Boyhood è un'opera che si staglia in maniera dilagante sulla cinematografia del regista texano, e non per l'ideazione e concezione – dodici anni di riprese, due anni di pre-produzione e due di post-produzione –, ma soprattutto per la maturità. La cifra stilistica stesa longitudinalmente durante i 165 minuti di film è infatti la messa in scena della vita, del divenire adulti e del passare di un tempo che regola, simultaneamente, l'atto di filmare e l'universo della diegesi.
Boyhood, ambientato in Texas, segue le vicissitudini di Mason (Ellar Coltrane) e della sorella Samantha (Lorelei Linklater) attraverso il fluttuare degli anni, dal divorzio dei genitori, Olivia (Patricia Arquette) e Mason Sr. ( Ethan Hawke ), all'incontro con i nuovi compagni della madre; relazioni che implicano traslochi, nuove scuole e amici. Ogni momento del film equivale a un passaggio della crescita individuale degli attori, e la “adolescenza” del titolo è il fulcro intorno al quale si misurano le capacità e le ansie di tutti, che siano essi genitori, conoscenti o nuovi amori.
Nonostante il film sia composto da una moltitudine di momenti, appare difficile se non impossibile evidenziarne qualcuno in particolare; Linklater decide di concertarsi sul “tutto”, privilegiando la sensazione di partecipare al ricordo emozionale e sincero che Mason ha del percorso che l'ha portato a essere un giovane adulto. Il regista decide di non rimarcare i passaggi tra gli anni e tra gli episodi; non vi è alcun affidamento a voci over, didascalie e date. La componente musicale e la fisicità degli attori sono i termini di paragone per decifrare lo scorrere degli anni.
Proprio questa scelta – un continuo perdersi e ritrovarsi grazie a profonde e significative ellissi narrative – appare vincente per far si che, lentamente e senza difficoltà, al fruitore dell'opera filmica sia permesso di passare dallo stato di spettatore a quello di testimone. Ma testimone di cosa? Della sua crescita e della conseguente articolazione e problematizzazione psicologica? Dell'adesione a un modello adulto rappresentato dai genitori?
Lo stesso Linklater evidenzia quest'ultima eventualità, affermando che da giovane «tutte le persone mi dicevano di fare questo o quello. Ma davvero volevo diventare come loro? Assolutamente no, quindi facevo l'esatto opposto di quanto mi si diceva» (Sight & Sound, August 2014).
Ognuno di noi è stato bambino e ha quindi avuto eroi da seguire, ma perseguendo questi modelli, purtroppo, qualcuno si è perso per strada, diventando per difetto il proprio antieroe, o per opposizione il proprio eroe negativo. I prototipi adulti con cui Mason è messo in relazione sono il padre, l'insegnante universitario Bill e l'ex militare Jim, compagni fallimentari di Olivia nella sua ricerca di una stabilità familiare. Se Mason Sr. è assente per lavoro, Bill e Jim sono troppo duri con loro stessi e con gli altri, ed entrambi celano debolezze dietro all'abuso di alcol.
Mason, semplicemente, non vuole essere un eroe, così come cantano i Family of the year nella loro Hero – uno dei pezzi musicali più significativi del film – : «Let me go, I don't want to be your hero, I don't wanna be a big man, I just wanna fight with everyone else, Your masquerade, I don't wanna be a part of your parade...». Molto banalmente, egli vuole essere ciò che è in grado di desiderare, sia esso uno slacker o un cittadino conformato alle regole.
Passando oltre dobbiamo, giocoforza, tornare all'elemento tempo e proseguire verso la meravigliosa liaison che Boyhood stringe con la vita vera e propria. Linklater, girando in 35 mm – fattore che massimizza le peculiarità deiettiche del mezzo cinematografico – riesce con Boyhood a imprimere in maniera indelebile lo scorrere del tempo e a renderlo percettibile e corporeo: esso non è più uno strumento o un espediente, bensì il protagonista della messa in scena. Linklater non “scolpisce il tempo”, prendendo a prestito il titolo di un noto libro del celebre Tarkovskij: esso è invece la luce che imprime la pellicola, è la vita vera.
D'altronde non è certo la prima volta che il regista originario di Austin gioca con il materiale temporale piegandolo o rispettandolo in maniera alternata; ha infatti realizzato lavori confinati alla durata di un giorno o di una notte (Slacker, La vita è un sogno, SubUrbia), alcuni filmati in tempo reale (Tape) e la trilogia di Before, che intrattiene legami con entrambe le modalità precedentemente elencate. Ciò rende il cinema di Linklater interessante e mai scontato.
Qui l'atto di filmare appare più importante del seppur eccelso risultato finale. La vita va di pari passo alla prassi cinematografica, modificandola e plasmandola. Il suo lavorio è incessante e fecondo. Linklater, per quanto tentato dalla pianificazione meticolosa del tessuto narrativo, si è arreso e piegato alla crescita del progetto, deviando dal sentiero originario per arricchirlo. Regista, troupe e attori si sono incontrati per tre/quattro giorni di riprese l'anno per dodici anni, concedendosi moltissimo tempo per editing e idee. Così è accaduto che, ad esempio, la passione per la fotografia nata nel giovane Coltrane sia poi collassata sul suo personaggio.
In conclusione, Boyhood è un'opera meravigliosa che nasce dalla forza dirompente che la vita imprime sull'atto di “pensare per immagini”, evidenziando la frattura che si instaura tra il découpage e il montaggio finale del film. Boyhood non inizia e non finisce davanti ai nostri occhi, e questo suo “accadere” affascina profondamente.
Emanuel Carlo Micali
Sezione di riferimento: Film al cinema
Scheda tecnica
Titolo originale: Boyhood
Anno: 2014
Regia: Richard Linklater
Sceneggiatura: Richard Linklater
Fotografia: Lee Daniels, Shane F. Kelly
Durata: 165’
Uscita in Italia: 16 ottobre 2014
Attori principali: Ellar Coltrane, Ethan Hawke, Patricia Arquette