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CINEMA MUTO 34 - Canoni e "novità"

14/10/2015

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Segnali contrastanti: questa l'impressione frequentando l'edizione numero 34 del festival friulano. Che a fronte di un programma soddisfacente, ha visto un calo generale di spettatori, compensato da alcune proiezioni sold-out: la serata di apertura con Maciste alpino, restaurato e reintegrato di alcuni minuti; quella di chiusura con Il fantasma dell'Opera; la comica con Laurel & Hardy da poco in coppia The Battle of the Century, a suon di torte in faccia, di cui è stato ritrovato il secondo rullo; ma anche il godibilissimo Il segno di Zorro con Douglas Fairbanks. Apprezzabile novità le presentazioni di libri, mentre ampio rilievo è stato dato alla notizia del cambio al vertice: dopo 19 edizioni, l'anno venturo David Robinson passerà la mano a Jay Weissberg, corrispondente a Roma di “Variety”.

Tentando un sunto del programma, si può partire con gli autori più noti. Come Lubitsch, di cui si sono visti Romeo und Julia im schnee (Romeo e Giulietta sulla neve), aggiornamento della storia senza finale tragico, e uno dei film migliori proposti da quest'edizione, La bambola di carne, traboccante malizia e humour (basti già l’inizio, col regista-demiurgo che dà l’avvio a tutto sistemando un modellino della scenografia). O come Eisenstein, con la potente sinfonia politica per immagini Ottobre. Il fluviale Les misérables (1925) ha segnato la giornata del 7: ricostruzione del capolavoro di Victor Hugo in quattro parti (dalle cinque del romanzo), diretta da Henri Fescourt, noto anche per cinéroman a episodi come questo.
Un po’ di alleggerimento con alcuni film di Victor Fleming, tra titoli noti e altri non risparmiati dal tempo. When the Clouds Roll by, ultima commedia per Fairbanks nei panni di un superstizioso cronico, satireggia la psichiatria: se il bizzarro passaggio del pasto pesante, in cui attori travestiti da cibi si scatenano nello stomaco del protagonista, si riallaccia al noto Dream of a Rarebit Fiend di Edwin S. Porter, la visualizzazione di un conflitto in atto nella sua mente è difficile non faccia pensare oggi a Inside Out. Ma vanno citati anche gli efficaci momenti onirici e il lieto fine che segue un’inondazione. Ancora Fairbanks in The Mollycoddle, dove il climax spettacolare è una frana, e siamo ancora nella commedia con il per certi versi più moderno Mantrap, con Clara Bow. To the Last Man ha per direttore della fotografia James Wong Howe (poi due volte premio Oscar), agli inizi; solo un frammento invece per The Way of All Flesh, primo film americano con Emil Jannings, nei panni di un impiegato di banca la cui vita va in rovina, amato da David Wark Griffith.
Fairbanks non è stato l'unico a sfoggiare energia sullo schermo del teatro Verdi: “Muscoli italiani in Germania” ha proposto alcuni film con due nostri attori, Luciano Albertini e Carlo Aldini, che ebbero grande fortuna anche e soprattutto in quel paese. Del primo, Mister Radio ha esaltato la sala nel segno del superamento della soglia di incredulità, con le sue vertiginose scene a testa in giù tra le rupi, mentre Il globo infuocato è un film più vivace come andamento e meno “a sensazione”, accompagnato in modo pimpante dalla Zerorchestra.

