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BIRDMAN - Le imprevedibili oscillazioni del successo

5/2/2015

1 Commento

 
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L'apparenza è quella della jam session, amplificata dal fatto che la linearità della performance teatrale è costantemente interrotta dagli imprevisti forniti dalla vita, dai nervosismi degli attori, dai drammi personali di chi lavora dietro le quinte e finisce, consapevolmente o meno, per sabotare la perfezione della fiction. Di improvvisato però non può esserci nulla, data la struttura tecnica a piano sequenza (quasi) unico che presuppone una grandissima opera di pianificazione delle riprese. Fra i due estremi favoriti dalla libertà e dalla programmazione che “congela” ogni atto, sta dunque la ragione d'essere di Birdman: creativamente e narrativamente, beninteso, poiché il gioco di alternanza fra le due sponde coinvolge il lavoro dietro e davanti la macchina da presa.
Dal versante extra-diegetico, infatti, c'è il continuo gioco di riferimenti e, al contempo, di smontaggio degli stessi che Inarritu mette in scena: guardi Michael Keaton e pensi al Batman burtoniano; Edward Norton finisce per ricondurti a L'incredibile Hulk; e visto come vanno oggi le cose in casa Sony, anche Emma Stone sembra il fantasma della Gwen Stacy di The Amazing Spider-Man. Tutti film, guarda caso, che pur avendo più o meno segnato una tappa importante nell'ambito del genere cinecomic, sono comunque da considerarsi ormai obsoleti, sorpassati, rimpiazzati da versioni nuove o in divenire, come a restituire il senso di caducità che il film coltiva nella sua morale incentrata sulle glorie effimere del successo. Però ci sono poi anche i riferimenti oppositivi, evidenti nella scelta di affidare a Zach Galifianakis - l'elemento più problematico della già immatura compagnia di Una notte da leoni - il ruolo dell'avvocato che tira le fila dello spettacolo e cerca così di tenere insieme i pezzi mentre tutto scivola verso il disastro.
A questo si accompagna, naturalmente, il gioco più “interiore” di una storia articolata attraverso continui rispecchiamenti fra la realtà e la finzione, dove il lavoro di scrittura si fa più evidente e la metafora dell'attore spiantato in cerca di riscatto trova la sua compiutezza, con corollario di acide battute sullo stato delle cose nella Hollywood contemporanea. Il tutto senza dimenticare la società stessa, dove il successo si misura pure sulle rovinose cadute o sulle figure più imbarazzanti (evidenti nella divertentissima sequenza in cui Riggan/Keaton si ritrova a passeggiare per le strade di New York in mutande diventando così un idolo dei social network e dei programmi tv).
Più di tutto, però, a colpire è la natura fluttuante di un racconto che si riflette nella visualità “liquida” della magnifica fotografia di Emmanuel Lubezki, che lascia galleggiare i corpi e le loro continue mutazioni in una metaforica (e a volte sostanziale) “assenza di peso” e di carnalità (con erezioni vistose e dunque posticce, e sangue sempre finto), fino a creare quasi un'alternativa “terrestre” all'indimenticabile viaggio spaziale di Gravity. E poi c'è la costruzione narrativa, basata sul continuo andirivieni di volti, corpi, spazi e set: non è tanto il fatto che i personaggi transitino attraverso numerose fasi di trucco e smascheramento, e nemmeno che si proceda senza particolari soluzioni di continuità dai camerini al palcoscenico, passando magari per il tetto, i vicoli o i bar limitrofi. È lo scivolamento progressivo fra realtà e sogno a fare la differenza, e fra tempi che si intrecciano e si scavalcano a vicenda: se la compattezza di azione e luogo è sostanzialmente rispettata, la terza unità aristotelica del tempo si reinventa a ogni passaggio, e l'unità tecnica del piano sequenza è rotta costantemente dal continuo saltare fra momenti non direttamente collegati fra loro. Si va così dal giorno alla notte, dalle prove fino allo spettacolo vero e proprio, che è quasi già obsoleto anch'esso quando è finalmente arrivato alla sua reale messinscena.
La forza sta nel divertimento con cui Inarritu racconta tutto questo: un'ironia che spesso tracima in un certo snobismo pesante (complice l'ingordigia di voler ricomprendere e demistificare tutto), ma che nei momenti migliori apre il film a possibilità inattese. Ecco dunque che la commedia diventa un blockbuster o quasi un disaster movie (genere non a caso deputato a ospitare le “vecchie glorie” dei generi), mentre il variopinto Birdman diventa voce della coscienza e si confronta con un Riggan che forse possiede realmente dei super poteri, o forse no – l'innata e straordinaria capacità di Keaton di mantenersi sempre in bilico tra lucidità e follia è un autentico valore aggiunto per il film. 
Bene fa Inarritu a lasciare la porta aperta a possibili deviazioni nell'assurdo che non trovano una completa risoluzione nel finale: in fondo, il meno che ci si possa aspettare da Birdman è che, nella sua natura fluttuante, si permetta di chiudere in modo definito e netto, precludendo allo spettatore di continuare a volare con la mente anche quando l'inquadratura dissolve a nero.

Davide Di Giorgio

Sezione di riferimento: Film al cinema


Scheda tecnica

Titolo originale: Birdman (or the Unexpected Virtue of Ignorance)
Anno: 2014
Regia: Alejandro G. Iñárritu
Sceneggiatura: Alejandro G. Inarritu, Nicolas Giacobone, Alexander Dinelaris Jr., Armando Bo
Attori: Michael Keaton, Emma Stone, Edward Norton, Zach Galifianakis, Naomi Watts, Andrea Riseborough
Fotografia: Emmanuel Lubezki
Montaggio: Douglas Crise, Stephen Mirrione
Durata: 119’
Uscita italiana: 5 Febbraio 2015

1 Commento
Brittany Hunt link
31/1/2021 03:00:19 am

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