lo schermo e giustificano ogni azione in nome dell’amore, un amore mortifero, ossessivo e malato, che si nutre di vittime accecate e circuite nel suo stesso nome. 
Dopo Pacific Rim, Guillermo Del Toro torna nelle sale con la sua ultima opera, Crimson Peak, un dramma gotico con incursioni nell’horror e nel fantastico.
Lei, Edith Cushing, è una giovane americana ereditiera e scrittrice in erba, innocente e sovversiva menina velazqueziana; lui, Sir Thomas Sharpe, è un misterioso e affascinante nobiluomo inglese squattrinato, in cerca di sovvenzionamenti per la sua nuova invenzione, con l’inseparabile sorella Lucille al seguito. 
Nelle prime scene si dipana la love story tra Edith (Mia Wasikowska) e Sir Thomas (Tom Hiddleston), in un proemio funzionale alla presentazione dei protagonisti della vicenda, ma è tra i corridoi del maniero, nelle stanze in rovina dominate dalle trame di Lucille (Jessica Chastain) che la trama acquista spessore.
La magione, Allerdale Hall, nota anche come Crimson Peak, è cosa viva; tra i suoi muri si annidano le colpe e il dolore degli anni passati, che nel buio tornano a prendere forma. Appare imponente in un campo lungo, in un paesaggio desolato e desolante, e già racconta tutto di sé, dei misfatti che cela, suggestiva come appariva la vecchia villa nel film di Jean Epstein La caduta della casa Usher. Architetture gotiche, tra i toni di grigio e le sfumature di blu, salgono e delimitano lo spazio filmico, uno spazio crepuscolare, popolato da ombre e da nere falene, chiuso nella sua solitudine, decadente e cupo, con un occhio orbo che guarda al cielo, un corpo sfatto che si lascia cadere avviluppato tra lo scorrere rosso delle colpe che nasconde.
​
Guillermo Del Toro affascina lo sguardo dello spettatore con una danza incantatrice. La profondità di campo, in cui l’occhio si smarrisce, sublima il senso di smarrimento della giovane Edith. I movimenti della mdp scorrono su atmosfere gotiche e sospese che evocano i paesaggi di Arnold Böcklin e le oscure presenze di Zdzisław Beksiński, costruendo, come è solito l'autore, un mondo parallelo, in cui il fantastico è una realtà tattile, affascinante e seducente. La costruzione delle scene, barocche e opulente, sempre traboccanti di infiniti elementi decorativi, e la trasfigurazione dello spazio, si pongono come metafora del senso claustrofobico e di costrizione generato dalla menzogna e dall’inganno, elementi caratterizzanti della narrazione.
Del Toro dirige un’opera velatamente horror, popolata di fantasmi, ma nel quale gli spettri, come nel manoscritto di Edith “sono solo una metafora”. Lo spettatore si trova nel bel mezzo di un dramma sentimentale che sembra attingere a piene mani dalla letteratura gotica di fine ottocento, dalle ghost stories vittoriane, o dal nostro Fogazzaro di Malombra, e dal cinema classico di genere, in cui l’elemento fantastico è un’appendice quasi secondaria. Un delirio visivo in cui il bello si manifesta in tutte le sue forme, attraverso una regia ricca di manierismi stilistici, cromatismi e citazioni cinematografiche e letterarie. 
A volte sembra di rivivere la raffinatezza stilistica e i barocchismi del Dracula di Coppola, altre ci si trova immersi nella suspence e nelle affascinanti architetture del cinema di genere italiano, da Gli amanti dell’oltretomba di Mario Caiano (aka Allan Grunewald) alle opere di Riccardo Freda. Si rischia però di eccedere nel citazionismo e di indugiare in un divertissement estetico che lascia poco spazio al tessuto narrativo, coinvolgendo esclusivamente lo sguardo in un’iperbole visiva. La tensione resta comunque alta, anche grazie alle trovate granguignolesche con cui Del Toro arricchisce questa favola nera, indugiando ora nella morbosità di un amore incestuoso, ora nel gore fulciano di crani fracassati, tra lo scorrere del sangue e un romanticismo malato. 
Come nelle fiabe più antiche il film di Del Toro alterna ingenuità infantile ad aberranti violenze, mescolando un osceno porridge dolciastro e mefitico che a molti potrebbe risultare indigesto; ma il regista de La spina del diavolo riesce a incatenare l’occhio con il suo stile visionario, farcito di una sublime poetica in cui smarrirsi è pura delizia.

