Non si tratta esattamente di Satana né di una sua derivazione, ma di un dio di polarità inversa rispetto a quello proiettato dalla nostra coscienza di frequentatori e conoscitori dei rituali cattolici. Anzi, è molto probabile che si tratti proprio di quella stessa divinità che abbiamo adorato senza conoscere, che abita – riproposizione mostruosa e grottesca della polimorfa struttura trinitaria – sia il nostro mondo (l’entità imprigionata nella teca, il Figlio), sia quello sovrasensibile (il Padre che abita al di là dello specchio e che cerca di ricongiungersi al Figlio), dove il terzo polo, quello corrispondente allo Spirito Santo, potrebbe essere individuato come energia, cioè, aristotelicamente parlando, la capacità di passare dalla potenza all’atto o, nel caso specifico, di spostarsi fra i varchi spazio-temporali, acquisendo continuamente nuove forme (1).
1) In tutto il film di Carpenter il Male ripropone in modo deforme e paradossalmente icastico i tratti essenziali dei principi, dei dogmi e dei precetti del cristianesimo (da “scimmia di Dio”, come viene definito dai Padri della Chiesa), a partire dalla struttura trinitaria, come riportato nel testo, ed estendendosi al mistero dell’incarnazionedel Figlio attraverso il corpo di una mortale prescelta (la studiosa Kelly, nella fattispecie, che funge da “Madre” e da tramite fra la dimensione terrena e quella ultraterrena). La contaminazione progressiva che colpisce i ricercatori che entrano in contatto col malefico liquido (diventando, di fatto, temibili avversari dei superstiti) costituisce invece il segno della blasfema conversione al Maligno. Non si dimentichi mai, però, l’ambiguità di fondo che permea anche questi aspetti del rapporto fra il divino e il demoniaco nel lavoro di Carpenter, dato che il secondo non si configura mai come effettivamente tale, ma sempre come manifestazione in atto del Caos, dell’irrazionale eletto a principio primo dell’universo.
Cristo è l’Anti-cristo e Dio è l’Anti-dio, in un continuo gioco di specchi deformanti. Ad affermarlo è un enorme e antichissimo libro scritto in latino, greco, copto e cifre numeriche, che si trova nel sotterraneo dove è custodito il mostruoso segreto. La Chiesa ha mentito, più o meno consapevolmente per lungo tempo, sulla vera natura del cosiddetto “Figlio di Dio” e ha dovuto tenerlo imprigionato in quella teca, sotto la custodia di una strana congregazione, la Confraternita del sonno, una setta di sacerdoti-guardiani dall’immenso potere e peso “politici”, la cui esistenza è stata celata anche a buona parte delle gerarchie vaticane. In uno strano paradosso, il sonno del “mostro”, l’ignoranza circa la sua presenza nel mondo, ha generato la ragione, cioè ha portato, per secoli, filosofi, fisici e matematici a costruire dei sistemi di pensiero in cui l’interpretazione dei fenomeni faceva scaturire una realtà organizzata logicamente secondo un’armonia prestabilita.
La Chiesa custodisce, ma non comprende l’identità effettiva che si cela nella sostanza che alberga nel cilindro di vetro. Dal canto suo, la scienza non custodisce, ma comincia a capire, seguendo il proprio percorso conoscitivo, che la natura del mondo invisibile (e, come in questo caso, il mondo invisibile, in quanto tale, e quello trascendente, dove avrebbe sede il divino, spesso si compenetrano, divenendo indiscernibili) e delle micro-particelle che lo compongono è tutt’altro che corrispondente alle leggi di equilibrio e proporzione della logica, che paiono reggere il mondo macroscopico. Le in-formi abiezioni custodite e non capite dalla religione sono le medesime che vengono scoperte, osservate, ma non dominate dalla scienza. Il mondo caotico delle particelle subatomiche, dove alberga il Male, conduce al delinearsi di un universo aberrante, in cui sia il supposto ordine teleologico della religione (di cui l’uomo è il fulcro), sia quello fondato sui principi della logica tradizionale, su cui si basa una scienza altrettanto tradizionale (e di cui l’uomo è ancora una volta l’asse portante), vengono a crollare.
Come sostiene il personaggio del professor Birack (Victor Wong): “La nostra logica crolla a livello subatomico, tra fantasmi e ombre” e poi, “Anche se esiste un ordine nell’universo, non è affatto quello che noi avevamo in mente”. La natura e la materia che osserviamo sono solo proiezioni di una realtà strutturata in modo indeterminabile/indeterminato, in cui la molteplicità delle variabili in gioco nel livello microscopico, ma anche sovente in quello macroscopico (2), impedisce all’osservatore di stabilire con certezza le leggi e le regole di un mondo inaccessibile. Questo, probabilmente, è il male peggiore per l’uomo e per la sua ambizione di essere il centro e la misura di tutte le cose.
2) Cfr. Jean-François Lyotard, La condizione postmoderna, tr. it., Feltrinelli, Milano 1981, 16^ ed., luglio 2005, in particolare le pp. 107-110.
