Visitor Q si apre con una didascalia: “L’hai mai fatto con tuo padre?” Kiyoshi, pater familias degli Yamazaki, tra specchi e luci pop, filma l’incesto con sua figlia, Miki; prima un imbarazzato petting, per poi scivolare, abbandonando ogni remora, verso gli istinti più bassi: cunnilinguo, fellatio e infine il rapporto sessuale completo, feroce e furioso, con tanto di derisione finale da parte delle figlia verso il padre, “uccello prematuro”, incapace di soddisfarla e per questo obbligato a pagare la prestazione con un prezzo maggiorato.
I primi minuti del film accompagnano lo sguardo dello spettatore verso la distruzione di un equilibrio familiare ormai in lenta decomposizione, e destinato a sfaldarsi totalmente. Nel capitolo successivo, intitolato “hai mai picchiato tua madre?”, ci si inoltra nella narrazione malata del rapporto madre-figlio, più vicino a quello di vittima-carnefice, in cui mamma Yamazaki è selvaggiamente e senza motivo picchiata dal figlio. Come una vertigine si raggiunge il punto di non ritorno: Miike apre il sipario sulle nefandezze e gli abusi subiti dai vari membri della famiglia nel loro vissuto quotidiano, da parte di una società cruda e brutale.
Visitor Q può essere visto come un tentativo da parte dell’autore nipponico di ricostruzione, mantenimento e difesa del nucleo familiare, punto di arrivo di una tendenza giapponese interessata a sovvertire le architetture dell’istituzione primaria, esplicitata nell’opera del 1984 di Ishii Sogo, Crazy Family. Come in Teorema di Pasolini, anche qui è il sopraggiungere dell’elemento esterno a sovvertire le regole preesistenti, ma mentre nell’opera pasoliniana l’affascinante ospite, interpretato da Terence Stamp, dava il via a un percorso inarrestabile, che dall’unità familiare conduceva all’individualità, il Visitatore miikiano, tramite una terapia d’urto violenta al pari della brutalità vicendevolmente perpetrata dai membri della famiglia, tenta una riedificazione.
La famiglia borghese pasoliniana, incontrando l’elemento estraneo, viene rapita da un turbinio di passioni; saranno gli impulsi amorosi a liberare i singoli componenti, imbrigliati nelle catene della convinzione e della convenzione, rendendoli consapevoli del loro vuoto interiore. Gilles Deleuze, in L'immagine-tempo (Ubulibri, Milano 1989), scriveva: "L'inviato del fuori è l'istanza a partire dalla quale ogni membro della famiglia sente un avvenimento o affetto decisivi, che costituisce un caso del problema”; la conseguente presa di coscienza genera dolore e disperazione, ma rappresenta anche un percorso verso la libertà. Paolo (il padre in Teorema) parla all’ospite prima che questo parta: "tu sei venuto qui per distruggere. In me la distruzione che hai causato non poteva essere più totale. Hai distrutto semplicemente l'idea che ho sempre avuto di me". Nel film di Miike il messaggio si evolve: “bisogna distruggere affinché si possa ricostruire”; il senso di demolizione è alla base della narrazione in entrambe le opere, ma nella prima porta al recuperò dell’Io, a favore di una individualità soggettiva, nell’altra invece sfocia nella ricostituzione del nucleo, seppure in un’unione rinsaldata dalla bassezza e dalla depravazione.
Incesto, tossicodipendenza, necrofilia, prostituzione, voyeurismo: sono solo alcune delle empietà presenti in seno alla famiglia - cellula sociale - nipponica descritta da Miike; con anarchia stilistica e autentica sincerità, il regista illustra le perversioni e la putrefazione familiare-collettiva, ma non fa altro che mettere in scena, secondo quelli che sono i suoi canoni registici ed estetici, e con la sua solita ironia dissacrante, la vera natura umana, raccontando una realtà vergognosamente illuminante.
Mariangela Sansone
Sezione di riferimento: Into the Pit
Scheda tecnica
Titolo originale: Visitor Q (Bijitâ Q)
Anno: 2001
Regia: Miike Takashi
Sceneggiatura: Itaru Era
Fotografia: Hideo Takamoto
Musiche: Kôji Endô
Durata: 84’
Uscita in Italia: DVD gennaio 2007
Interpreti principali: Kenichi Endo, Shungiku Uchida, Kazushi Watanabe, Shôko Nakahara