Mariangela Sansone

Sezione di riferimento: Film al cinema

​
Scheda tecnica

Titolo originale: Crimson Peak
Anno: 2015
Regia: Guillermo Del Toro
Sceneggiatura: Guillermo del Toro, Matthew Robbins
Interpreti:Mia Wasikowska, Jessica Chastain, Tom Hiddleston.  
Durata: 118’
Uscita al cinema: 22-10-2015

0 Comments

DHEEPAN - Ritorno alla guerra

23/10/2015

0 Comments

 
Immagine
Chiamatelo Re Mida, se vi va. Sin dagli albori della sua carriera da regista, Jacques Audiard ha avuto il potere e la bravura di trasformare in oro, e in premi, tutto ciò che ha toccato con mano. Un rapido elenco? Eccolo. Regarde les hommes tomber, 1994, lungometraggio d'esordio, tre premi César; Un héros très discret, 1996, premio per la miglior sceneggiatura a Cannes; Sur mes lèvres (Sulle mie labbra), 2001, tre premi César; De battre mon coeur s'est arrêté (Tutti i battiti del mio cuore), 2005, otto premi César tra cui miglior film e miglior regista; Un prophète (Il profeta), 2009, nove premi César tra cui miglior film e regista, premio speciale della giuria a Cannes e nomination all'Oscar; De rouille et d'os (Un sapore di ruggine e ossa), 2012, 4 premi César e successo internazionale. Un palmarès clamoroso, parzialmente equiparabile, nel cinema francese contemporaneo, solo a quello di Abdellatif Kechiche, perlomeno fino all'indegno boicottaggio compiuto ai suoi danni nella cerimonia dei César 2014.

Risulta dunque piuttosto paradossale, almeno sulla carta, che il massimo riconoscimento di tutto il cinema europeo, ovvero la Palma d'Oro a Cannes, sia finito nelle tasche di Audiard per Dheepan, il suo film forse in assoluto meno significativo. Una teorica stranezza che capita peraltro assai sovente, tanto da avvicinarsi ormai quasi alla norma.
L'ultimo lavoro del figlio di Michel Audiard, grande regista, sceneggiatore e dialoghista di tantissimi polar dagli anni cinquanta alla metà degli anni ottanta, è un dramma sull'immigrazione ispirato alle Lettere Persiane di Montesquieu. Al centro della scena un guerrigliero Tamil il quale, dopo l'ennesimo massacro compiuto dal governo ai danni della sua gente in Sri Lanka, decide di fuggire dalla terra natia per cercare un rifugio e una nuova vita altrove. Sfruttando i documenti di una famiglia morta sei mesi prima, Dheepan arriva in Francia con una falsa identità, accompagnato da una donna e da una bambina di nove anni, anch'esse espatriate con documenti appartenenti a persone defunte. I tre fingono di essere marito, moglie e figlia, per poter essere accolti in quella che dovrebbe diventare la loro nuova patria, lontano dall'orrore della guerra. La realtà che si presenta agli occhi dei nuovi arrivati non è però particolarmente rosea: come tanti altri immigrati Dheepan si ritrova in strada, a vendere illegalmente accendini e giochini luminosi, salvo poi avere in dote un piccolo alloggio e un posto come guardiano in una deprimente palazzina nella periferia parigina. 
Le evidenti difficoltà di inserimento nel contesto sociale sono acuite dalla non conoscenza della lingua francese, barriera a causa della quale Dheepan e la (finta) moglie faticano persino a capire le istruzioni su come effettuare le basilari mansioni relative alla manutenzione, alle pulizie e allo smistamento della posta. Intorno a loro, nel frattempo, si aprono inquietanti scenari di degrado urbano in cui trovano posto gang in lotta perenne, commerci di droga e sparatorie. Il protagonista poco alla volta cerca di trovare un posto nella fosca realtà che lo circonda, e si affeziona ai due soggetti femminili con cui si trova a dover condividere le abitudini di una famiglia che tale non è. Almeno fino a quando l'istinto del combattente tornerà prepotentemente a bussare alle porte della sua anima.