In realtà, il conflitto cui si assiste non è prevalentemente centrato sulla contrapposizione fra scienza e fede, ma su quella fra scienza contemporanea e scienza classica, laddove la teoria dei quanti, di cui Birack è un sostenitore, si mostra paradossalmente molto più vicina alle posizioni teologiche di quanto non lo sia rispetto a quelle di un sapere tradizionale ormai sorpassato. Proprio il collasso “tra fantasmi e ombre” delle certezze sapienziali acquisite in millenni di studi, la cui causa non è un dogma o una verità di fede, ma un nuovo orizzonte conoscitivo, a cui la fisica quantistica approda attraverso lo studio e l’osservazione scientifici, conduce all’alleanza spuria fra la scienza dell’invisibile e la verità rivelata dell’invisibile.
Sull’uno come sull’altro versante vi sarà però un’amara sorpresa. Sia l’uomo di fede (Loomis), sia quelli legati alla ricerca e all’esperimento (Birack e gli altri accademici) dovranno ricredersi su molte delle loro convinzioni. Il primo vedrà cadere quella visione duale e sostanzialmente manichea – divisa tra un Bene e un Male entrambi assoluti – alla quale una vita di dedizione lo aveva portato a credere: l’universo è retto e ha origine dal caos e dal disordine, che allignano innanzitutto nella dimensione subatomica; non si delinea nemmeno la “consolazione” di lottare contro un’intelligenza diabolica. Tutto ciò che è reale è irrazionale, verrebbe da dire. Il nemico non è altro che pura energia dinamica, autentica forza distruttrice. I secondi constateranno con sgomento che le anomalie del mondo microscopico non sono confinate a questo, ma tracimano, sconfinano anche in quello macroscopico, coinvolgendo la totalità dei viventi, l’intera comunità umana, assediata da ogni lato dall’incedere di una potenza originaria, antica come e più del mondo, ottusa, cieca e dal potere annientatore smisurato.
Data l’assenza di un principio del Bene, di una possibilità di salvezza derivante dal trascendente, in un mondo che sembra destinato alla rovina, all’uomo non rimane altro che fare affidamento su se stesso. La Chiesa tace o si esprime in modo menzognero su una verità letale e tragica, ma anche le istituzioni laiche sembrano indifferenti sia al pericolo incombente sul manipolo di impavidi studiosi – in realtà, un pericolo per il mondo intero – sia al disagio degli ultimi, gli homeless (gli esseri che, dopo aver smesso di essere utili per la società, cominciano semplicemente ad essere, riappropriandosi autenticamente della loro esistenza senza sovrastrutture derivanti da una “inutile utilità”), che aspettano la riscossa, la sentono, più che volerla, e rimettono le loro speranze nella venuta di un Potere ultramondano, avversario della società e del consesso civile che li hanno emarginati. Sono proprio questi ultimi, abitatori degli estremi confini periferici della città, a percepire che un mutamento sostanziale è imminente nelle gerarchie terrene e ad assediare, muti, la chiesa dove gli studiosi sono riuniti per fronteggiare il pericolo e dove incombe l’avvento della rivoluzione ontologica e conoscitiva che sta per cambiare le sorti del mondo.
Nella quasi totalità dell’opera di Carpenter è l’eroismo individuale, o di un ristretto gruppo di personaggi, che si erge a fronteggiare una minaccia quasi sempre ignorata dal resto della comunità (gli esempi sono innumerevoli: Distretto 13, Halloween, Fog, La cosa, Essi vivono, Vampires e altri ancora). Viene a cadere quindi anche quel racconto originario, che da sempre si ripete, in un modo o nell’altro, nel cinema epico a stelle e strisce, vale a dire la nascita di una nazione, cioè la nascita di una società composita ed eterogenea, ma sostanzialmente unita nei propri intenti e motivazioni e capace di supportare quegli uomini straordinari che si ergono a suo baluardo. Non vi è, quindi, nella visione carpenteriana della società e del mondo, alcun grande ideale da difendere, alcuna comunità da rappresentare, alcuna istituzione o potere in nome dei quali dare la propria vita, benché sia possibile riscontrare non di rado, nei suoi lavori, un generico umanesimo, pessimista però nel profondo.
Quando una rappresentante degli studiosi, Catherine (Lisa Blount) si sacrificherà, gettandosi nello specchio (posto all’interno di una delle stanze della chiesa) – il varco sulla dimensione della (anti)materia-riflesso, che dimora ai confini del nostro mondo – per ricacciare la forza malsana (il “Padre” che sta tentando di ricongiungersi al “Figlio”) nella dimensione da cui proviene, non lo farà né in nome di un inesistente principio del Bene, né in quello di una società-nazione che non vigila sui propri membri. Lo farà, invece, per sé e per i propri amici e colleghi e, tutt’al più, per il resto di un’umanità fondamentalmente ignara e ingrata. Un martirio individuale e laico, quindi, il cui esito finale rimane incerto, dato che molti sono gli specchi e quindi le porte che si aprono sull’abisso del(l’in)visibile.
Gian Giacomo Petrone
Sezione di riferimento: Into The Pit
Scheda tecnica
Titolo originale: Prince of Darkness
Anno: 1987
Durata: 102’
Regia: John Carpenter
Soggetto e sceneggiatura: Martin Quatermass (John Carpenter)
Fotografia: Gary B. Kibbe
Montaggio: Steve Mirkovich
Musiche: John Carpenter, Allan Howarth
Interpreti principali: Donald Pleasance, Jameson Parker, Victor Wong, Lisa Blount, Alice Cooper