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RADIAZIONI BX: DISTRUZIONE UOMO - L’infinitamente piccolo 

14/7/2014

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“Se non accettano adesso le nostre condizioni, si possono aspettare una pioggia di distruzione dall’alto, come mai si è visto su questa terra.” Harry Truman, 33° presidente degli Stati Uniti, saluta così, il 6 agosto del 1945, l’annientamento nucleare della città nipponica di Hiroshima. Centinaia di migliaia di morti, per la maggior parte civili, sia durante l’esplosione, sia in seguito, a causa dell’esposizione alle radiazioni. Il 9 agosto, stessa sorte per Nagasaki.
Nel 1955, Dick Powell gira un film in costume sulla vita e le imprese di Gengis Khan: Il conquistatore. Protagonista è John Wayne. Parte della pellicola viene realizzata nel Nevada, ai confini col deserto dello Utah, zona di esperimenti atomici. Molti degli attori – fra cui anche Wayne –, degli operatori nonché il regista, nell’arco di una trentina d’anni, si ammaleranno e moriranno di cancro.
Niente sarà più lo stesso dopo l’avvento della minaccia nucleare, sotto la quale si tesseranno anche alcuni degli esili fili su cui si reggerà l’equilibrio mondiale all’epoca della Guerra Fredda. Tutto sta ineluttabilmente cambiando e anche l’uomo si percepisce come sempre più periferico, massificato, rimpicciolito.
Vi è una sorta di preveggenza e lungimiranza, in molto cinema e letteratura di genere, nell’horror e nella fantascienza in particolare, in grado di chiarire e amplificare, di cogliere e interpretare i segni del presente e di proiettarli nel futuro. Radiazioni BX (tratto dal romanzo The Incredibile Shrinking Man di Richard Matheson, che si occupa anche della sceneggiatura) riveste, in tal senso, un ruolo particolarmente rilevante, in quanto, pur prendendo le mosse da tale temperie e pur evidenziandone alcuni tratti pertinenti, riesce soprattutto a rielaborarne le coordinate, conducendo lo spettatore in un viaggio senza ritorno ai confini estremi delle proprie paure e angosce.
Scott Carey (Grant Williams) è un uomo davvero fortunato. È benestante, ha una bella moglie, una bella casa, abiti cuciti su misura con sopra ricamate le proprie iniziali, e può permettersi di scorrazzare per l’oceano, nel tempo libero, con il cabinato che il fratello di quando in quando gli presta. Tutto sembra procedere a meraviglia sino al giorno in cui, proprio durante una gita in barca, Scott incontra l’imponderabile: prendendo il sole, rimane esposto a una innaturale e densa foschia – in realtà una nube radioattiva – che gli lascia sul corpo una strana patina fluorescente.
Inizialmente, solo un po’ di stupore. Basta un asciugamano per rimuoverla. Nessun altro effetto visibile o riconoscibile. Dopo qualche tempo, però, comincia ad affacciarsi in lui un terrore sempre più insinuante e concreto. Le radiazioni a cui il suo fisico è stato sottoposto hanno iniziato ad agire segretamente, invisibilmente su di esso, conducendolo a ridursi in modo impercettibile, ma progressivo e irreversibile. La paranoia della Guerra Fredda, il terrore del cittadino americano di subire una sorte analoga – in una sorta di legge del contrappasso – degli abitanti di Hiroshima e Nagasaki, è sintetizzabile proprio a partire da questo ineguale e mostruoso rapporto fra macroscopico e microscopico. Quando Scott inizia a essere consapevole della mutazione che sta invadendo il proprio organismo, egli diviene una tragica sineddoche, ma anche un simbolo dello scarto che allontana inarrestabilmente l’essere umano dal mondo che egli sta costruendo (beninteso, producendo macerie).
L’energia atomica può generare effetti devastanti, inconcepibili e per molti versi incomprensibili per la mente umana, nella sua manifestazione macroscopica. L’esplosione di un ordigno nucleare è, probabilmente, uno degli spettacoli più agghiaccianti e annichilenti a cui un essere vivente può assistere. Ancor più inquietante risulta però l’effetto microscopico che essa induce. Il mondo organico non è in grado di fronteggiare le aberrazioni che la radioattività produce, e gli esiti che ne derivano non possono che condurre alla degenerazione dei singoli organismi e dell’ecosistema che li ospita. L’alterazione cellulare – causa dell’insorgere del mostruoso, del deforme e dell’informe – atterrisce e sgomenta forse ancor più che non la distruzione immediata e repentina. È su quest’ultimo aspetto che pone l’accento Radiazioni BX, originando un crescendo di angoscianti presagi, mano a mano che il protagonista decresce.

