ORIZZONTI DI GLORIA - La sfida del cinema di qualità
  • HOME
  • REDAZIONE
  • LA VIE EN ROSE
  • FILM USCITI AL CINEMA
  • EUROCINEMA
  • CINEMA DAL MONDO
  • INTO THE PIT
  • VINTAGE COLLECTION
  • REVIVAL 60/70/80
  • ITALIA: TERZA VISIONE
  • AMERICA OGGI
  • ANIMAZIONE
  • TORINO FILM FESTIVAL
    • TORINO 31
    • TORINO 32
    • TORINO 33
    • TORINO 34-36-37
  • LOCARNO
    • LOCARNO 66-67-68
    • LOCARNO 69
    • LOCARNO 72-74-75
  • CANNES
    • CANNES 66
    • CANNES 67
    • CANNES 68
    • CANNES 69
  • VENEZIA
  • ALTRI FESTIVAL
  • SEZIONI VARIE
    • FILM IN TELEVISIONE
    • EXTRA
    • INTERVISTE
    • NEWS
    • ENGLISH/FRANÇAIS
  • SPECIAL WERNER HERZOG
  • SPECIAL ROMAN POLANSKI
  • ARCHIVIO DEI FILM RECENSITI
  • CONTATTI

PERSONAL SHOPPER - Le invisibili trame dell'esistenza

21/4/2017

0 Comments

 
Foto
​Il tessuto visivo non sempre è quello che si presenta all’occhio; bisogna guardare oltre, cercare negli spazi più nascosti al bulbo oculare, negli angoli scuri, in quelle sezioni che scivolano tra visibile e (in)visibile. Nella figurazione filmica del mostrare e, al contempo, del guardare, non tutto appare nelle immagini, ma a volte è necessaria un’alterazione della percezione visiva. La variazione va ricercata nel sottotesto, tra i fili della trama, tra i simboli nascosti, perché la visione fantasmica è una scrittura stratificata di immagini sovraimpresse tra le quali si nascondono i significanti. 
L’oggettivizzazione non è nel visibile, ma vive e si nutre come coalescenza dell’invisibile; ciò che emerge è puramente sensoriale, “il senso è visibile, ma non è incompatibilità tra l’invisibile e il visibile: il visibile ha esso stesso una membratura di invisibile, e l’in-visibile è la contropartita segreta del visibile, non appare che in esso […] è nella linea del visibile, ne è il fuoco virtuale” (1).
Cosa si cerca nel visibile se non la presenza dell’invisibile, nascosto tra le immagini, tra gli interspazi dove vivono molteplici forme e si annidano i fantasmi di Derrida. Sempre in quegli interspazi lo sguardo è libero dai limiti dell’immagine, va oltre, un oltre che supera i limiti della prigione visiva, muovendosi in una zona d’ombra illuminata dal visto e dal non visto, usando, godardianamente, “la luce, come giovinezza dell’oscurità”. 

1) M. Merleau - Ponty, Il visibile e l’invisibile, p. 248.

Personal Shopper, di Olivier Assayas, ruota intorno alla figura di Maureen (Kristen Stewart), una ragazza americana che lavora, appunto, come personal shopper, per una celebrità, Kyra. Il piano sequenza iniziale conduce lo sguardo dello spettatore in una villa decadente, scura e piena di ombre; la mdp segue da vicino la giovane donna nella perlustrazione della casa, nei movimenti tra l’oscurità di un luogo/non luogo, in ambienti che perdono la matericità della loro essenza divenendo astrazioni metafisiche. 
Nella ricerca di presenze fantasmiche, di corpi che hanno perso la loro consistenza tangibile e terrena, ci si muove, in realtà, tra le tenebre di Maureen, nel non luogo della sua anima, ferita, smarrita, sconosciuta. L’indagine è il tentativo di decifrare l’invisibile, muovendosi tra le sue pieghe, nelle sue zone buie, nelle zone buie di Maureen. 
Non è la trama a rivestire importanza, ma la sua funzionalità interpretativa dei simboli e delle allegorie; il tessuto metaforico è parte fondamentale della lingua filmica adottata da Assayas in questo suo ultimo lavoro. Il notturno è espanso e dilatato, penetra negli interni, come spazia negli esterni, grigi e privi di luce; Maureen si confronta sempre con l’oscurità, nella dialettica continua della sua interiorità che si riflette nello specchio convesso della realtà esteriore. Le abitazioni sono angoli stretti e cupi, illuminate da bagliori artificiali, come i fari del motorino di Maureen che si muovono nella notte. 
Il cielo è plumbeo ed il cuore è appesantito dallo smarrimento di una parte di sé; la voragine lasciata dall’assenza spinge a cercare tra gli oggetti, negli spazi vuoti, nell’invisibile che vuole restare tale, non percepito. È un deambulare incerto e cieco, l’attesa di un segno in cui lei stessa, per prima, non crede. Ciò che vede è forse solo il fantasma di se stessa; la figura ectoplasmatica è la trasposizione della sua anima che vomita domande cui non trova risposte, “un’attitudine intenzionale della coscienza tesa a confrontarsi con una cosa in quanto immagine” (2). 

