Risulta dunque piuttosto paradossale, almeno sulla carta, che il massimo riconoscimento di tutto il cinema europeo, ovvero la Palma d'Oro a Cannes, sia finito nelle tasche di Audiard per Dheepan, il suo film forse in assoluto meno significativo. Una teorica stranezza che capita peraltro assai sovente, tanto da avvicinarsi ormai quasi alla norma.
L'ultimo lavoro del figlio di Michel Audiard, grande regista, sceneggiatore e dialoghista di tantissimi polar dagli anni cinquanta alla metà degli anni ottanta, è un dramma sull'immigrazione ispirato alle Lettere Persiane di Montesquieu. Al centro della scena un guerrigliero Tamil il quale, dopo l'ennesimo massacro compiuto dal governo ai danni della sua gente in Sri Lanka, decide di fuggire dalla terra natia per cercare un rifugio e una nuova vita altrove. Sfruttando i documenti di una famiglia morta sei mesi prima, Dheepan arriva in Francia con una falsa identità, accompagnato da una donna e da una bambina di nove anni, anch'esse espatriate con documenti appartenenti a persone defunte. I tre fingono di essere marito, moglie e figlia, per poter essere accolti in quella che dovrebbe diventare la loro nuova patria, lontano dall'orrore della guerra. La realtà che si presenta agli occhi dei nuovi arrivati non è però particolarmente rosea: come tanti altri immigrati Dheepan si ritrova in strada, a vendere illegalmente accendini e giochini luminosi, salvo poi avere in dote un piccolo alloggio e un posto come guardiano in una deprimente palazzina nella periferia parigina.
Le evidenti difficoltà di inserimento nel contesto sociale sono acuite dalla non conoscenza della lingua francese, barriera a causa della quale Dheepan e la (finta) moglie faticano persino a capire le istruzioni su come effettuare le basilari mansioni relative alla manutenzione, alle pulizie e allo smistamento della posta. Intorno a loro, nel frattempo, si aprono inquietanti scenari di degrado urbano in cui trovano posto gang in lotta perenne, commerci di droga e sparatorie. Il protagonista poco alla volta cerca di trovare un posto nella fosca realtà che lo circonda, e si affeziona ai due soggetti femminili con cui si trova a dover condividere le abitudini di una famiglia che tale non è. Almeno fino a quando l'istinto del combattente tornerà prepotentemente a bussare alle porte della sua anima.
Una delle principali doti di Jacques Audiard è sempre stata quella di stabilire un determinato genere (thriller, noir, gangster movie, melodramma) come punto di riferimento iniziale e base da cui partire per dirigersi presto altrove, verso lidi originali attraverso i quali sondare con straordinario acume le mille variazioni della psiche umana. Il suo cinema è sempre stato vivo, vibrante, infuocato, avviluppante, così come le sue storie, perennemente narrate con una maestria fuori dal comune. Dheepan, invece, soprattutto nella prima parte, soffre di un certo schematismo; il film pare voglia dipingere una serie di quadretti atti ad accompagnare lo spettatore nella cornice situazionale del racconto, perdendo però per strada quel sano afflato ribelle e quella suadente libertà espressiva che hanno reso magnifici lavori come i sopracitati Sur mes lèvres e Un prophète.
Fine indagatore delle infinite traiettorie del cuore, Audiard pare qui ingabbiarsi in una cella da cui non riesce a prendere il volo, limitandosi a una messinscena ordinata che sembra preoccuparsi troppo di rispettare le coordinate di riferimento. La parte centrale, decisamente la migliore, riesce invece finalmente a librarsi nell'aria, in parallelo con i suoi protagonisti, trovando i momenti più belli e più intensi in scene leggere, lievi ed emozionanti (la canna fumata di nascosto alla finestra, il dialogo a tavola sul senso dell'umorismo francese, il fiore regalato al picnic) durante le quali tutto il film esce dalle proprie prigioni interiori ed esteriori per trovare melodiosi gemiti di purezza.
Empatia, sorrisi, speranze che prendono forma, illusioni che iniziano a somigliare alla realtà; una strada nuova che si avvia salvo poi sbarrarsi in breve tempo, di nuovo inglobata e soffocata da una parte finale in cui Audiard porta all'estremo il marciume sociologico della sua opera, scatenando il ritorno alla lotta di un soldato condannato dai troppi orrori vissuti. Una discesa agli inferi che si riaccende e si ripete, come a voler affermare che guerrieri si resta in eterno, tra le foreste o nel cemento, con un coltello o una pistola, per l'amore di un'idea o per l'idea di un amore.
Nonostante i tanti difetti sopra elencati, aggravati da un epilogo assai poco credibile, non si vuole certo affermare che Dheepan sia un film brutto o fallimentare. Tutt'altro. La capacità registica di Audiard, qui impegnato in un'ampia serie di dissolvenze, inserti onirici e campi parzialmente fuorifuoco a sottolineare lo spaesamento dei personaggi, non si discute, così come è impossibile non restare ammaliati di fronte alla bravura dei suoi principali attori, Kalieaswari Srinivasan e l'ottimo Jesuthasan Antonythasan, il cui volto è un impressionante contenitore di rabbia, dolore, malinconia e determinazione.
Scrittore e interprete con un reale passato da guerrigliero Tamil, il protagonista porta in scena molti tratti della sua vera vita (giunto in Francia agli inizi degli anni Novanta, in fuga dallo Sri Lanka, ha dovuto arrabattarsi come lavapiatti e commesso in un supermercato), dando grande forza al ritratto di un uomo destinato a trainare su di sé un gravoso carico di ferite impossibili da risanare. Cicatrici tatuate sulla pelle, ieri, oggi e per sempre.
Alessio Gradogna
Sezioni di riferimento: Film al cinema, La vie en rose, Cannes 68
Scheda tecnica
Titolo originale: Dheepan
Anno: 2015
Durata: 109'
Regia: Jacques Audiard
Sceneggiatura: Jacques Audiard, Thomas Bidegain, Noé Debré
Fotografia: Eponine Momenceau
Montaggio: Juliette Welfling
Musiche: Nicolas Jaar
Attori: Jesuthasan Antonythasan, Kalieaswari Srinivasan, Claudine Vinasithamby, Vincent Rottiers
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