Oggi il regista ritorna su quella pagina sanguinosa rappresentata dal colpo di stato ai danni del Partito Comunista Indonesiano, raccontando la realtà dal punto di vista diametralmente opposto, quello degli sconfitti. O meglio, dei loro eredi. Quasi a voler filmare il controcampo della Storia, di quella Storia, scegliendo un approccio filmico completamente diverso che non riduce The Look of Silence alla stregua di un sequel comunemente inteso, bensì a opera complementare rispetto al film precedente. In questo modo non si potrà più parlare a proposito di The Act of Killing senza ripartire anche da qui, perché l’unica maniera per cercare di afferrare e comprendere la complessità del reale è illuminarla attraverso la diversità – termine quanto mai necessario, eppure così comunemente frainteso – dei punti di vista.
Protagonista del film è Adi, un oculista di mezza età la cui famiglia ha vissuto sulla propria pelle le stragi del 1965: suo fratello fu infatti assassinato alcuni anni prima della sua nascita, lasciando nei suoi genitori una ferita ancora oggi impossibile da sanare. Adi guarda le registrazioni video di Oppenheimer, un vastissimo archivio realizzato dal regista nel corso degli anni; in quelle immagini ritrova i carnefici del fratello, ma anche di molti altri civili barbaramente trucidati perché accusati di attività comuniste. Lui guarda, da lontano: lontano nel tempo, perché ormai quei fatti sono Storia, ma anche dimostrando una (apparente) freddezza che lascia senza fiato.
La sua umanità ferisce lo spettatore e gli provoca un brivido gelido lungo la schiena: Adi vuole vedere per capire, non per nutrire odio o inseguire un sentimento di vendetta. Non giudica, ma riflette; non parla, ma rimane in silenzio. Ecco, quel suo silenzio assume le dimensioni titaniche di un gesto morale che va di pari passo con lo sguardo di Oppenheimer, il quale ritorna sul genocidio indonesiano per ribadire la componente etica del suo cinema: l’immagine come strumento di preservazione della memoria, ma anche come arma di inarrestabile potenza in grado di portare a galla le verità nascoste della Storia.
Adi è un oculista, e viaggia di paziente in paziente per migliorare loro la vista; tra i suoi clienti oggi ci sono molte persone che hanno avuto a che fare, più o meno direttamente, con la morte del fratello. E uno di essi è proprio uno dei due protagonisti di The Act of Killing, l’unico ancora in vita: Adi osserva, ascolta, domanda. Mantiene una calma e una pacatezza che sembrano appartenere a un altro mondo, eppure sono le sue doti reali, non c’è rielaborazione: ascolta gli assassini del fratello e misura loro i gradi della vista, gli cambia le lenti, gli costruisce degli occhiali su misura. Adi guarda il passato attraverso gli occhi dei suoi protagonisti, guarda l’Orrore dritto negli occhi, senza mai lasciarsi contagiare da esso.
Nell’ultima, sconvolgente parte del film, l'uomo parla con la moglie e i figli dell’aguzzino morto, cercando disperatamente di far emergere qualcosa che si avvicini a un senso di colpa, ma inutilmente: il Male è radicato, e ha già vinto la sua partita. Come poter perdonare, quindi? Questo è il cuore di The Look of Silence, di Oppenheimer e di Adi: la ricerca impossibile di un perdono, perché non c’è ammissione di colpevolezza, soltanto il tentativo di continuare a nascondere il passato.
Ma il Cinema in questo ha vinto: non si possono riportare in vita i morti, è vero, ma si può raccontare la loro storia, si può ancora raccontare la verità. “Ai vivi si deve rispetto, ai morti si deve soltanto la verità”, scriveva Voltaire: quel rispetto che Adi, la sua famiglia e moltissime altre non hanno ancora ricevuto; ma i morti, per quel che può loro servire, la verità ora l’hanno ottenuta.
Giacomo Calzoni
Sezioni di riferimento: Film al cinema, Festival
Scheda tecnica
Regia: Joshua Oppenheimer
Montaggio: Niels Pagh Andersen
Fotografia: Lars Skree
Anno: 2014
Durata: 102’
Uscita Italiana: 11/09/2014