Prodotto in Gran Bretagna nel 2011 e firmato da tre registi piuttosto diversi tra loro (Sean Hogan, Andrew Parkinson e Simon Rumley), il film ha avuto una genesi travagliata, in quanto osteggiato dagli executives e sottoposto a numerosi tagli: ne ha fatto le spese soprattutto il peculiare Mutant Tool, firmato da Parkinson, che risulta un po’ confuso a causa delle forbici censorie. I rapporti tra i tre registi sono sati burrascosi, e l’opera è stata presentata solo in pochissimi festival per poi uscire direttamente in dvd uncut (è disponibile anche in edizione italiana) dopo parecchie beghe legali. Una serie di vicissitudini che hanno senza dubbio influito sul risultato finale, in ogni caso sopra la media, nonostante qualche caduta tutto sommato perdonabile; Little Deaths, il cui titolo fa riferimento a la petite mort, il suggestivo termine francese col quale si indica l’orgasmo, si concentra sul tema di una sessualità malsana e mortifera, declinata in tre differenti storie.
Si parte con “House and Home”, diretto da Sean Hogan, alla sua seconda esperienza dietro la macchina da presa dopo Lie Still (2005): Richard e Victoria, coppia ricca e annoiata, interpretano la parte dei “buoni samaritani” per adescare giovani senzatetto con finalità non esattamente trasparenti. Si imbattono in Sorrow (la brava ed espressiva Holly Lucas), che riserverà loro un’agghiacciante sorpresa. E’ il segmento più debole del film, pur molto curato dal punto di vista tecnico e girato in modo abile; le falle del plot sono evidenti nell’eccessiva prevedibilità di quello che dovrebbe essere il twist finale e nel messaggio di fondo, la solita critica sociale anti-capitalistica troppo scontata e telefonata per poter funzionare in questo contesto.
Un avvio a rilento dunque, che vede un netto recupero con l’ottimo “Mutant Tool”, firmato da Andrew Parkinson (anche colorista digitale dell’intero film, con esiti eccelsi): già autore di Venus Drowning (2006) e soprattutto di I, Zombie (1998), Parkinson ci dona un allucinato e alienante racconto di esperimenti di matrice nazista, nei quali un essere umano viene tenuto in laboratorio, col capo coperto da uno scafandro e ridotto in stato semi-vegetativo, in seguito all’impianto di un pene gigantesco. Lo sperma prodotto dalla creatura è in realtà una droga potentissima in grado di aprire il “terzo occhio”: Jennifer (l'efficace Jodie Jameson) è un’ex prostituta tossicodipendente alla ricerca di riscatto, donna fragile che finirà impigliata nelle maglie di una scienza assurda che non conosce etica. La trama è a dir poco bizzarra e la pecca del narrato si ritrova nel voler mettere troppa carne al fuoco, costruendo un plot complesso non sempre gestito al meglio; materiale sicuramente più adatto per un lungometraggio e penalizzato dai già menzionati tagli. Tuttavia l'episodio non perde la sua potenza, affascinando lo spettatore ed elevando il livello della pellicola.
E’ col terzo e ultimo segmento, “Bitch”, diretto dal talentuoso Simon Rumley (suoi Red White and Blue e lo splendido The Living and The Dead), che Little Deaths tocca il punto più alto, con un racconto disturbante e malsano. Virato in blu, bianco e rosso (i colori del suo film più conosciuto), Bitch ripresenta le tematiche tipiche del cinema di Rumley, che mette in scena un orrore reale, mai metafisico, un sentimento di angoscia che affonda le sue radici nella sfera emozionale, lasciando lo spettatore con un doloroso senso di disagio. Pete (Tom Sawyer) e la fidanzata Claire (Kate Braithwaite) vivono una relazione malata, basata su dinamiche sadomasochiste che vedono l’uomo come parte debole, in balia di una compagna dalla sessualità disturbata: Claire infatti rifiuta i rapporti tradizionali e canonici con Peter, per dedicarsi a giochi in cui lo umilia, trattandolo come un cane, nel vero senso della parola poiché il giovane dorme in una gigantesca cuccia e viene tenuto al guinzaglio. Il tallone d’Achille di questa figura femminile gelida sono proprio i cani, dai quali è terrorizzata; dopo l’ennesimo, cocente torto subito da Pete, egli trova liberazione in una vendetta sadica e inaspettata, un twist vero e proprio, ben diverso dal prevedibile finale di “House and Home”.
L’orrore, in “Bitch”, si ritrova nella spietata analisi di un rapporto in cui l’amore è diventato malattia, inficiante dipendenza destinata a una chiusa terribile. Un piccolo gioiello di forte impatto emotivo (come sempre in Rumley, del resto), che conclude una pellicola che viaggia a corrente alternata recando l’innegabile pregio di non lasciare indifferenti.
Chiara Pani
Sezione di riferimento: Into the Pit
Scheda tecnica
Titolo originale: Little Deaths
Anno: 2011
Regia: Sean Hogan, Andrew Parkinson, Simon Rumley
Sceneggiatura: Sean Hogan, Andrew Parkinson, Simon Rumley
Fotografia: Milton Kham
Musiche: Richard Chester, Andrew Parkinson
Durata: 94'
Uscita in Italia: 5 Ottobre 2011 (Dvd)
Interpreti principali: Holly Lucas, Jodie Jameson, Tom Sawyer, Kate Braithwaite