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L'ALTRO VOLTO DELLA SPERANZA - Kaurismäki e l'umana pietà

17/4/2017

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​Le parole non servono. Sono superflue. Inutili. Contano soltanto le azioni, i gesti, la volontà di dare una mano a qualcuno, chiedendo in cambio poco o nulla. Trovare vicino ai cassonetti del tuo scapestrato ristorante un profugo siriano che ha attraversato mezza Europa in cerca della sorella ed è finito in Finlandia per puro caso; sapere che le autorità lo cercano per rispedirlo in patria; farlo entrare nel tuo locale; dargli un po' di cibo, un posto dove dormire e un lavoro, umile ma essenziale; nasconderlo da chi vuole liberarsi di lui; attivarti affinché il suo sogno, ovvero riabbracciare l'unica parte della sua famiglia non uccisa dalla guerra, si possa avverare. 
Tutto qui. Gesti e azioni. Senza parole inessenziali. In questo risiede l'umana pietà, quella vera, che in teoria mal si incontra con i tuoi atteggiamenti burberi ma in realtà ben accoglie i profondi sentimenti che navigano nel cuore. E intanto cercare un modo per aggiustare la situazione economica del ristorante per il quale hai mollato tutto; provare espedienti destinati a fallire sin dal principio; tentare lo stesso, sapendo che comunque, mal che vada, c'è ancora una donna che ti aspetta, pronta a riaccoglierti, nonostante tu l'abbia gettata via senza una sola frase di commiato. 
Lei ancora è lì, per te. Insieme alla speranza. La stessa di quel profugo che ha chiesto asilo, è stato respinto e malmenato, ma ancora non perde di vista la voglia di dare un senso al presente. La stessa di chi vuole lasciare ogni cosa per trasferirsi altrove a ballare l'hula-hula (1). O di chi ormai da un anno tira avanti alla meno peggio, vagando come una trottola da un centro di accoglienza all'altro, aspettando tempi migliori. O di chi suona canzoni malinconiche in un bar per regalare un po' di conforto agli avventori. Senza lasciarsi sopraffare dal fallimento. Mai.

​1) Kati Outinen, vera e propria attrice-feticcio di Kaurismäki, anche qui presente per una pur piccola apparizione.

L'altro volto della speranza non è il miglior film di Aki Kaurismäki. Anzi, è piuttosto lontano dallo splendore di capolavori come La fiammiferaia, Nuvole in viaggio, Vita da Bohème o L'uomo senza passato. Eppure, vedendolo, si percepisce chiaramente, una volta ancora, come il cinema del finlandese sia straordinario e indispensabile. Quasi nessuno, nel panorama mondiale, è infatti in grado di schierarsi al fianco dei più sfortunati e dipingere l'umana solidarietà con tale forza, semplicità e poesia. 
Lo stile di Kaurismäki è unico. Lo è da trent'anni e tale resta, con totale coerenza. Chi lo ama sa sempre cosa troverà sullo schermo, quali ingredienti, quali suggestioni, quale lirismo. Per fortuna. Perché il maestro scandinavo non ha rinnegato se stesso in nessuna occasione, continuando imperterrito a portare avanti, sin dai tempi di Delitto e castigo, Calamari Union e Ombre nel paradiso, un'idea di cinema di sconvolgente bellezza, che non ha termini di paragone se non uno, il più grande e impegnativo possibile, quello con Charlie Chaplin, di fronte al quale il regista da pochi giorni sessantenne non sfigura affatto. Per lucidità, impegno civile e, giusto ribadirlo una volta ancora, coerenza. 
Dunque pazienza se la sua ultima opera, premiata con l'Orso d'Argento a Berlino (riconoscimento accolto con sdegno, tanto da non salire nemmeno sul palco a ritirarlo, giusto per confermare le peculiarità del personaggio), non brilla di fulgida luce come altre. Pazienza se le parti relative al discorso sull'immigrazione appaiono in qualche punto lievemente didascaliche. Pazienza se qui e là capeggia un leggero manierismo. Kaurismäki non tradisce, racconta a modo suo l'ennesima storia di disperazione e (possibile) salvezza e non manca di trascinare nuovamente lo spettatore in un vortice emozionale in cui riso e pianto si confondono sino a divenire indistinguibili. Vedasi, in tal senso, l'esilarante passaggio in cui il protagonista Wikstrom (Sakari Kuosmanen) cerca con poco senno di trasformare il locale in un ristorante giapponese, per sfruttare la moda del periodo; oppure i momenti sparsi in cui riflettendo con i camerieri si lascia andare a esplosioni comiche intrise di gusto surreale; oppure ancora gli irresistibili dialoghi laconici a cui siamo abituati (“il mio nome è Waldemar; allora i suoi amici la chiameranno Waldo; io non ho amici”). 
Kaurismäki è questo. Ancora. Da sempre e per sempre. Tra silenzi e mestizie, debordanti empatie prive di qualsiasi futile sovrastruttura e sguardi che parlano da soli, alcool a fiumi e sigarette perennemente infilate in ogni bocca. Nessuno gli chiede di cambiare. Non ce n'è bisogno. Perché grazie a lui continua a sventolare alto il sogno di una vita migliore.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Film al cinema


Scheda tecnica

Titolo originale: Toivon tuolla puolen
Anno: 2017
Durata: 98'
Regia: Aki Kaurismäki
Soggetto e sceneggiatura: Aki Kaurismäki
Fotografia: Timo Salminen
Montaggio: Samu Heikkilä
Attori: Sherwan Haji, Sakari Kuosmanen, Ilkka Koivula, Janne Hyytiäinen, Nuppu Koivu

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