Due ragazzi e due ragazze, in viaggio per disputare una partita di tennis, si perdono nel bosco. Lì intorno, a loro insaputa, nello stesso momento, un altro ragazzo sta cercando di salvare sua sorella dagli attacchi di un maniaco, e una guardia forestale annoiata sta esaminando il territorio. Poco dopo, giungono sul posto due poliziotti, uno alle prese con il difficile risanamento di un matrimonio in crisi, l'altro abituato a reazioni brusche e modi di fare non proprio concilianti. Tutti questi eterogenei personaggi finiranno per incrociarsi e scontrarsi, in un graduale crescendo di orrore e devastazione.
Girato interamente alla luce del sole, sfruttando l'impatto fotografico e scenografico degli spazi aperti entro cui si snoda il racconto, Kalevet propone un'appassionante Battle Royale nella quale, tassello dopo tassello, convergono le microstorie dei protagonisti. Seguendo filoni paralleli dipanati con notevole sapienza, i due autori propongono un cupo mosaico situazionale che interseca lotte individuali atte a convergere in un furioso tutti contro tutti da cui in pochi sapranno uscire vincitori. Nei meandri oscuri del delirio esplode senza freni un coacervo di rabbia inespressa, rancori pregressi, vendette improvvise, attacchi di irrazionalità, in un morbo collettivo che annulla il senso civile della società, dando sfogo a istinti ferini d'incalcolabile pericolosità.
Così, tra automobili in panne, corse tra i boschi, mine e trappole nascoste sotto i piedi, pestaggi immotivati e tane soffocanti, sentimenti nascosti e affetti interrotti, la vita dei personaggi si spezza in spruzzi di sangue e materia celebrale, volti disfatti e copiose ferite, rannuvolando brandelli di coscienza evaporati nel cieco gorgo della follia.
A stupire, nel film, è l'estrema ferocia che accompagna tutta la messinscena, condotta con uno stile veloce, ricco di idee e privo di connotazioni consolatorie. La presenza di inserti lievi, guidati da una ficcante ironia di fondo, contribuisce per paradosso ad acuire ulteriormente gli imperiosi scatti di demenza che scoppiano talvolta nei momenti meno attesi, e gli autori si accaniscono contro i loro protagonisti scegliendo spesso soluzioni nefaste e impietose, a causa delle quali i tentativi di salvezza si dissolvono nell'aria triturando la speranza.
Violento e sanguinario più di quanto ci si aspetterebbe, Kalevet è inoltre in grado di veleggiare con sicurezza attraverso diversi registri stilistici, mutuando l'orrore con sequenze di tragico lirismo, in una disperazione che spegne il fuoco di vita segregato negli occhi di uomini e donne costretti a svestire le loro maschere di buonismo, per dare fondo alle peggiori bestialità nascoste nell'anima. In tutto questo si può forse notare una marcata e dolente riflessione indirizzata verso la situazione politica e sociale del paese d'origine dei registi, anche se gli intenti espressivi sembrano comunque rivolti soprattutto verso lo studio del degrado della razza umana in quanto universale strumento di egoismo e dannazione, al di là dello specifico territorio di riferimento.
Abili nell'utilizzo degli spazi aperti, come di recente hanno saputo fare molto bene soprattutto gli australiani (Wolfcreek) e gli inglesi (Eden Lake), Keshales e Papushado giocano con i consueti stilemi dell'horror, nel riuscitissimo tentativo di rileggerli in una veste intrigante e originale; toccano temi legati all'incesto, alla misoginia, ai vizi della borghesia, al sadismo delle forze dell'ordine, e impastano il tutto per fornire un desolante quadro filmico che allontana ogni rassicurazione; depistano lo spettatore inserendo l'anodina figura di un maniaco/killer che in realtà poi assume un ruolo non preminente; sviano infine dalle strade dell'amore, per immergersi a fondo nell'urlo muto di una pietra spaccata sulla testa del mondo.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: Into The Pit
Scheda tecnica
Titolo originale: Kalevet
Regia: Aharon Keshales, Navot Papushado
Sceneggiatura: Aharon Keshales, Navot Papushado
Attori: Lior Ashkenazi, Ania Bukstein, Danny Geva, Yael Grobglas
Musiche: Frank Ilfman
Fotografia: Guy Raz
Montaggio: Aharon Keshales, Navot Papushado
Anno: 2010
Durata: 90'