Per l’esordio nel western, nonché per il suo debutto con un lavoro in lingua inglese, Audiard traspone sul grande schermo un romanzo pubblicato nel 2011 da Patrick deWitt, i cui diritti erano già stati acquistati da John C. Reilly, il quale si è ritagliato il ruolo di protagonista in coabitazione con l'affidabile e intenso Joaquin Phoenix. La storia non è poi tanto diversa da altre, perlomeno nelle basi: due fratelli, caratterialmente molto lontani tra loro, accomunati da un passato di violenza familiare e ora pistoleri provetti, incaricati di rintracciare un uomo in fuga e fargli confessare il segreto per sviluppare una sostanza chimica capace di semplificare le operazioni di raccoglimento dell’oro dai fiumi (siamo nel 1851). Ecco dunque il viaggio, gli incontri e scontri lungo la strada, i saloon, l’alcool, i sigari, le inevitabili sparatorie, i nemici nascosti in ogni dove, il sogno di una dorata ricchezza: tracce in linea retta, accompagnate dai dialoghi e dai frequenti diverbi tra i due mattatori, facce opposte della stessa medaglia.
Charlie, il fratello minore, accoglie la violenza come dato fondante di ogni azione decisiva, è istintuale e frequente bevitore, porta con sé pensieri rivolti all’avidità, al dominio, all’innato desiderio di comando, e non prende nemmeno in considerazione l’ipotesi di interrompere una vita così pericolosa, in quanto essa è l’unica che conosce e nella quale si sente a proprio agio. Eli, il maggiore, è invece razionale e sentimentale, ama gli animali, si sottomette alle bizzarrie del fratello condotto da una ferrea volontà di protezione, ma allo stesso tempo è stanco di giocare con la morte, vorrebbe smettere di uccidere, vorrebbe fermarsi e iniziare un percorso nuovo, calmo e stabile, magari aprendo una piccola attività commerciale e ritrovando la donna che ha aperto un varco nel suo cuore, una presenza (a noi) invisibile che egli richiama ogni notte annusando uno scialle avuto in dono, per sentire e abbracciare l’odore di lei.
Tutto piuttosto classico, soprattutto all’inizio. I due fratelli cavalcano, affrontano le difficoltà, bruciano le distanze che li separano da Morris, la loro vittima predestinata e dal suo nuovo amico Warm (il sempre bravo Jake Gyllenhaal), due personaggi, quest’ultimi, accomunati dall’utopico desiderio di fondare una nuova civiltà basata sul rispetto delle leggi morali, in antitesi con la brutalità colorata di sangue di cui l’America si nutre. Il film di Audiard pare così al principio usare il montaggio parallelo per adagiarsi su canoni narrativi prevedibili; la situazione però muta e non di poco nella seconda parte dell’opera, quando l’incrocio degli anti-eroi scatena svolte che conducono a legami imprevisti e idee più creative, apparecchiando i presupposti sia per eventi risolutivi che per aneliti di speranza.
L’autore compie quindi, a conti fatti, un’operazione biunivoca: omaggia il western, lo rispetta, lo stringe nelle mani, ma allo stesso tempo, con The Sisters Brothers, Leone d'Argento a Venezia, prova a miscelarlo, destrutturarlo, reinventarlo e in qualche modo desacralizzarlo, a partire dal nome stesso dei protagonisti, fratelli sorelle, come a smitizzare la tipica virilità mascolina conducendola verso lidi anche femminili; un’operazione ben chiara in alcuni passaggi, ad esempio l’inusuale e reciproco taglio di capelli tra Eli e Charlie, o gli sguardi complici tra Morris e Warm (simboli di un suggerito legame omosessuale?). Momenti di affetto e tenerezza, da unire al già citato romanticismo di Eli, con cui rompere i confini della consueta rudezza maschile.
Rispetto allo schematismo soffocante del precedente Dheepan, Jacques Audiard ritrova in questo lavoro le sfumature che da sempre hanno caratterizzato la meraviglia del suo cinema, capace come pochi di indagare le mille tortuosità dell’animo umano per estrarne motivi di riflessione e confronto. Non siamo ai livelli dei suoi capolavori, ovvero Un Prophète, Sur mes lèvres e De battre mon coeur s’est arrêté, ma l’abilità di uno dei migliori registi viventi del cinema europeo confluisce in una nuova ispirazione, condita da sequenze scoppiettanti, riuscite parentesi intimiste, piccoli inserti stimolanti (le inquadrature a visuale ridotta) e perfino sospiri lievi e parodistici, utili per avvalorare lo scopo di cui sopra, cioè l’omaggio al genere a stretto contatto con il contemporaneo approdo a deviazioni originali.
Le avventure dei fratelli Sisters, non solo micidiali assassini ma figure assai più complesse e ramificate, sembrano seguire la via maestra di tanti killer arrivati prima e dopo di loro: un percorso di vendette e contro-vendette, persone che vogliono farti la pelle, missioni sempre nuove da terminare mettendosi a rischio. Un circolo vizioso, in teoria amaramente destinato a non finire mai. Forse. Perché in realtà, come dice a un certo punto Eli, “ci siamo divertiti, siamo ancora vivi e non siamo ancora vecchi: è il momento giusto per fermarci”.
Ma come si fa a fermarsi prima che sia troppo tardi? È davvero possibile? Sì, può darsi che lo sia. E in quale modo? Magari, semplicemente, guardandosi non solo le spalle, ma pure alle spalle. Perché tutti dicono sempre che bisogna andare avanti, avanti, avanti. Ma qualche volta, per trovare la pace, si può anche tornare indietro.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: Film al cinema
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Scheda tecnica
Titolo originale: The Sisters Brothers
Anno: 2018
Uscita in Italia: 2 maggio 2019
Durata: 121’
Regia: Jacques Audiard
Sceneggiatura: Jacques Audiard, Thomas Bidegain (dal romanzo di Patrick deWitt)
Fotografia: Benoît Debie
Montaggio: Juliette Welfling
Musiche: Alexandre Desplat
Attori: John C. Reilly, Joaquin Phoenix, Jake Gyllenhaal, Riz Ahmed, Rutger Hauer, Carol Kane