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THE LOOK OF SILENCE - La dignità degli sconfitti

22/9/2014

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Con The Act of Killing Joshua Oppenheimer, due anni fa, raccontava il genocidio indonesiano del biennio 1965-1966 attraverso le parole dei suoi carnefici, sconvolgendo il mondo attraverso la glacialità di un Male assoluto e implacabile: perché se è vero che la Storia la scrivono i vincitori, allora i due protagonisti del film assumevano – attraverso un’ottica distorta eppure giustificata dall’incedere degli eventi e dalla loro trasmissione – la statura di supereroi.
Oggi il regista ritorna su quella pagina sanguinosa rappresentata dal colpo di stato ai danni del Partito Comunista Indonesiano, raccontando la realtà dal punto di vista diametralmente opposto, quello degli sconfitti. O meglio, dei loro eredi. Quasi a voler filmare il controcampo della Storia, di quella Storia, scegliendo un approccio filmico completamente diverso che non riduce The Look of Silence alla stregua di un sequel comunemente inteso, bensì a opera complementare rispetto al film precedente. In questo modo non si potrà più parlare a proposito di The Act of Killing senza ripartire anche da qui, perché l’unica maniera per cercare di afferrare e comprendere la complessità del reale è illuminarla attraverso la diversità – termine quanto mai necessario, eppure così comunemente frainteso – dei punti di vista.
Protagonista del film è Adi, un oculista di mezza età la cui famiglia ha vissuto sulla propria pelle le stragi del 1965: suo fratello fu infatti assassinato alcuni anni prima della sua nascita, lasciando nei suoi genitori una ferita ancora oggi impossibile da sanare. Adi guarda le registrazioni video di Oppenheimer, un vastissimo archivio realizzato dal regista nel corso degli anni; in quelle immagini ritrova i carnefici del fratello, ma anche di molti altri civili barbaramente trucidati perché accusati di attività comuniste. Lui guarda, da lontano: lontano nel tempo, perché ormai quei fatti sono Storia, ma anche dimostrando una (apparente) freddezza che lascia senza fiato.
La sua umanità ferisce lo spettatore e gli provoca un brivido gelido lungo la schiena: Adi vuole vedere per capire, non per nutrire odio o inseguire un sentimento di vendetta. Non giudica, ma riflette; non parla, ma rimane in silenzio. Ecco, quel suo silenzio assume le dimensioni titaniche di un gesto morale che va di pari passo con lo sguardo di Oppenheimer, il quale ritorna sul genocidio indonesiano per ribadire la componente etica del suo cinema: l’immagine come strumento di preservazione della memoria, ma anche come arma di inarrestabile potenza in grado di portare a galla le verità nascoste della Storia.
Adi è un oculista, e viaggia di paziente in paziente per migliorare loro la vista; tra i suoi clienti oggi ci sono molte persone che hanno avuto a che fare, più o meno direttamente, con la morte del fratello. E uno di essi è proprio uno dei due protagonisti di The Act of Killing, l’unico ancora in vita: Adi osserva, ascolta, domanda. Mantiene una calma e una pacatezza che sembrano appartenere a un altro mondo, eppure sono le sue doti reali, non c’è rielaborazione: ascolta gli assassini del fratello e misura loro i gradi della vista, gli cambia le lenti, gli costruisce degli occhiali su misura. Adi guarda il passato attraverso gli occhi dei suoi protagonisti, guarda l’Orrore dritto negli occhi, senza mai lasciarsi contagiare da esso.
Nell’ultima, sconvolgente parte del film, l'uomo parla con la moglie e i figli dell’aguzzino morto, cercando disperatamente di far emergere qualcosa che si avvicini a un senso di colpa, ma inutilmente: il Male è radicato, e ha già vinto la sua partita. Come poter perdonare, quindi? Questo è il cuore di The Look of Silence, di Oppenheimer e di Adi: la ricerca impossibile di un perdono, perché non c’è ammissione di colpevolezza, soltanto il tentativo di continuare a nascondere il passato.
Ma il Cinema in questo ha vinto: non si possono riportare in vita i morti, è vero, ma si può raccontare la loro storia, si può ancora raccontare la verità. “Ai vivi si deve rispetto, ai morti si deve soltanto la verità”, scriveva Voltaire: quel rispetto che Adi, la sua famiglia e moltissime altre non hanno ancora ricevuto; ma i morti, per quel che può loro servire, la verità ora l’hanno ottenuta.

Giacomo Calzoni

Sezioni di riferimento: Film al cinema, Festival


Scheda tecnica

Regia: Joshua Oppenheimer
Montaggio: Niels Pagh Andersen
Fotografia: Lars Skree
Anno: 2014
Durata: 102’
Uscita Italiana: 11/09/2014

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SI ALZA IL VENTO - Arrivederci, maestro

11/9/2014

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“Si alza il vento, dobbiamo cercare di sopravvivere” (Paul Valéry)

