Il canto di Ari, splendido e incantevole, su cui si apre il film del regista islandese Rúnar Rúnarsson, è un simbolo di candore, dal quale l’opera si discosta gradualmente per mostrare le difficoltà che la vita porta ad esperire, un gioco in cui bianchi e neri, bello e brutto, buono e cattivo non esistono, e le cui sfumature costringono Ari ad accettare i propri tormenti.
L’universo di Passeri è sicuramente grigio e triste: a questo proposito il cineasta afferma che «bisogna rendersi conto che ci sono degli ostacoli da superare nel corso della vita, che è inevitabile dover affrontare piccoli e grandi drammi. Ma bisogna evidenziare le cose belle. E se nel mio film ci sono uno o due eventi che possono essere scioccanti, la mia intenzione non è quella di impressionare gratuitamente, ma di far provare la bellezza che ne segue. È un errore lasciar pensare allo spettatore che tutto è bello e luminoso come succede nelle produzioni hollywoodiane o che la vita è un inferno senza speranze come in alcuni film d’essai. Nessuna delle due opzioni è corretta, perché nella vita, quando si cade, ci si rialza e il sole splende di nuovo. C’è sempre speranza, non bisogna mai perderla».
L’imbruttimento di giovani e adulti a cui Ari è “invitato” ad assistere è certo inevitabile ma non innocente; ognuno è a suo modo chiamato alle proprie responsabilità e puntualmente fallisce. Esempio lampante è proprio il padre di Ari che negli ultimi sei anni ha sempre dimenticato i compleanni del figlio a causa della sua dipendenza dall’alcool, ingigantita, probabilmente, dalla inadeguatezza ad essere una solida figura paterna. Eppure le due generazioni messe a confronto – l’occasione è la festa di metà estate a cui il regista dedica uno sguardo spietato – non sono così distanti: birra, donne e rapporti occasionali non sono celebrazione ma strumento di allontanamento dalla routine giornaliera.
Il canto di Ari non è però dimenticato: vi sono episodi di fuga o di commozione (il funerale della povera nonna, ad esempio) in cui a quei pochi spiragli di bellezza è dato brillare.
Il giovane protagonista e il padre sono, nelle maglie della narrazione, due facce della stessa medaglia. Entrambi sono abbandonati dalla stessa donna, madre e moglie – sebbene con tempistiche assai diverse – ed entrambi cercano un equilibrio che appare impossibile.
L’opera filmica di Rúnar Rúnarsson, premiata in numerosi festival nel mondo e ora distribuita anche nei cinema italiani grazie a Lab 80, ha il pregio di essere un solidissimo coming of age che si colloca nel panorama di quel cinema nordico capace di affrontare piccole situazioni e di renderle meravigliose. Il pallore della fotografia – caratteristica e “fenomeno” del cinema scandivano tutto – illumina e non sbiadisce le forme e le figure che compongo le inquadrature: esse risplendono assieme ai colori intensi delle emozioni e delle sventure dei protagonisti.
Passeri è in sostanza il perfetto “film medio” proveniente da quella Scandinavia “allargata” che con costanza e generosità dona ai propri spettatori vicende tragicamente umane. E quella di Ari ne è la rappresentazione ideale: prova ne è il sacrificio finale, atto a conservare, per quanto possibile, l’aura virginale della amata Lara.
Emanuel Carlo Micali
Sezioni di riferimento: Film al cinema, Eurocinema
Scheda tecnica
Titolo originale: Þrestir
Regia: Rúnar Rúnarsson
Sceneggiatura: Rúnar Rúnarsson
Fotografia: Sophia Olsson
Montaggio: Jacob Schulsinger
Musica: Kjartan Sveinsson
Durata: 99’
Uscita italiana: 2 marzo 2017
Attori principali: Atli Óskar Fjalarsson, Ingvar E. Sigurðsson, Rakel Björk Björnsdóttir, Rade Serbedzija