Dopo un momento di appannamento, le antologie horror hanno rialzato la testa negli anni Ottanta, grazie soprattutto al bellissimo Creepshow della premiata ditta Romero/King, per poi scomparire nell'oblio, mantenendo alte quote soltanto in terra asiatica (il notevole Three... Extremes e diversi prodotti thailandesi), e ricomparire con prepotenza in questi ultimi anni. Da almeno un lustro infatti le miscellanee sono tornate a occupare un posto di rilievo, con lavori segnati da una forte incostanza interna e caratterizzati da risultati complessivi talvolta discreti (l'inglese Little Deaths) talvolta mediocri (l'ossessivo ed estenuante V/H/S).
Oggi ci occupiamo dell'ennesima raccolta a tinte oscure, realizzata nel 2011, transitata con alterne fortune in numerosi festival di genere e (ovviamente) rimasta inedita in Italia: The Theatre Bizarre, produzione americana con sei cortometraggi diretti da diversi registi e un intermezzo spezzettato a unire i vari episodi, ambientato tra le fosche e affascinanti tinte del Teatro Guignol, in cui una ragazza dalla platea assiste a uno spettacolo in cui un uomo-marionetta (Udo Kier) presenta le sanguinarie storie che di volta in volta compongono l'antologia.
Nel primo episodio, The Mother of Toads, un ragazzo effettua un viaggio a Parigi alla ricerca di segreti riguardanti il Necronomicon lovecraftiano, salvo poi imbattersi in una maledizione radicata nella notte dei tempi. La direzione è affidata a Richard Stanley, in passato autore di cult come Hardware e Dust Devil (Demoniaca nella versione nostrana). Nonostante il nome di riferimento lasciasse presagire un buon risultato, il corto di Stanley risulta il peggiore del lotto: fiacco, banale, approssimativo, con soluzioni logistiche d'infinita prevedibilità. L'unico motivo d'interesse risiede nella (sprecata) presenza di Catriona MacColl, indimenticabile protagonista dei capolavori fulciani Paura nella città dei morti viventi, L'aldilà e Quella villa accanto al cimitero. Ma lei da sola non basta a salvare il naufragio.
Il secondo segmento, I Love You, è invece diretto da Buddy Giovinazzo, nel 1984 regista del cult Combat Shock, il più “serio” lavoro mai prodotto dalla Troma, un film rivestito da una terribile dose di atavica e corrosiva malinconia. Anche sulla breve distanza l'italo-americano conferma le linee-guida della sua pellicola più conosciuta, dipingendo una dolente storia di abbandono e solitudine, destinata inevitabilmente a sfociare nella tragedia. Costruito con mano sicura, l'episodio si lascia apprezzare per la solidità stilistica che lo caratterizza, salvo però chiudersi con un finale non abbastanza incisivo.
A seguire, arriva il mitico Tom Savini, nella doppia veste di attore e regista per Wet Dreams, episodio che si apre con una ragazza quasi nuda che volteggia come una libellula chiamando all'amore il fidanzato. Quasi una dichiarazione d'intenti, peraltro non suffragata dal proseguimento del racconto, che si evira (in tutti i sensi) in un giochino a incastro tra sonno e veglia, sulle orme del torture porn più tradizionale e pedestre.
Siamo a metà della visione, e quando ormai appare chiaro come il livello dell'antologia non sia propriamente esaltante, arriva il gioiello che ne risolleva appieno le sorti: The Accident, diretto dal semi-debuttante Douglas Buck, montatore di Offspring e Territories ma alle prime armi dietro la macchina da presa. Nel segmento, una bambina riflette con la propria madre sul senso della vita e della morte, poche ore dopo aver assistito a un incidente in cui un motociclista è rimasto ucciso. Nonostante lo scarso minutaggio, il lavoro di Buck colpisce a fondo per l'atmosfera nostalgica e dotata di sorprendente sensibilità che lo ricopre, ricordando da vicino il bellissimo Wendigo di Larry Fessenden; una ninna nanna con i colori dell'infanzia, quasi sacrale, in cui si scontrano note di speranza e disarmonie di orrori imparati troppo presto, alla ricerca del significato di un'esistenza giovane ma già matura. “Mamma, perché dobbiamo morire?” chiede la bimba. “Per lasciare posto agli altri”, risponde la madre. “Ma finché siamo in vita, dovremmo solo farci del bene”. Banale? Forse, ma anche emozionante.
Il quinto episodio, Vision Stains, è diretto da Karim Hussain, famoso nell'ambiente per aver realizzato una dozzina di anni fa il violentissimo (e insopportabile) Subconscious Cruelty. Protagonista della vicenda una ragazza, che uccide altre donne consumate da tristi esistenze, con l'obiettivo di estrarne dalla mente i ricordi, così da riportarli sul suo diario e conservarli in eterno. Intrigante sulla carta, il frammento risulta però un po' troppo confuso, e come nella sua opera più rinomata (?) Hussain dimostra di avere la fastidiosa tendenza a blandire le sue capacità nell'eccessiva ricerca formale e stilistica.
A chiudere il Teatro degli orrori arriva Sweets, diretto da David Gregory, specialista in documentari e videoclip ma quasi vergine nei riguardi della fiction. Il suo ritaglio, dedicato a una coppia in perenne bulimia, sfrutta estetica lollipop e derivazioni kitsch per dare vita a un guazzabuglio disgustante e appiccicoso, che sfocia in una zuccherosa orgia antropofaga non troppo lontana dalla memorabile suzione dei corpi del Society yuzniano. Eccessivo e ridondante, risulta comunque un corto divertente e non privo di discrete intuizioni, a confermare come in The Theatre Bizarre, a conti fatti, i frammenti migliori risultino quelli degli autori meno conosciuti: d'altronde, come quasi sempre accade, il successo sta nelle idee, non nell'aprioristica fiducia al “nome” coinvolto.
Incasellando l'ultima scena di morte le marionette del Guignol intanto ci salutano, pronte a dirigere altrove le loro storie dannate.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: Into The Pit
Scheda tecnica
Regia: Jeremy Kasten, Richard Stanley, Buddy Giovinazzo, Tom Savini, Douglas Buck, Karim Hussain, David Gregory.
Attori principali: Udo Kier, Catriona MacColl, André Hennicke, Suzan Anbeh, Tom Savini, Lena Kleine, Kaniehtiio Horn, Lindsay Goranson.
Anno: 2011
Durata: 114'