Una delle principali doti di Jacques Audiard è sempre stata quella di stabilire un determinato genere (thriller, noir, gangster movie, melodramma) come punto di riferimento iniziale e base da cui partire per dirigersi presto altrove, verso lidi originali attraverso i quali sondare con straordinario acume le mille variazioni della psiche umana. Il suo cinema è sempre stato vivo, vibrante, infuocato, avviluppante, così come le sue storie, perennemente narrate con una maestria fuori dal comune. Dheepan, invece, soprattutto nella prima parte, soffre di un certo schematismo; il film pare voglia dipingere una serie di quadretti atti ad accompagnare lo spettatore nella cornice situazionale del racconto, perdendo però per strada quel sano afflato ribelle e quella suadente libertà espressiva che hanno reso magnifici lavori come i sopracitati Sur mes lèvres e Un prophète. 
Fine indagatore delle infinite traiettorie del cuore, Audiard pare qui ingabbiarsi in una cella da cui non riesce a prendere il volo, limitandosi a una messinscena ordinata che sembra preoccuparsi troppo di rispettare le coordinate di riferimento. La parte centrale, decisamente la migliore, riesce invece finalmente a librarsi nell'aria, in parallelo con i suoi protagonisti, trovando i momenti più belli e più intensi in scene leggere, lievi ed emozionanti (la canna fumata di nascosto alla finestra, il dialogo a tavola sul senso dell'umorismo francese, il fiore regalato al picnic) durante le quali tutto il film esce dalle proprie prigioni interiori ed esteriori per trovare melodiosi gemiti di purezza. 
Empatia, sorrisi, speranze che prendono forma, illusioni che iniziano a somigliare alla realtà; una strada nuova che si avvia salvo poi sbarrarsi in breve tempo, di nuovo inglobata e soffocata da una parte finale in cui Audiard porta all'estremo il marciume sociologico della sua opera, scatenando il ritorno alla lotta di un soldato condannato dai troppi orrori vissuti. Una discesa agli inferi che si riaccende e si ripete, come a voler affermare che guerrieri si resta in eterno, tra le foreste o nel cemento, con un coltello o una pistola, per l'amore di un'idea o per l'idea di un amore.

​Nonostante i tanti difetti sopra elencati, aggravati da un epilogo assai poco credibile, non si vuole certo affermare che Dheepan sia un film brutto o fallimentare. Tutt'altro. La capacità registica di Audiard, qui impegnato in un'ampia serie di dissolvenze, inserti onirici e campi parzialmente fuorifuoco a sottolineare lo spaesamento dei personaggi, non si discute, così come è impossibile non restare ammaliati di fronte alla bravura dei suoi principali attori, Kalieaswari Srinivasan e l'ottimo Jesuthasan Antonythasan, il cui volto è un impressionante contenitore di rabbia, dolore, malinconia e determinazione. 
Scrittore e interprete con un reale passato da guerrigliero Tamil, il protagonista porta in scena molti tratti della sua vera vita (giunto in Francia agli inizi degli anni Novanta, in fuga dallo Sri Lanka, ha dovuto arrabattarsi come lavapiatti e commesso in un supermercato), dando grande forza al ritratto di un uomo destinato a trainare su di sé un gravoso carico di ferite impossibili da risanare. Cicatrici tatuate sulla pelle, ieri, oggi e per sempre. 

Alessio Gradogna

Sezioni di riferimento: Film al cinema, La vie en rose, Cannes 68


Scheda tecnica

Titolo originale: Dheepan
Anno: 2015
Durata: 109'
Regia: Jacques Audiard
Sceneggiatura: Jacques Audiard, Thomas Bidegain, Noé Debré
Fotografia: Eponine Momenceau
Montaggio: Juliette Welfling
Musiche: Nicolas Jaar
Attori: Jesuthasan Antonythasan, Kalieaswari Srinivasan, Claudine Vinasithamby, Vincent Rottiers

