Il passo in avanti di cui si parla fu pianificato nel 1972, quando un gruppo di politici visionari stilò il manifesto programmatico “La famiglia del futuro”, destinato a cambiare, e a migliorare, per sempre la società svedese. L'obiettivo prefissato consisteva nella realizzazione dell'indipendenza di ogni cittadino, “liberando” le mogli dai mariti, gli anziani dai figli, gli adolescenti dai genitori. Ogni individuo doveva evolversi in maniera autonoma e non essere considerato l'appendice di qualcun altro.
Non è dunque un caso che Scene da un matrimonio di Ingmar Bergman, sceneggiato televisivo prima e adattamento cinematografico poi, sia datato 1973. L'opera di Bergman evidenziava appunto i limiti del rapporto di coppia all’interno di una struttura, quella coniugale, ormai obsoleta. Ma già il teatro nordico a cavallo tra Ottocento e Novecento sfornava figure femminili che rinnegavano il ruolo di moglie e madre, rivendicando il diritto all'indipendenza dalla famiglia borghese. Come non ricordare Nora Helmer in Casa di bambola (1879) di Ibsen? O Gertrud (1906) di Hjalmar Söderberg (da cui Carl Theodor Dreyer ha tratto l'omonimo film)?
Sorge però spontanea la domanda di quale sia stato il reale impatto delle politiche adottate negli anni '70 nella società scandinava. In Svezia, nel 2015, quasi la metà dei nuclei familiari è composta di un unico elemento (la media più alta al mondo). Una persona su quatto muore senza l'assistenza di amici e parenti, molte donne single preferiscono rivolgersi alla banca del seme per far nascere e crescere un figlio senza il bisogno di un partner. Ma gli Svedesi sono felici? A quanto pare la risposta è negativa, perché l'autonomia e la sicurezza garantite dallo Stato non bastano a superare la profonda tristezza generata dall'isolamento e dalla solitudine.
Quest’ultima considerazione ha spinto Erik Gandini a girare un documentario che metta in discussione le basi del modello sociale più individualista al mondo, insinuando dubbi sulla sua validità. L’insoddisfazione degli Svedesi sembra essere in effetti il prodotto della perdita del senso della comunità: ecco perché prendono forma gruppi di cittadini che si dedicano alla ricerca di persone scomparse o di giovani che si radunano nei boschi per riscoprire lo spirito di aggregazione. Oppure c'è chi addirittura compie una scelta estrema lasciando il proprio Paese per svolgere la professione di medico in Africa.
Certo, manca un’analisi critica dell’altra faccia della medaglia, cioè delle società in cui persistono pesanti condizionamenti familiari, culturali e religiosi, che limitano l'esistenza di uomini e donne. Tuttavia Gandini ha dichiarato che il suo lavoro vuole rappresentare il punto di partenza per un dibatto “che potrebbe portare a qualcosa di buono”.
Un ulteriore spunto di riflessione, che avvalla la tesi del regista, lo regala il sociologo polacco Zygmunt Bauman, alle cui lucide considerazioni sono affidati gli ultimi minuti del film: “Non è vero che la felicità significhi una vita priva di problemi. Una vita felice si ottiene fronteggiando le difficoltà, risolvendole. Accetti una sfida, fai del tuo meglio e ti impegni a vincerla. Si sperimenta la felicità nel momento in cui ci si rende conto di aver tenuto testa alle avversità e al destino. Ora, invece, la gioia di aver superato un problema, affrontandolo a pieno petto, è perduta. Siamo privati di essa quando il comfort aumenta”. Poi prosegue: “Abbiamo tutto. Abbiamo quello che ci serve per evitare la fame, la miseria, la povertà. Una cosa che non abbiamo, e che non ci può essere fornita dallo Stato, dai politici che stanno in alto, è lo stare insieme agli altri. Stare con altre persone, far parte di un gruppo: di questo ti devi occupare tu. Le persone che sono abituate a essere indipendenti stanno perdendo la capacità di accettare la convivenza con altra gente, perché sono già state private della capacità di socializzare. Ci vogliono molti sforzi, molta attenzione. Bisogna negoziare, rinegoziare, ridiscutere, concordare, ricreare. L'indipendenza ci priva delle capacità di fare tutto questo”. E conclude: “Più siamo indipendenti, meno siamo in grado di fermare la nostra indipendenza e di sostituirla con una piacevolissima interdipendenza”.
Serena Casagrande
Sezione di riferimento: Film al cinema
Scheda tecnica
Titolo originale: The Swedish Theory of Love
Anno: 2015
Regia: Erik Gandini
Sceneggiatura: Erik Gandini
Fotografia: Vania Tegamelli, Carl Nilsson, Fredrik Wenzel, Lukas Eisenhauer, Kristian Bengtsson, Daniel Takacs.
Montaggio: Johan Söderberg
Musica: Johan Söderberg
Durata: 76'/90'
Uscita in Italia: 22 settembre 2016
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