Presentato in concorso all’ultimo Toronto Film Festival e fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, il film propone un’osservazione dei visitatori dell’ex campo di concentramento di Sachsenhausen attraverso uno straordinario documentario sulla memoria e sulla persistenza, sulla fruizione individuale e collettiva di un luogo di morte e di dolore. Loznista, durante una calda giornata estiva, piazza una telecamera ad altezza d’uomo e registra: il percorso turistico che le persone seguono per visitare il campo è lo stesso che facevano i prigionieri un tempo. Qualcuno passeggia tra i viali delimitati dai dormitori, e altri scattano in continuazione selfie all’interno dei forni crematori; altri ancora consumano il pranzo al sacco sul lastricato della strada delle fosse comuni. Con questo film il regista pone una vera e propria riflessione sul senso della testimonianza e della memoria della Shoah.
<< L’idea di fare questo film mi è venuta perché visitando questi luoghi ho sentito subito una sensazione sgradevole nel mio essere lì. Sentivo come se la mia stessa presenza fosse eticamente discutibile e avrei voluto davvero capire, attraverso il volto delle persone, degli altri visitatori, come ciò che guardavano si riflettesse sul loro stato d’animo. Ma non nascondo di esserne rimasto, alla fine, abbastanza perplesso. Ciò che induce migliaia di persone a trascorrere i fine settimana estivi in un ex campo di concentramento è uno dei misteri di questi luoghi della Memoria. Si può fare riferimento alla buona volontà, al desiderio di compassione e pietà che Aristotele collega con la tragedia. Ma questa spiegazione non risolve il mistero. Perché una coppia di innamorati o una madre con il suo bambino vanno a fare visita ai forni crematori in una giornata di sole estivo? Ho concepito questo film per cercare di confrontarmi con queste domande >>.
Il titolo del film si riferisce al romanzo omonimo scritto da W. G. Sebald, dedicato alla memoria della Shoah. Loznitsa si affida alla profondità dello sguardo del protagonista, Jacques Austerlitz, professore di architettura che svela attraverso i luoghi la dolorosa Memoria di quel terribile periodo.
Austerlitz diventa un itinerario di ricerca assolutamente angosciante e tragico dove il cinema rigoroso e umanista del regista ucraino sceglie di rendere invisibile la propria presenza, di non pedinare le persone ma di immergersi insieme a loro. Il regista guarda con una giusta distanza e si avvicina man mano mostrandoci il rapporto della storia con il presente. Il campo di concentramento di Sachsenhausen sembra aver perso tragicamente la sua identità trasformandosi in un luogo di attrazione turistica. Sembra addirittura non far parte più di questo presente, non c’è nessuna interazione con i turisti, il bianco e nero utilizzato per indicare una memoria sbiadita è completamente discordante con quella presente, non ci sono prigionieri condannati a morte e non vi è traccia di nessun dolore, solo echi lontani, proveniente dalle descrizioni delle guide.
Siamo travolti da persone indifferenti che cercano di trovare le tracce di qualcosa, ma senza nessuna possibilità di ricostruire il passato. L’atmosfera è gelida e ci ritroviamo a osservare attentamente questi personaggi svogliati, distratti, che si trascinano con in mano il loro cellulare e le loro macchine digitali, per tutto il campo. L’unico modo di tenersi occupati e di farsi coinvolgere e fare uno scatto e riprendere quello che stanno vedendo. Non c’è nessuna possibilità di connessione emotiva o empatica con il passato. Si rimane esterrefatti mentre si osservano i turisti che si scattano selfie posando con un sorriso all’ingresso del campo, di fronte alla scritta “Arbeit macht frei”.
E’ palese che le persone non pensano e non riescono a capire dove sono. Il turista risulta cieco e l’architettura è l’unico soggetto che rimane sempre a fuoco in ogni scena, mantenendo una sorta di dignità. Le persone sono un elemento secondario. Se si prende come riferimento la persona, al centro dell’inquadratura la composizione potrebbe venir intesa come "sbagliata". L’individuo non è mai l’oggetto principale. A volte le persone sono tagliate a metà fuori dall’inquadratura, a volte sono lontane dal centro.
Per aumentare la resa, l'autore ha effettuato un lavoro sopraffino per il suono: tre mesi di lavoro sull’audio, registrazione dei suoni sul set, dopodiché il sound design, con foley e altri. E’ interessante osservare come il suono cambi la nostra attenzione. Il regista e i suoi collaboratori hanno raccolto migliaia di clic ossessivi e incessanti, ricavati da ogni tipo di fotocamere o marchio. Hanno scelto i migliori e li hanno arrangiati come in una specie di composizione musicale.
<< Ho girato Austerlitz perché la tematica mi toccava molto da vicino. Quando ci sono andato (per la prima volta), ero sorpreso e non sapevo se mi era permesso stare lì, eticamente . Mi sono chiesto se era un luogo da osservare da un punto di vista morale: mi sono detto “Perché no”? >>
Ecco allora che la nostra attenzione si focalizza sui dettagli monumentali che il Tempo ha conservato e che la Memoria dovrà preservare, e sui dettagli umani, sulle parole dei visitatori, sui rumori dei gruppi organizzati, sui gesti: le voci delle guide, i cartelli insistentemente fotografati, i forni crematori, le stanze buie, soffocanti e claustrofobiche, le docce, i panini e le bibite, i luoghi delle torture, le code per entrare, i selfie, le t-shirt fuori luogo, le risate.
Austerlitz è un documentario che ci invita costantemente a sensibilizzare il nostro sguardo: guardare, osservare e assimilare la memoria aprendo un nostro archivio segreto, per riportare alla luce informazioni preziose che la trascuratezza o, peggio ancora, la volontà di dimenticare possono occultare. Un potente strumento per capire e per rispondere alle sollecitazioni del presente. Ma forse la Shoah è stata a tal punto mostruosa da risultare incomprensibile con le comuni capacità della mente umana. L’inadeguatezza e la spensieratezza del loro muoversi sono elementi che saltano all’occhio vividi sin dalla prima inquadratura, in una dinamica di crescente evidenza che il regista non cerca ma che, piuttosto, si rivela da sola attraverso l’estremo e dirompente realismo del flusso di immagini catturate.
Dopo il poderoso Shoah di Claude Lanzmann, Loznitsa sottolinea l’importanza dell’osservazione, realizzando un’opera che pone una nuova e necessaria riflessione sul senso e il valore della Memoria. Austerlitz ci invita a riflettere affinché la dignità della memoria storica non venga sopraffatta, irrimediabilmente, dal sonno della ragione, ricordandoci che conservare il valore dell’atto di ricordare non è solo un gesto morale dovuto, ma un continuo richiamo al senso del rispetto e della responsabilità da parte di tutti, perché un’umanità cieca e senza memoria è un’umanità destinata alla perdizione.
“Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per un pezzo di pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi”.
(Se questo è un uomo, Primo Levi)
Erica Francesca Bruni
Sezione di riferimento: Film al cinema
Scheda tecnica
Titolo: Austerlitz
Regia e Sceneggiatura: Sergei Loznitsa
Attori: --
Durata: 93'
Fotografia: Sergei Loznitsa, Jesse Mazuch
Musica: Vladimir Golovnitski
Anno: 2016
Uscita al cinema: 25 gennaio 2017