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BIOGRAFILM 10 - Go Forth, di Soufiane Adel

10/6/2014

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Immagine
Banlieu parigina: un alternarsi di palazzi, antenne, lampioni e grandi porzioni di un verde selvaggio, duro a morire. I passi sulla strada di cemento sono timidi e ponderati, spezzano il solitario fruscio delle foglie secche e puntano al luogo della memoria. Una casa modesta, della quale conosceremo una sola stanza. Una storia affascinante, distillata dalle labbra di una sola donna. Così il regista “torna a casa”, nella casa dove il passato è un fuocherello sempre acceso, e così Go Forth prende forma.
Taklit Adel è la nonna del regista e la troveremo composta, seduta su un divano che è geometria perfetta di cuscini rosa, avvolta dai colori che l’Algeria le ha lasciato addosso, forte e vivace, disposta a sorridere davanti alla telecamera sotto sgargianti foulard aggiustati con cura sui capelli. Diciotto figli, quindici nipoti, trentacinque pronipoti e un passato algerino che con fatica tenta di allinearsi alla vita parigina.
La vita per Taklit (“Nana”, nelle parole del regista) è stata un incastro di fotogrammi: Champigny sur Marne, Barmont Guichet, la vita in uno sgabuzzino e senza elettricità, i figli piovuti nel grembo uno dopo l’altro, i matrimoni fra i canti tradizionali, lo spettro della guerra nell’urgenza di ritagliarsi uno spazio in cui vivere. Uno spazio algerino, perché questa è l’inossidabile identità della donna, la stessa che il nipote Soufiane si sente pronto a cercare e riscoprire attraverso i racconti.
Nulla è lasciato al caso in questo aggraziato e tenero lavoro francese selezionato per il Concorso Internazionale del Biografilm Festival. Il regista, venuto in possesso di alcuni vecchi filmati 8mm riguardanti il popolo africano, crea un delizioso intreccio di immagini: da un lato Taklit, la sua casa che è un guscio di tradizioni nella dispersiva periferia parigina; dall'altro i vecchi filmati africani, lo sradicamento di un popolo semplice e l’attaccamento verso le consuetudini della vita tribale; infine lo stesso Soufiane, i suoi filmati personali, ogni prezioso tassello di ieri, ogni granuloso fotogramma che l’ha portato fino a qui. Il passato è un narratore a tre voci, in questo film, e le alterna con delicatezza. Anche il commento musicale muta continuamente, ampliando le sue sonorità verso un unico grande brano collettivo dove lirica, musica classica, canzoni cabile e poesie trovano giusta collocazione.
Taklit è un visetto nostalgico in una delle mille finestre di un palazzo, è una cesta dove riporre le cinture algerine che solo dita sapienti sanno intrecciare, è un divano dove possiamo sederci tutti e ascoltare senza battere ciglio. La tessitura delle cinture, in particolare, diviene metafora dell’importanza dell’unione dei fili: così come Taklit stringe e annoda i tessuti, raccoglie e conserva i ricordi sino a unire una famiglia numerosa nella sua voce sola e malinconica.
Alla proiezione del film è presente l’ottima giuria del concorso, capeggiata dal produttore Danny Bramson. Soufiane Adel, “nato a pugni chiusi, da combattente”, è a sua volta presente in sala al momento della proiezione e nei suoi occhi è facile rileggere quelli della nonna. Racconta alla platea la sua urgenza di realizzare il film, essendo venuto a conoscenza di una grave malattia che affligge Taklit. L'autore si è così rimboccato le maniche e ha realizzato molte riprese con l’aiuto del drone, per regalarci una visione ampia ed estesa della periferia, sino a restringere il campo e insidiarsi dentro ogni minuscola realtà.
Anche “Nana” è una minuscola realtà, spiega il regista, che si eleva a voce di una famiglia e di un popolo intero. Sradicato, ma non arreso. Trasformato, ma memore delle radici. Coraggioso e pronto al futuro, riassunto perfettamente dalla cintura algerina intrecciata dalla nonna, quella che ora è stretta attorno alla vita della figlia piccola del regista. Andare avanti, accompagnati dalla musica dell’anima, è la risposta che l’Algeria ha saputo dare al colonialismo.
Così il cerchio si chiude riportando a galla il ricordo del nonno (marito di Taklit) tornato ferito dall’Indocina e costretto a convivere, anni dopo, con l’ombra della depressione. Quell’uomo, nonostante le ferite, divenne padre di numerosi figli. Secondo “Nana”, la morte gli disse “Dammi un buon motivo per lasciarti in vita”: lui rispose con una grande famiglia.
Allo stesso modo, Soufiane trova in questo film un ottimo motivo per tenere in vita l’identità della nonna e la propria: l’amore.

Maria Silvia Avanzato

Sezione di riferimento: Festival Reportage


Scheda tecnica

Titolo originale: Aller de l'avant
Regia. Soufiane Adel
Sceneggiatura: Soufiane Adel
Produzione: Charlotte Vincent, Aurora Films
Anno: 2014
Durata: 64'

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