2) J.J. Wunenburger, Filosofia delle immagini, Einaudi, Torino, 1999, p. 116.

La ricerca non è tanto mirata sulla conoscenza di un altrove, ma è un’indagine sull’identità di un corpo desiderante di mutarsi in altro; la percezione di incompletezza spinge Maureen, medium come il suo gemello, verso un mondo parallelo, ora nell’attesa di un segnale dal fratello scomparso, ora trascinata dalla volontà di assumere sembianze altrui, di uscire da sé. La mutazione avviene quando sveste i propri panni, tra la paura del proibito e l’eccitazione di essere altro; il suo corpo, spigoloso e androgino, si accende nel letto di Kyra indossando i vestiti che sceglie per lei. In un processo di osmosi continua tra la ragazza e la donna per cui lavora, nella confusione totale di identità tra le due, la dialettica tra i corpi delle donne è erotica, di un erotismo consumato a distanza, tra carni che chiedono di essere vestite e denudate. 
La materializzazione del desiderio è il desiderio del proibito, è l’illusione dell’occhio che imprime sulla retina ciò che desidera: essere altro, avere finalmente una forma, essere corporea. Tutto è evanescente intorno a Maureen, i rapporti sono simulacri privi di affettività, passano attraverso gli schermi, riflettendo solo l’immagine di una donna sola e (s)vuotata, un involucro di solitudine. I dialoghi con l’altro avvengono attraverso le chat e i messaggi sono privi di corpo, di consistenza, così il vuoto creato tra il reale e l’immaginario è lo spazio in cui prende forma un drammatico tentativo di comunicazione, anche se il contatto ricercato è quello con la morte; la tangibilità del fantastico è cosa più concreta dell’incomunicabilità umana. 
​
Tutto è funzionale ad instaurare una dialettica tra visibile ed invisibile, tra realtà e  irrealtà: le opere di Hilma af Klint sono la giuntura tra due mondi, composizioni dialettiche tra diverse dimensioni, tra organico e inorganico, frutto di visioni fluttuanti in un tempo sospeso, dove la carne perde la sua consistenza e i corpi la loro composizione materica. Il cigno, del 1915, nel suo contrasto geometrico e cromatico, nell’incastro perfetto di due sezioni speculari, è la congiunzione astratta tenuta da vettori ideali, tesi come corde, che uniscono l’opposizione tra due piani paralleli ed opposti e, allo stesso tempo, un salto nel contrario.
L’occhio di Maureen è travolto, girato nel suo interno; osserva e si osserva, un’interiorità vacua che si riflette nell’esteriorità architettonicamente aspra, spigolosa e ostile, come il volto e il corpo della donna, privo quasi di sessualità, spoglio di forme e di curve. La mdp la segue da vicino, come un prolungamento dei suoi arti; è parte organica, a tratti si allontana, regalando allo sguardo un campo largo e acuendo il senso di smarrimento della ragazza. La solitudine si percepisce nella bidimensionalità dell’immagine schiacciata, soprattutto tra le pareti dell’appartamento di Kyra, dove i cromatismi virati sulla carnalità del seppia accompagnano le carezze e l’eccitazione di un orgasmo solitario; il piacere non è condiviso con nessuno, ma è solo un monologo.
Tutto precipita nel vuoto che ha una sua forma, una sua consistenza, si fa materico e si muove in scena, nelle assenze, nei movimenti degli oggetti; il vuoto è soggetto stesso del filmico, è percezione e percepito, osservato ed osservante, favorendo la dinamica tra lo sguardo e l’ambiente. L’immagine ha una sua dualità, è come se fosse riflessa in uno specchio, immagine speculare ed immagine reale, trovando la sua oggettivizzazione nell’elemento simbolico. 
“I know you”. In quelle parole scritte su uno schermo, provenienti da un’entità sconosciuta, priva di corpo, è racchiusa l’indagine. La spinta è la conoscenza della propria identità; la ricerca è il contatto con se stessa: sentirsi, toccarsi, per trovarsi, per avere carne e consistenza. E il desiderio proibito risiede proprio nell’osservarsi e nell’essere osservato: “L’enigma sta nel fatto che il mio corpo è insieme vedente e visibile. Guarda ogni cosa, ma può anche guardarsi, e riconoscere in ciò che allora vede “l’altra faccia” della sua potenza visiva” (3). 

