Ma non è tutto oro quel che luccica, dal momento che buona parte dei titoli prodotti si sono rivelati una stanca reiterazione di idee e stilemi all’acqua di rose, figli di un pensiero di cinema quantomeno povero e abusato. Con qualche (ottima) eccezione: il capolavoro romeriano Diary of the Dead innanzitutto, vera e propria messa in scena di uno scacco cognitivo dinanzi alla frammentazione delle immagini, un saggio teorico sull’impossibilità di dare una rappresentazione compiuta al Reale che ci circonda; ma anche, in maniera minore, i pur ottimi [REC] di Jaume Balaguerò e Chronicle di Josh Tank.
The Bay si muove all’interno delle medesime coordinate, ma anziché affrontare il genere attraverso la lente della riflessione teorica, preferisce puntare dritto ai contenuti: il virus non è più l’immagine (come in Diary of the Dead), bensì è dentro di noi, radicato all’interno della nostra comunità (società); agli occhi – telecamere, cellulari, skype e quant’altro – non resta quindi che registrarne le conseguenze. Barry Levinson utilizza così le moderne tecnologie per guardare innanzitutto al cinema del passato: da Lo squalo di Steven Spielberg al grande horror politico degli anni Settanta e Ottanta, quello che si trasformava in punto vista sporco e deformante della realtà sociale di tutti i giorni. L’horror scomodo, non riconciliato, lontano dalle mode del pensiero dominante: l’horror che si poneva innanzitutto l’obiettivo di raccontare l’Uomo e la fragilità delle infrastrutture da lui create.
E al passato The Bay ci guarda davvero: un film dove tutto è già successo, qualche anno fa, in una località costiera del Maryland. Un piccolo porto marittimo dove le famiglie si recano in vacanza per festeggiare il 4 luglio, una sorta di isola felice in cui l’americano medio ripone tutta la fiducia e la speranza insite nel celeberrimo sogno del Grande Paese. Ma è un sogno che a poco a poco assume le sembianze di un incubo: il livello di tossicità delle acque, causato dalle scriteriate politiche aziendali del luogo, genera un parassita che comincia a prendere il controllo delle persone, trasformando la festa nazionale in una mattanza incontrollata. Oggi, a distanza di qualche anno, un’aspirante giornalista sopravvissuta ai fatti tenta di mettere insieme le testimonianze di quella giornata, grazie all’utilizzo di tutto il materiale audiovisivo rinvenuto.
The Bay diventa così il racconto della disfatta di una Nazione, divorata al suo interno proprio nel momento di massimo splendore, quello in cui si appresta ad autocelebrare se stessa (la festa dell’indipendenza): per la prima volta nella sua carriera, Levinson usufruisce degli stilemi dell’horror per dipingere un affresco nero e pessimista dell’America, governata da un caos strisciante che dilaga liberamente senza che nessuno riesca a porvi rimedio. Ed è un caos che nasce dall’interno: nessuna minaccia terroristica, nessun intervento esterno; il cancro è già insito dentro di noi, irrimediabilmente. Attraverso il cinema, non si può far altro che mettere in scena l’inarrestabile proliferare delle metastasi.
Utilizzando le caratteristiche proprie del found footage, The Bay effettua il disperato tentativo di far vedere ciò che non esiste, ciò che non è stato mostrato: un passato (seppure molto prossimo), raccontato attraverso gli strumenti del futuro digitale; è in questa contraddizione che risiede il cuore del film, permeato di una visione apocalittica su un mondo, il nostro, che non morirà per mano degli alieni o altro. Semplicemente, finirà quando non rimarrà più nessuno in grado di vedere.
Giacomo Calzoni
Sezione di riferimento: Into the Pit
Scheda tecnica
Titolo originale: The Bay
Anno: 2012
Regia: Barry Levinson
Sceneggiatura: Michael Wallach
Fotografia: Josh Nussbaum
Musiche: Marcelo Zarvos
Durata: 84’
Uscita in Italia: --
Interpreti principali: Kristen Connolly, Anthony Reynolds, Kether Donohue, Christopher Denham.