Memorie è un diario intimo girato sottoterra, sulle rotaie, nelle cuccette, alla luce dei neon o sorseggiando sole dal finestrino; è un dialogo spinoso sulle poltroncine di un treno velocissimo e un collage di vecchi filmati di famiglia dove i soggetti sorridono distratti, al riparo dalle tempeste, ignari del futuro. Roberto è la guida inconsapevole di questo viaggio che Danilo ha pensato per lui.
Proprio Roberto, che gesticola con nervosismo e fa a pugni con le proprie emozioni, ricostruisce se stesso parlando col fratello. Scivolato faticosamente fuori da un passato recente fatto di droga, carcere e comunità, affida a Danilo un fardello pesante, pieno di rabbia, tenerezza, malinconia e frustrazione. A intervallare i suoi discorsi sono le immagini di un Roberto bambino, la sicurezza apparente di un alveo famigliare, i piccoli traguardi, i dettagli di una vita lontanissima.
Danilo ha cercato di colmare il solco che lo divide da Roberto in maniera costruttiva, Roberto vi riversa molte paure pericolose. Il risultato è un trentenne la cui voce (vera “guida” all’interno del documentario) finisce col conquistare. Per quanto sporca e incerta, arrabbiata e confusa, è a quella voce che il regista Danilo si aggrappa: non importa in che modo giungere a un dialogo, l’importante è arrivarci.
Di treno in treno, Roberto emerge come un giovane devastato dal passato eppure capace di brillanti riflessioni logiche. Incompreso da sempre, ma assetato di confronto. Perso, a tratti quasi rassegnato alla sua condizione di “inutilità”, e tuttavia così bisognoso di collocare se stesso. Collocarsi. Agli occhi del fratello e dei genitori o della fidanzata che l’ha sorretto per un pezzetto di strada, finendo poi per rassegnarsi e abbandonarlo a nuovi rimorsi, a nuovi rancori.
“Non ho nemmeno un amico” dice Roberto fra un sorso di birra e l’altro, mentre gli occhi corrono timorosamente più al finestrino che a quelli del fratello. Ci appare come un ragazzo dall’innegabile potenziale, una bella mente seppure stanca, un bel cuore per quanto scoraggiato. Nuovo, approdato da poco a quel mondo dal quale ha cercato in molti modi di sottrarsi e ora relegato in un senso di profonda apatia che gli impedisce di fare qualcosa a proprio vantaggio. Più propenso a immaginare che a realizzare, ancora avvinto al bambino che è stato, che sopravvive nei suoi occhi e lascia andare il pubblico a riflessioni materne.
Che bel bambino. Che bel ragazzo. Perché rovinarsi così?
Sono commenti che si possono sentire in ogni bar di paese, luoghi comuni da sue soldi, ragionamenti buonisti. Eppure è questa la realtà: il viaggio con Roberto è un modo per conoscerlo e desiderare con Danilo la sua salvezza, la sua riabilitazione, più semplicemente la sua felicità, la sua pace interiore. Perché lo merita.
E Danilo, attento compagno di viaggio, lascia fluire ed esondare il fratello, gli permette di straripare in emozioni e sentimenti per sciacquare via la macchia delle incomprensioni. Un passaggio doloroso e necessario per ricominciare da zero, avvicinandosi quel tanto che basta a non scottarsi a vicenda. Attraverso qualche commento, qualche cauto consiglio o un pensiero sintetico, Danilo accoglie il fratello che si crede perduto a bordo del treno e puntualmente sussurra al suo orecchio “puoi scegliere di non essere perduto”. Lo avvicina con discrezione e tolleranza, calibrando toni e termini, osservando le reazioni, chiamando le cose col proprio nome.
Fino a giungere a quella sofferta trasformazione che soltanto la vista di un mattatoio può mettere in atto. Il grande lager di ombre, ferro e mattoni che li aspetta in fondo al viaggio ridimensiona i tormenti. Cancella discorsi, riordina le paure, preme sui punti sensibili. Ricorda, intima, grida, zittisce. Davanti all’orrore di una carneficina il cuore vivo e agitato di Roberto si lascia andare a battiti differenti. Come si misura la sofferenza umana? Che diritto abbiamo noi ad arrovellarci attorno a guerre quotidiane, quando una montagna di scarpe o un forno dal camino svettante in cielo sembrano volerci raccontare un orrore corale di smisurata potenza? Il dolore che è in noi non esiste, davanti al Dolore.
Roberto - di nuovo piccolo, di nuovo bambino che gioca col fratello – si ferma a riflettere. Finalmente è pronto a carezzare le proprie emozioni con calma. Non più incatenato al proprio concetto di “essere sbagliato” ma avvolto dal rincuorante concetto di “essere umano”, condotto da Danilo in quella direzione.
La tensione permea ogni scena; si avverte il cigolio di delicati ingranaggi che ricominciano a funzionare, oliati da poco e ancora malmessi, eppure a loro modo pronti a muoversi in qualche direzione.
Questo viaggio lascia dietro di sé una scia di tacito coraggio.
Chi può ancora salvarsi, afferri la propria libertà di farlo. Chi può vivere, lo faccia a testa alta.
E chi resta, si sforzi di ricordare.
Maria Silvia Avanzato
Sezione di riferimento: Film al cinema
Scheda tecnica
Anno: 2014
Durata: 76'
Regia e fotografia: Danilo Monte
Montaggio: Danilo Monte
Musica: Massimo Arvat
Con: Roberto Monte, Danilo Monte, Salvatore Monte, Irma Mucci, Tullio Monte, Jessica Serioli, Gabriel Monte, Lorena Grigoletto, Laura D'Amore, Simona Tilenni, Famiglia Marinello