0 Comments

MEMORIE - In viaggio verso Auschwitz

21/10/2015

0 Comments

 
Immagine
In viaggio sullo stesso treno pur avendo scelto binari diversi per tutta la vita. In ritardo sulla costruzione di un dialogo, ma capaci di afferrare la coincidenza di uno scontro di anime. Danilo Monte porta suo fratello Roberto ad Auschwitz; è un regalo di compleanno che percorre le misteriose vie del cuore, un confronto dopo anni di incomprensioni, un’occasione per ritrovarsi uniti e ancora separati, vicini e in qualche modo lontani. Il treno è in partenza e Danilo porta con sé la telecamera.
Memorie è un diario intimo girato sottoterra, sulle rotaie, nelle cuccette, alla luce dei neon o sorseggiando sole dal finestrino; è un dialogo spinoso sulle poltroncine di un treno velocissimo e un collage di vecchi filmati di famiglia dove i soggetti sorridono distratti, al riparo dalle tempeste, ignari del futuro. Roberto è la guida inconsapevole di questo viaggio che Danilo ha pensato per lui.
Proprio Roberto, che gesticola con nervosismo e fa a pugni con le proprie emozioni, ricostruisce se stesso parlando col fratello. Scivolato faticosamente fuori da un passato recente fatto di droga, carcere e comunità, affida a Danilo un fardello pesante, pieno di rabbia, tenerezza, malinconia e frustrazione. A intervallare i suoi discorsi sono le immagini di un Roberto bambino, la sicurezza apparente di un alveo famigliare, i piccoli traguardi, i dettagli di una vita lontanissima. 
Danilo ha cercato di colmare il solco che lo divide da Roberto in maniera costruttiva, Roberto vi riversa molte paure pericolose. Il risultato è un trentenne la cui voce (vera “guida” all’interno del documentario) finisce col conquistare. Per quanto sporca e incerta, arrabbiata e confusa, è a quella voce che il regista Danilo si aggrappa: non importa in che modo giungere a un dialogo, l’importante è arrivarci.
​
Di treno in treno, Roberto emerge come un giovane devastato dal passato eppure capace di brillanti riflessioni logiche. Incompreso da sempre, ma assetato di confronto. Perso, a tratti quasi rassegnato alla sua condizione di “inutilità”, e tuttavia così bisognoso di collocare se stesso. Collocarsi. Agli occhi del fratello e dei genitori o della fidanzata che l’ha sorretto per un pezzetto di strada, finendo poi per rassegnarsi e abbandonarlo a nuovi rimorsi, a nuovi rancori.
“Non ho nemmeno un amico” dice Roberto fra un sorso di birra e l’altro, mentre gli occhi corrono timorosamente più al finestrino che a quelli del fratello. Ci appare come un ragazzo dall’innegabile potenziale, una bella mente seppure stanca, un bel cuore per quanto scoraggiato. Nuovo, approdato da poco a quel mondo dal quale ha cercato in molti modi di sottrarsi e ora relegato in un senso di profonda apatia che gli impedisce di fare qualcosa a proprio vantaggio. Più propenso a immaginare che a realizzare, ancora avvinto al bambino che è stato, che sopravvive nei suoi occhi e lascia andare il pubblico a riflessioni materne.
Che bel bambino. Che bel ragazzo. Perché rovinarsi così?
Sono commenti che si possono sentire in ogni bar di paese, luoghi comuni da sue soldi, ragionamenti buonisti. Eppure è questa la realtà: il viaggio con Roberto è un modo per conoscerlo e desiderare con Danilo la sua salvezza, la sua riabilitazione, più semplicemente la sua felicità, la sua pace interiore. Perché lo merita.
E Danilo, attento compagno di viaggio, lascia fluire ed esondare il fratello, gli permette di straripare in emozioni e sentimenti per sciacquare via la macchia delle incomprensioni. Un passaggio doloroso e necessario per ricominciare da zero, avvicinandosi quel tanto che basta a non scottarsi a vicenda. Attraverso qualche commento, qualche cauto consiglio o un pensiero sintetico, Danilo accoglie il fratello che si crede perduto a bordo del treno e puntualmente sussurra al suo orecchio “puoi scegliere di non essere perduto”. Lo avvicina con discrezione e tolleranza, calibrando toni e termini, osservando le reazioni, chiamando le cose col proprio nome.
​
Fino a giungere a quella sofferta trasformazione che soltanto la vista di un mattatoio può mettere in atto. Il grande lager di ombre, ferro e mattoni che li aspetta in fondo al viaggio ridimensiona i tormenti. Cancella discorsi, riordina le paure, preme sui punti sensibili. Ricorda, intima, grida, zittisce. Davanti all’orrore di una carneficina il cuore vivo e agitato di Roberto si lascia andare a battiti differenti. Come si misura la sofferenza umana? Che diritto abbiamo noi ad arrovellarci attorno a guerre quotidiane, quando una montagna di scarpe o un forno dal camino svettante in cielo sembrano volerci raccontare un orrore corale di smisurata potenza? Il dolore che è in noi non esiste, davanti al Dolore.
Roberto - di nuovo piccolo, di nuovo bambino che gioca col fratello – si ferma a riflettere. Finalmente è pronto a carezzare le proprie emozioni con calma. Non più incatenato al proprio concetto di “essere sbagliato” ma avvolto dal rincuorante concetto di “essere umano”, condotto da Danilo in quella direzione.
La tensione permea ogni scena; si avverte il cigolio di delicati ingranaggi che ricominciano a funzionare, oliati da poco e ancora malmessi, eppure a loro modo pronti a muoversi in qualche direzione.
Questo viaggio lascia dietro di sé una scia di tacito coraggio.
Chi può ancora salvarsi, afferri la propria libertà di farlo. Chi può vivere, lo faccia a testa alta.
E chi resta, si sforzi di ricordare.