3) M. Merleau - Ponty, L’occhio e lo spirito, p.18

Dalle ombre sezionate da riflessi sporadici di luce fredda, dalle tenebre interiori di Maureen finalmente arriva l’atteso segnale; il movimento a ritroso chiude un campo largo, concentrandosi sul dolore del viso e sul miracolo della conoscenza: mentre una lacrima scende fluida sul viso, su una domanda lo schermo si inonda di luce accecante, totale. “Sono io?”. 
Come sostiene Paul Valéry: “la luce suppone d’ombra una smorta metà”.

Mariangela Sansone

Sezione di riferimento: Film al cinema


Scheda tecnica

Regista:  Olivier Assayas
Interpreti: Kristen Stewart, Lars Eidinger, Nora von Waldstätten
Fotografia: Yorick Le Saux
Sceneggiatura: Olivier Assayas
Anno: 2016
Durata: 105'
Uscita italiana: 13 aprile 2017

0 Comments

L'ALTRO VOLTO DELLA SPERANZA - Kaurismäki e l'umana pietà

17/4/2017

0 Comments

 
Foto
​Le parole non servono. Sono superflue. Inutili. Contano soltanto le azioni, i gesti, la volontà di dare una mano a qualcuno, chiedendo in cambio poco o nulla. Trovare vicino ai cassonetti del tuo scapestrato ristorante un profugo siriano che ha attraversato mezza Europa in cerca della sorella ed è finito in Finlandia per puro caso; sapere che le autorità lo cercano per rispedirlo in patria; farlo entrare nel tuo locale; dargli un po' di cibo, un posto dove dormire e un lavoro, umile ma essenziale; nasconderlo da chi vuole liberarsi di lui; attivarti affinché il suo sogno, ovvero riabbracciare l'unica parte della sua famiglia non uccisa dalla guerra, si possa avverare. 
Tutto qui. Gesti e azioni. Senza parole inessenziali. In questo risiede l'umana pietà, quella vera, che in teoria mal si incontra con i tuoi atteggiamenti burberi ma in realtà ben accoglie i profondi sentimenti che navigano nel cuore. E intanto cercare un modo per aggiustare la situazione economica del ristorante per il quale hai mollato tutto; provare espedienti destinati a fallire sin dal principio; tentare lo stesso, sapendo che comunque, mal che vada, c'è ancora una donna che ti aspetta, pronta a riaccoglierti, nonostante tu l'abbia gettata via senza una sola frase di commiato. 
Lei ancora è lì, per te. Insieme alla speranza. La stessa di quel profugo che ha chiesto asilo, è stato respinto e malmenato, ma ancora non perde di vista la voglia di dare un senso al presente. La stessa di chi vuole lasciare ogni cosa per trasferirsi altrove a ballare l'hula-hula (1). O di chi ormai da un anno tira avanti alla meno peggio, vagando come una trottola da un centro di accoglienza all'altro, aspettando tempi migliori. O di chi suona canzoni malinconiche in un bar per regalare un po' di conforto agli avventori. Senza lasciarsi sopraffare dal fallimento. Mai.

​1) Kati Outinen, vera e propria attrice-feticcio di Kaurismäki, anche qui presente per una pur piccola apparizione.