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Da un altro punto di vista, contiguo a quello appena esaminato, la pellicola di Jack Arnold istituisce una magistrale riflessione sociologica e antropologica, attraverso l’allegoria filmica. Il ventesimo secolo e l’alba del ventunesimo sono segnati da un’evoluzione tecnologica e scientifica senza precedenti. I macchinari, gli apparati e i dispositivi, che l’uomo costruisce per migliorare e in definitiva per estendere ciò che Heidegger definiva “il dominio tecnico sulla Terra” (1), piuttosto che accrescere la sua presa sulle cose, la rendono vieppiù malferma e incerta. L’universo tecnologico, anziché abbreviare la distanza fra uomo ed ente, la aumenta, creando di fatto un’ulteriore dimensione organizzata e strutturata, le cui leggi sono perversamente aliene rispetto a quelle che governano le naturali propensioni, le azioni, le mozioni e i bisogni antropici. 
Come sostiene saggiamente Mario Pezzella: “La vita organica sembra divenuta inferiore e meno perfetta di quella inorganica. L’uomo ha la percezione di non essere all’altezza dei propri stessi prodotti”. (2) Le prestazioni delle apparecchiature tecniche, non importa se militari o civili, implicano un’attenuazione dell’umano, che comporta una fondamentale e inevitabile disumanizzazione.

1) Martin Heidegger: Sentieri interrotti, La Nuova Italia Editrice, Firenze 1968, rist. in “Paperbacks Classici”, p. 97.
2) Mario Pezzella, Il volto di Marylin. L’esperienza del mito nella modernità. Ed. manifestolibri, Roma 1999, p. 11.

Non si fermano qui, comunque, le suggestioni evocate da Radiazioni BX, giacché vengono anche intelligentemente sondati alcuni decisivi meccanismi nei rapporti esistenziali di Scott con i propri simili e col proprio ambiente domestico. Una volta che egli inizia a rendersi conto del rimpicciolimento progressivo del proprio organismo, la sua identità psicofisica inizia, ovviamente, a vacillare. Una delle prime reazioni che ha è guardarsi allo specchio. I suoi tratti somatici, però, non cambiano. Semplicemente, il suo corpo inizia a restringersi. Quando le sue dimensioni cominciano visibilmente a mutare, si modificano tragicamente anche le sue relazioni sociali e umane. Egli diviene lo zimbello di giornalisti a caccia di scoop, di vicini di casa curiosi nei confronti del novello freak, di emittenti televisive alla ricerca di un nuovo spettacolo, della moglie (anche se la cosa non viene esplicitamente dichiarata, soprattutto nelle ovvie implicazioni sessuali), che è costretta ad accudirlo come un fragile animale domestico. 
Infine è la casa, dapprima luogo di rifugio dalle disturbanti attenzioni del mondo esterno, a rappresentare per lui un ambiente sempre più vasto e inospitale. Nella fase centrale del film, è possibile osservarlo alle prese con un ambiente domestico sempre più fuori equilibrio, fuori asse. Un luogo costruito e concepito su misura si manifesta come sempre più smisurato. Ciò nonostante, l’abitazione rappresenta l’ultimo rifugio per il novello freak, in un mondo in cui chi non rientra nei canoni acquisiti di “normalità” costituisce un pietoso caso clinico, un fenomeno da baraccone o, peggio ancora, da rotocalco televisivo. Anch’essa, però, diviene via via sempre più estranea. Scott appare come un uomo-giocattolo in un edificio per giganti. Ogni singolo oggetto appare fuori scala rispetto a lui, anche se è proprio il protagonista a essere, appunto, fuori scala. (3) 

3) Per rendere credibile la trasformazione di Scott, il set viene allestito in modo tale da far apparire il protagonista Grant Williams sempre più piccolo, ponendogli accanto degli oggetti, dei mobili, delle suppellettili costruiti appositamente in una scala abnorme rispetto a quella normale e gradualmente sempre più giganteschi rispetto alle dimensioni dell’attore. Grant Williams diviene, in questo caso, l’unico vero “effetto speciale” sul set.

Quando Scott, alto pochi centimetri, alla fine del film, sta per avviarsi verso il proprio giardino, per lui una giungla impenetrabile, anche il percorso dell’uomo contemporaneo, simbolicamente, sta per compiersi: “Cos’ero? Ancora un essere umano? Oppure ero l’uomo del futuro?” si chiede Scott. Ecco, forse l’uomo del futuro – che però parla al passato, in voce over – altro non è che un estenuato sguardo su un infinito più facile da raggiungersi scomparendo.

Gian Giacomo Petrone

Sezione di riferimento: Into The Pit


Scheda tecnica

Titolo originale: The Incredibile Shrinking Man
Anno: 1957
Regia: Jack Arnold
Soggetto: Richard Matheson (romanzo)
Sceneggiatura: Richard Matheson, Richard A. Simmons 
Fotografia: Ellis W. Carter
Montaggio: Albrecht Joseph
Musiche: Foster Carling, Earl E. Lawrence
Durata: 78’
Interpreti principali: Grant Williams, Randy Stuart, April Kent, Paul Langton, William Schallert, Billy Curtis

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