Maria Silvia Avanzato

Sezione di riferimento: Film al cinema


Scheda tecnica

Anno: 2014
Durata: 76'
Regia e fotografia: Danilo Monte
Montaggio: Danilo Monte
Musica: Massimo Arvat
Con: Roberto Monte, Danilo Monte, Salvatore Monte, Irma Mucci, Tullio Monte, Jessica Serioli, Gabriel Monte, Lorena Grigoletto, Laura D'Amore, Simona Tilenni, Famiglia Marinello

0 Comments

SUBURRA - Il cuore nero di Roma

16/10/2015

0 Comments

 
Immagine
Il Libanese era morto.
Tanti altri erano morti, qualcuno era diventato infame, qualcuno si faceva la galera in silenzio, sognando di ricominciare, magari con un lavoretto senza pretese.
Il Samurai era ancora là. L'antico nome di battaglia denunciava ormai soltanto sogni abbandonati. Ad affibbiarglielo era stato il Dandi, ma lui aveva cercato di esserne degno.
E il potere, quello, era concreto, vivo, reale.
Il Samurai era il numero uno.

​(
Carlo Bonini, Giancarlo De Cataldo, Suburra)

Dopo ACAB - All Cops Are Bastards, il suo primo lungometraggio per il cinema, e soprattutto dopo l'incredibile successo delle serie tv Romanzo criminale e Gomorra, esce sui nostri schermi Suburra, la nuova fatica cinematografica di Stefano Sollima, tratta dall’omonimo romanzo scritto da Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo e pubblicato da Einaudi nel 2013. Inoltre, è stato annunciato di recente che la prima serie prodotta in Italia dal colosso dello streaming Netflix, che si appresta ad approdare sul nostro territorio, sarà tratta proprio da Suburra e curata sempre da Sollima.
Ambientato nel 2011, nella settimana che portò alla caduta del governo Berlusconi avvenuta il 12 novembre, la vicenda ruota attorno aduna grande speculazione edilizia nelle periferie della capitale, messa in atto dalla malavita organizzata col benestare di politici corrotti e alti prelati. L’affare però si complica in seguito alla morte di una minorenne dopo una notte di sesso e droga in un lussuoso albergo del centro capitolino che vede coinvolto l’onorevole Filippo Malgradi, a capo della commissione che dovrebbe far approvare in parlamento una legge sulle periferie in grado di trasformare il litorale di Ostia in una specie di Las Vegas. Il tragico imprevisto innesca una serie di morti e lotte tra bande rivali pronte a tutto pur di entrare nell’affare del secolo, con un conseguente e gigantesco effetto domino che non risparmierà niente e nessuno.