Ad un anno dalla presentazione in Concorso alla penultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, dove venne annunciato che sarebbe stato l’ultimo film di Hayao Miyazaki, Si alza il vento arriva nei nostri cinema come evento speciale da cogliere al volo, dal momento che lo si potrà vedere sul grande schermo per soli quattro giorni, dal 13 al 16 settembre.
Tratto dal manga omonimo realizzato dallo stesso Miyazaki, il film ruota attorno alla figura di Jirō Horikoshi, ingegnere aeronautico noto per aver progettato i caccia zero, gli aerei da guerra giapponesi divenuti tristemente famosi nel corso della seconda guerra mondiale per l’attacco a Pearl Harbor e per le missioni suicide dei kamikaze.
Non poteva che essere incentrata sulla passione-ossessione per il volo l’ultima opera diretta dal maestro giapponese, vero e proprio testamento artistico di una carriera lunga mezzo secolo e costellata da innumerevoli capolavori. L’amore per gli aerei è sempre stato uno dei temi centrali, portanti e autobiografici – in quanto figlio di un ingegnere aeronautico - della sua poetica. Immediata dunque l’identificazione di Miyazaki con Jirō Horikoshi in questo biopic animato che si apre con una splendida sequenza onirica in cui troviamo il protagonista ancora bambino in volo su paesaggi naturali ed incontaminati che un attimo dopo vengono oscurati e minacciati da una pioggia di ordigni sganciati da un immenso bombardiere.
Dalla spensieratezza si passa dunque a cupi presagi di guerra e di sventura, elementi ricorrenti nel corso del film così come i sogni del protagonista, dove ci imbattiamo a più riprese nella figura di Giovanni Caproni, ingegnere aeronautico tra i pionieri dell’aviazione italiana famoso per aver progettato alcuni bombardieri usati durante il primo conflitto mondiale. Un modello e mentore per Jirō, al punto da popolarne i sogni con i suoi consigli e i suoi avvertimenti, facendogli capire che il sogno di un uomo di volare sarà considerato come una maledizione, poiché l’aereo diventerà famoso per le uccisioni e la distruzione. Più avanti il conte Caproni confida al giovane “discepolo” che dieci anni di vita creativa per un artista e progettista sono sufficienti e di voler vivere un decennio per se stesso. Impossibile non cogliere nelle parole dell’ingegnere italiano un esplicito e lampante riferimento allo stesso Miyazaki, che per nostra fortuna ha avuto una vita artistica ben più longeva di una sola decade.
Fatta eccezione per gli inserti onirici, la struttura del film si presenta assai diversa rispetto ai precedenti lavori del maestro giapponese, ed è più ancorata e fedele alla realtà nel seguire la crescita di Jirō, uno dei migliori personaggi maschili della sua filmografia, da ragazzino col sogno degli aerei a brillante studente universitario, fino ad essere assunto come ingegnere presso gli impianti aeronautici della Mitsubishi dove darà prova delle sue enormi capacità.
A causa di questa spiccata impronta realistica è bene sottolineare che Si alza il vento è rivolto principalmente, se non esclusivamente, al pubblico adulto. Gli innumerevoli riferimenti alla progettazione dei velivoli, dove nel film emerge l’incredibile sforzo e la tenacia di un paese come il Giappone, ancora povero e indietro da un punto di vista tecnico, per colmare il divario ed essere competitivo con nazioni come Germania e Stati Uniti, potrebbero risultare alquanto ostici e tediosi per i più piccoli e in parte respingenti anche nei confronti dei più grandi.
Fortunatamente, accanto al tema del volo, nella seconda parte dell’opera si sviluppa anche quello sentimentale con la delicata e toccante storia d’amore tra Jirō e Nahoko, conosciuta ancora giovanissima durante un viaggio in treno verso Tokyo poco prima del terribile terremoto di Kanto del 1923. Rincontratisi casualmente qualche anno dopo, in occasione di una vacanza in montagna, tra i due affiora un sentimento tenero e profondo, ostacolato dalle precarie condizioni di salute della ragazza, afflitta da una grave forma di tubercolosi. È il vento a giocare un ruolo fondamentale nella loro storia, “galeotto” nel farli prima conoscere e poi nuovamente incontrare e innamorare, e protagonista tra l’altro di una delle scene più belle e trascinanti – dalla comicità quasi slapstick - in cui vediamo i due giovani impegnati a giocare con un aeroplanino di carta.
Sono questi i momenti di maggior serenità del film, immersi in paesaggi incantati e meravigliosi, da sempre cari a Miyazaki, con una natura talmente bella e aggraziata da togliere il fiato. Le splendide e ispirate musiche del sodale Joe Hisaishi, che rimandano a un piccolo mondo antico ormai scomparso, sprigionano calore e tranquillità, contribuendo in maniera fondamentale a rendere sublimi e indimenticabili diverse sequenze. Un film che si fa lieve nel tratteggiare i pochi, preziosi, istanti d’intimità domestica dei due innamorati, con un finale malinconico e commovente dove emerge con forza la condanna della guerra (di tutte le guerre) che utilizza gli aerei come strumento di morte e distruzione.
Nell’epilogo, uno dei più emozionati e struggenti degli ultimi anni, ritorna protagonista il vento che, alzandosi, sprona chi è rimasto a farsi forza e ad andare avanti. Il degno commiato artistico di uno dei più importanti e geniali autori che il cinema d’animazione (e non solo) abbia mai conosciuto.

Boris Schumacher

Sezione di riferimento: Film al cinema, Animazione


Scheda tecnica

Titolo originale: Kaze tachinu
Anno: 2013
Regia: Hayao Miyazaki
Sceneggiatura: Hayao Miyazaki
Musiche: Joe Hisaishi
Durata: 126’

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