Nel “Canone rivisitato”, The Mysterious X di Benjamin Christensen, storia di spionaggio i cui valori e l'effettismo dell’ultima parte spingono oggi al riso, e il rigore e l’originalità formale de L’inhumaine, diretto da un Marcel L’Herbier alla guida di diversi esponenti dell’avanguardia parigina anni ’20, come Fernand Léger, che curarono i décor. Tra le “Riscoperte e restauri”, Drifting aka La perduta di Shanghai di Tod Browning e uno dei ritrovamenti più attesi: lo Sherlock Holmes del 1916, prodotto dalla Essenay e interpretato da William Gillette, attore cui si deve anche l’iconografia del personaggio. Der Tunnel, film tedesco del 1915, ipotizza un po’ goffamente la costruzione di una galleria per viaggiare tra Europa e Usa – e un sistema di trasmissione video a distanza – . Colpiscono le movimentate scene di massa e alcune belle inquadrature con la folla che guarda in su, verso la camera. Nel programma “Girls Will Be Boys”, una delle visioni più strampalate: la comica prodotta da Hal Roach What’s the World Coming to?, che ipotizza un futuro di uomini effeminati e delicatissimi e donne sicure di sé che li predano. Puntate slapstick a parte, è sicuramente terrorizzante per i seguaci del gender.
Secondo atto per “Risate russe”, con una selezione di commedie sovietiche, “genere indubbiamente rischioso, ma non proibito”. I film visti infatti cercano, con discreti risultati, di bilanciare umorismo e messaggi di propaganda, per un'iniziativa del regime nel caso di Can't You Just Leave Me Out? – lo spunto iniziale è la nascita di una catena di mense popolari, che il protagonista scopre meravigliose – , per l’educazione dei giovani nel caso di Wake Up Lenochka, con la 25enne Yanina Zheimo abbastanza credibile come ragazzina perennemente in ritardo a scuola. Primo atto invece per “Origini del western”, sugli anni di nascita e fermento di questo genere prettamente americano, anni in cui ogni possibilità tematica e narrativa fu “esplorata, vagliata e codificata”. Brevi film di case come la American Film Manufacturing Company e alcuni nomi noti tra i registi, come Allan Dwan, di cui The Vanishing Race colpisce per la tristezza nel mettere in immagini una vicenda di isolamento e vendette tra bianchi e indiani.

“Altre sinfonie delle città” ha mostrato una nutrita serie di lavori appartenenti a quel “genere”, praticato negli anni ‘20 e ’30 – quindi sconfinando nel sonoro – , che raccontava le città tra astrazione, documentarismo e un’ambivalenza nei confronti della modernità urbana. Titolo più noto l’esordio di De Oliveira Douro, faina fluvial, con protagonisti i lavoratori sulle sponde del relativo fiume. Poi immagini di Chicago, Praga, Liverpool, ma anche i focus più ristretti delle “Sinfoniette di quartiere” come Montparnasse di Eugéne Deslaw.
Dall’America latina segnalabili El tren fantasma di Gabriel Garcia Moreno, ispirato da The General di Keaton e quel che resta del serial El automóvil gris, basato sulle gesta di una vera banda criminale: in entrambi i casi si nota l’influenza del cinema Usa. L’attore, cantante, fondamentale esponente della comunità nera Bert Williams ha goduto di una sezione incentrata su di lui, comprensiva della ricostruzione dell’incompiuto Lime Kiln Club Field Day, datato 1913. Punto forte della sezione “Cinema delle origini” i film sopravvissuti di e con Leopoldo Fregoli, celeberrimo attore trasformista, presentati da Arturo Brachetti. L'artista torinese considera Fregoli come colui che iniziò la sua arte, anche se la rapidità delle sue gesta sul palco è lontanissima da quel che faceva a vista il pioniere (anche nell'utilizzo del cinema, a fine '800, per documentarsi) romano.
Nella sezione “Ritratti” il documentario su Gaston Méliès, fratello di Georges che girò film negli anni '10 in paesi lontani quali Polinesia e Cambogia. A riprova che nonostante la lunga stagione del muto sia chiusa – salvo estemporanei omaggi, come il nuovo mockumentary Amore tra le rovine di Massimo Alì Mohammad – , alle Giornate c'è davvero sempre qualcosa di “nuovo” da conoscere e vedere.

Alessio Vacchi

Sezione di riferimento: Festival Report

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