L'altro volto della speranza non è il miglior film di Aki Kaurismäki. Anzi, è piuttosto lontano dallo splendore di capolavori come La fiammiferaia, Nuvole in viaggio, Vita da Bohème o L'uomo senza passato. Eppure, vedendolo, si percepisce chiaramente, una volta ancora, come il cinema del finlandese sia straordinario e indispensabile. Quasi nessuno, nel panorama mondiale, è infatti in grado di schierarsi al fianco dei più sfortunati e dipingere l'umana solidarietà con tale forza, semplicità e poesia. 
Lo stile di Kaurismäki è unico. Lo è da trent'anni e tale resta, con totale coerenza. Chi lo ama sa sempre cosa troverà sullo schermo, quali ingredienti, quali suggestioni, quale lirismo. Per fortuna. Perché il maestro scandinavo non ha rinnegato se stesso in nessuna occasione, continuando imperterrito a portare avanti, sin dai tempi di Delitto e castigo, Calamari Union e Ombre nel paradiso, un'idea di cinema di sconvolgente bellezza, che non ha termini di paragone se non uno, il più grande e impegnativo possibile, quello con Charlie Chaplin, di fronte al quale il regista da pochi giorni sessantenne non sfigura affatto. Per lucidità, impegno civile e, giusto ribadirlo una volta ancora, coerenza. 
Dunque pazienza se la sua ultima opera, premiata con l'Orso d'Argento a Berlino (riconoscimento accolto con sdegno, tanto da non salire nemmeno sul palco a ritirarlo, giusto per confermare le peculiarità del personaggio), non brilla di fulgida luce come altre. Pazienza se le parti relative al discorso sull'immigrazione appaiono in qualche punto lievemente didascaliche. Pazienza se qui e là capeggia un leggero manierismo. Kaurismäki non tradisce, racconta a modo suo l'ennesima storia di disperazione e (possibile) salvezza e non manca di trascinare nuovamente lo spettatore in un vortice emozionale in cui riso e pianto si confondono sino a divenire indistinguibili. Vedasi, in tal senso, l'esilarante passaggio in cui il protagonista Wikstrom (Sakari Kuosmanen) cerca con poco senno di trasformare il locale in un ristorante giapponese, per sfruttare la moda del periodo; oppure i momenti sparsi in cui riflettendo con i camerieri si lascia andare a esplosioni comiche intrise di gusto surreale; oppure ancora gli irresistibili dialoghi laconici a cui siamo abituati (“il mio nome è Waldemar; allora i suoi amici la chiameranno Waldo; io non ho amici”). 
Kaurismäki è questo. Ancora. Da sempre e per sempre. Tra silenzi e mestizie, debordanti empatie prive di qualsiasi futile sovrastruttura e sguardi che parlano da soli, alcool a fiumi e sigarette perennemente infilate in ogni bocca. Nessuno gli chiede di cambiare. Non ce n'è bisogno. Perché grazie a lui continua a sventolare alto il sogno di una vita migliore.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Film al cinema


Scheda tecnica

Titolo originale: Toivon tuolla puolen
Anno: 2017
Durata: 98'
Regia: Aki Kaurismäki
Soggetto e sceneggiatura: Aki Kaurismäki
Fotografia: Timo Salminen
Montaggio: Samu Heikkilä
Attori: Sherwan Haji, Sakari Kuosmanen, Ilkka Koivula, Janne Hyytiäinen, Nuppu Koivu

0 Comments
    Immagine
    Immagine
    Immagine
    ULTIME RECENSIONI PUBBLICATE

    Roverdatter
    Holy Boom
    Demain et tous les autres jours
    Nos Batailles
    The Guilty
    ​Les Gardiennes
    ​
    LE NOSTRE
     PAGINE UFFICIALI
    Immagine
    Immagine


    ​ARCHIVIO RECENSIONI FILM AL CINEMA

    Aprile 2019
    Aprile 2017
    Marzo 2017
    Gennaio 2017
    Dicembre 2016
    Novembre 2016
    Settembre 2016
    Giugno 2016
    Maggio 2016
    Aprile 2016
    Marzo 2016
    Febbraio 2016
    Gennaio 2016
    Dicembre 2015
    Novembre 2015
    Ottobre 2015
    Settembre 2015
    Agosto 2015
    Luglio 2015
    Giugno 2015
    Maggio 2015
    Aprile 2015
    Marzo 2015
    Febbraio 2015
    Gennaio 2015
    Dicembre 2014
    Novembre 2014
    Ottobre 2014
    Settembre 2014
    Agosto 2014
    Luglio 2014
    Giugno 2014
    Maggio 2014
    Aprile 2014
    Marzo 2014
    Febbraio 2014
    Gennaio 2014
    Dicembre 2013
    Novembre 2013
    Ottobre 2013
    Settembre 2013
    Agosto 2013
    Luglio 2013
    Giugno 2013
    Maggio 2013
    Aprile 2013

    Feed RSS

Powered by Create your own unique website with customizable templates.