Raramente, o forse mai, si era vista al cinema una Roma così plumbea, cupa, piovosa (anzi fradicia), violenta e amorale come quella di Suburra. Non ci sono eroi né vittime in questa storia corale che arriva nei nostri cinema dopo lo scandalo di Mafia Capitale, l’inchiesta che ha travolto Roma in questi ultimi mesi, rendendo ancor più tristemente attuale e sentita l’uscita di uno dei titoli italiani più attesi e importanti dell’anno.
Ha solide fondamenta il film di Sollima, ben sceneggiato da Rulli e Petraglia con la collaborazione dei due autori del libro, abili nel gestire e narrare una serie di vicende che s’intersecano e avvinghiano l’una nell’altra e che vedono coinvolti personaggi disperati, violenti, meschini, corrotti e amorali, tutti piccoli piccoli nel perseguire i loro interessi. Non vi è alcuna possibilità di redenzione per il (misero) campionario di umanità che popola Suburra (dal latino sub-urbe, in origine un vasto quartiere dell'antica Roma situato sulle pendici dei colli Quirinale e Viminale fino alle propaggini dell'Esquilino) e che in fondo neanche lo cerca un possibile riscatto. Gli autori non risparmiano niente e nessuno nel mostrarci i profondi e redditizi legami che uniscono saldamente le istituzioni politiche e religiose alla malavita organizzata, in un connubio tentacolare destinato a stritolare ogni cosa.
Stefano Sollima, figlio di Sergio, uno dei nomi di punta del nostro glorioso cinema di genere, a cui l'opera è dedicata, con una palese e smaccata dichiarazione d’intenti che unisce l’amore filiale alla passione per un certo tipo di film che da noi si è perso per strada, dirige con piglio sicuro e una cifra stilistica che rimanda direttamente a Gomorra, la serie tv che lo ha consacrato definitivamente. Basti citare, a testimonianza del suo notevole talento registico, il lungo, complesso e ambizioso prologo o la feroce e brutale sparatoria nel centro commerciale.
Suburra possiede una messa in scena potente ed efficace, una tensione alta e costante che non mostra quasi mai segni di cedimento, un senso di tragicità e ineluttabilità che si respira dall'inizio alla fine e un assoluto rispetto per gli archetipi del noir. Avercene di questi tempi di film italiani così generosi, solidi e robusti, impreziositi da un cast di primissimo piano dove, oltre a una serie di bravi caratteristi e un Pierfrancesco Favino laido, viscido e meschino, spicca la gigantesca interpretazione di Claudio Amendola nel ruolo del Samurai (ovvero l’ultimo esponente della banda della Magliana), trattenuto e misurato come non mai, quasi chirurgico nel tratteggiare un personaggio feroce, potente e al tempo stesso - potremmo dire - "mite" e "banale" come solo il male sa essere.

Boris Schumacher

Sezione di riferimento: Film al cinema


Scheda tecnica

Titolo originale: Suburra
Anno: 2015
Regia: Stefano Sollima
Sceneggiatura: Sandro Petraglia, Stefano Rulli, Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini
Interpreti: Pierfrancesco Favino, Elio Germano, Claudio Amendola, Alessandro Borghi
Durata: 130’
Uscita al cinema: 14-10-2015

0 Comments
    Immagine
    Immagine
    Immagine
    ULTIME RECENSIONI PUBBLICATE

    Roverdatter
    Holy Boom
    Demain et tous les autres jours
    Nos Batailles
    The Guilty
    ​Les Gardiennes
    ​
    LE NOSTRE
     PAGINE UFFICIALI
    Immagine
    Immagine


    ​ARCHIVIO RECENSIONI FILM AL CINEMA

    Aprile 2019
    Aprile 2017
    Marzo 2017
    Gennaio 2017
    Dicembre 2016
    Novembre 2016
    Settembre 2016
    Giugno 2016
    Maggio 2016
    Aprile 2016
    Marzo 2016
    Febbraio 2016
    Gennaio 2016
    Dicembre 2015
    Novembre 2015
    Ottobre 2015
    Settembre 2015
    Agosto 2015
    Luglio 2015
    Giugno 2015
    Maggio 2015
    Aprile 2015
    Marzo 2015
    Febbraio 2015
    Gennaio 2015
    Dicembre 2014
    Novembre 2014
    Ottobre 2014
    Settembre 2014
    Agosto 2014
    Luglio 2014
    Giugno 2014
    Maggio 2014
    Aprile 2014
    Marzo 2014
    Febbraio 2014
    Gennaio 2014
    Dicembre 2013
    Novembre 2013
    Ottobre 2013
    Settembre 2013
    Agosto 2013
    Luglio 2013
    Giugno 2013
    Maggio 2013
    Aprile 2013

    Feed RSS

Powered by Create your own unique website with customizable templates.