Una scia sulla quale Bling Ring va a collocarsi di gran carriera, senza compromettere di un millimetro l’inamovibile tracciato che la poetica della regista ha negli anni intrapreso. La Coppola ricorre a una regia totalmente impersonale, lontana dalle lentezze insistite e dalle pose arty di Somewhere: montaggio frenetico, ritmi elevatissimi e il magnetismo animale dei gioielli e delle collane, delle scarpe firmate e dei capi di moda extralusso. Figure che in avvio irrompono nel nero pece di un esterno notte sulle note pop e formicolanti della Crown on the ground delle Sleigh Bells, con quei groove graffianti che immergono subito il film nel liquido amniotico della demitizzazione, della denuncia del lato oscuro del pop e delle sue forme più minacciose.
È la giusta veste formale e contenutistica per personaggi totalmente inetti e insopportabili, che nulla sanno fare e ancor meno sembrano avere da dire, cercando conferma delle loro personalità assenti solo ed esclusivamente nell’appropriazione degli averi delle star e nelle irruzioni in ville lussuose di proprietà dei vip da loro adorati. Automi dalle emozioni plastificate, ripresi da telecamere di sicurezza che ne restituiscono la dimensione irreale filtrandola e facendone un documento sociale di una freddezza inaudita.
Nicki, Sam, Mark, Chloe e Rebecca e la loro laida, stomachevole superficialità per un’ora di film sono raccontati dalla Coppola senza apparente sforzo, con un stile mimetico che sembra nascondersi dietro i diamanti e i profili Facebook, gli scatti instagram e gli smartphone, la velocità delle condivisioni e tutto il campionario di inutilità contemporanea di questi wanna be cool e ladruncoli. Le riprese a circuito chiuso sono parte integrante di una totale adesione alla storia da una prospettiva ben più che seminascosta: in una scena si ricorre addirittura ad un alienante campo luogo di una dimora (un momento da applausi, calibrato e sorvegliatissimo) e altrove i suoni vengono spesso messi a tacere, creando un acquario pneumatico a dir poco opprimente. Si vedano, a questo proposito, le sequenze delle feste e dei vestiti in serie à la Marie Antoinette, della cocaina e dei ralenti (su tutti quello strombazzato, ad alto tasso erotico, di Emma Watson). La Coppola è ancora una volta magistrale, questa volta nel riversarci addosso una montagna di disgusto e asfissia anche se col minimo sforzo, con un piano di regia plagiato dalle scorciatoie dell’estetica Mtv e da esse subissato, tra autoreferenziali camei (Kirsten Dunst) e rapporti d’amicizia dalle dinamiche demenziali, fatti di colpe rinfacciate e bellocci autocompiaciuti.
Peccato però che questa sorprendente tenuta, impassibile rispetto a tutto e tutti e fissa sul proprio obiettivo, collassi nell’ultima mezz’ora in modo francamente un po’ inspiegabile. Dopo che Mark vede una delle sue compari allontanarsi oltre l’auto in cui si trova con in mano una valigia (una scena che sa di svolta), il distacco tra lo sguardo di Sofia e i suoi personaggi si acuisce oltre ogni limite, allontanandosi dall’anonimato e dalla fermezza per palesare una rabbia velenosa per la gretta stupidità di questa gioventù bruciata 2.0, che sembra indispettire Sofia più di qualsiasi altra cosa. L’invettiva del pamphlet fa precipitare l’operazione e compromette inevitabilmente l’irreprensibilità dello sguardo della Coppola, annebbiato da un giudizio moralistico che non può non mettere in discussione la lucidità complessiva. Fosse stato uguale dall’inizio alla fine, Bling Ring sarebbe stato un grande film. Ma così sembra solo un’occasione malamente sprecata.
Davide Eustachio Stanzione
Sezione di riferimento: Film al cinema
Scheda tecnica
Anno: 2013
Durata: 87'
Regia: Sofia Coppola
Sceneggiatura: Sofia Coppola
Fotografia: Harris Savides, Christopher Blauvelt
Montaggio: Sarah Flack
Costumi: Stacey Battat
Scenografia: Anne Ross
Attori: Katie Chang, Israel Broussard, Emma Watson, Claire Julien, Taissa Farmiga, Leslie Mann
Uscita italiana: 26 settembre 2013