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BIOGRAFILM 11 - Grey Gardens, di Albert e David Maysles

15/6/2015

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Immagine
Un soffio ha spento l’ultima candela e l’oceano borbotta attraverso i vetri spezzati delle finestre; la villa respira a fatica sotto la matassa di rampicanti e il patio è diventato un rifugio per gli uccelli; i gatti entrano ed escono dal buio miagolando annoiati; poco distante la spiaggia è deserta. Tutto appare abbandonato, come un pugno di detriti restituiti da un’onda. Poi una figurina nervosa prende a girovagare nella veranda: è lei, una delle abitanti del vecchio maniero, con i suoi movimenti frenetici e il foulard legato stretto attorno alla testa, con il volto inespressivo e il corpo deturpato da una forma di Alopecia Gravis, con le mani veloci che sistemano una strana gonna di stoffa riattata. Si chiama Edith Bouvier Beale, detta Edie, poteva essere una stella ma è caduta vittima di Grey Gardens.
Da ragazza qualcosa nel suo volto suggeriva la genesi di una diva: era diversa da ogni altra femmina della famiglia, di una bellezza disturbante, secondo molti era assai più interessante della cugina Jacqueline. Edie aveva le carte in regola per fare strada, apparteneva alla buona società e frequentava scuole prestigiose. Sua madre Edie Bouvier è stata forse la più chiacchierata della famiglia. Mamma Edie (Big Edie) ha consacrato la propria vita al canto. Cantava sperando di sfondare, per anni si è fasciata la testa con le sue fantasie definendosi una grande cantante in presenza degli altri. Bizzarra, spudorata, egocentrica, Big Edie ha sempre sollevato mormorii in famiglia; ma per sua figlia, la splendida Little Edie, è il primo e vero amore della vita.
Un bel giorno la cugina Jacqueline va all’altare con un Kennedy, e mentre un ramo delle famiglia Bouvier fa festa, per l’altro tutto precipita.
Il padre di Little Edie abbandona moglie e figli per fuggire in Messico, il disonore allunga la sua ombra sui Bouvier e per Big Edie è un duro colpo. La donna si rinchiude nella malinconia di Grey Gardens, East Hampton: la villa ha una storia di sapore romantico, è un piccolo paradiso dai colori perlacei a due passi dall’acqua e serba intatto il ricordo delle serate mondane durante le quali “la grande stella” cantava per gli ospiti. Una tana per l’eccentrica Edie, caduta in disgrazia, ma un luogo spaventoso se ci si vive da soli. 
Così la donna inizia a chiamare la figlia Little Edie. Quando questa arriva, ciò che trova ad aspettarla non è soltanto una colonia di gatti e piante infestanti fuori controllo, ma la minaccia della solitudine nella sua veste più terrificante. Grey Gardens è una dimora abbandonata, più di venti stanze lasciate al logorio del tempo. Non solo gatti, ma ratti e procioni, uccelli ed escrementi in ogni angolo. Big Edie vive lì da tempo in condizioni di degrado, il figlio le passa trecento dollari al mese e tutta la famiglia si è velocemente dimenticata di lei. La figlia potrebbe rimboccarsi le maniche e riportare la casa agli antichi splendori ma le manca la forza: si infila dunque in quel regno dell’orrore e gradualmente si lascia andare come la madre.
Sono queste due esistenze sgretolate che i fratelli Maysles decidono di raccontarci, scandalizzando la società dell’epoca e gettando nel panico anche la Casa Bianca, specie quella fortunata cugina Jackie che resta impressionata davanti ai sordidi segreti di famiglia. Perché la First Lady non può avere due parenti che vivono alla stregua degli animali e invece le ha. Nascoste, dimenticate, abbruttite, sporche, farneticanti, eppure sue parenti. La faccenda è così incresciosa che a seguito dell’uscita di questo film Jackie paga alle due donne lavori di bonifica e pulizia.
Sullo schermo le due Edie si lasciano risucchiare dalla casa in un vortice di polvere e carta, vivono una quotidianità basata sui cari vecchi rituali di una classe sociale messa in ginocchio, come in un Viale del Tramonto reso più opprimente dall’amore. Big Edie alza la voce dal secondo piano, Little Edie accorre. Litigano furiosamente per buona parte del tempo, le loro voci si rincorrono lungo la veranda di legno e nelle camere da letto ridotte a immondezzaio. Ognuna ha il proprio bottino di ricordi, ognuna si nutre di quello. Litlle Edie accusa la madre per le occasioni perse, per gli uomini allontanati, per la schiavitù emotiva alla quale è sottoposta. Big Edie fa finta di niente e si rende odiosa con i continui richiami, i rimproveri, la voce querula. 
Vittima e carnefice hanno ruoli piuttosto indefiniti: Little Edie è caduta nella trappola d’amore della madre ma ha come vera nemica la propria incapacità di affrancarsi, Big Edie pare tenere le redini del potere ma infine è una donna costretta a letto e in balia di una perenne elemosina di attenzioni. Così Big Edie punisce la figlia tenendola rinchiusa in un sepolcro fatiscente, Little Edie punisce la madre lasciando che il sudiciume cresca a dismisura attorno a lei e sfamandola con barattoli di burro d’arachidi.
Fermo-immagine di un’America ricca, folle e spezzata in un milione di frammenti, la casa stessa è un richiamo ai tempi dell’incoscienza e delle gite sulla spiaggia, ideata per accogliere una felicità opulenta e patinata. All’interno, il marciume, la decomposizione, il rifiuto di ogni regola, la creazione di una giungla privata dove destreggiarsi senza l’aiuto di nessuno. 
Attorno alla casa la natura è selvaggia, c’è quello che Little Edie chiama “il mare di foglie, se ti cade qualcosa sul fondo non lo trovi più”. Anche queste due donne si sono perse e non faranno ritorno per quanto, all’epoca delle riprese, fossero fermamente convinte di poter tornare alla ribalta: la vecchia madre canta antichi successi, la figlia balla e sfila domandandosi se New York darà qualche nuova opportunità a una cinquantaseienne un po’ appesantita rispetto ai vecchi tempi. Dive fino alla fine, totalmente noncuranti dell’impero di squallore che hanno messo in piedi, legate da un amore tagliente e insano, sincere e crude innanzi alla telecamera di una coppia di registi. Il lavoro impressionante dei fratelli Maysles trova spazio all’undicesima edizione del Biografilm Festival e arriva al cure del pubblico.
Non soltanto Rebekah Maysles (figlia di Albert) era presente alla proiezione, ma anche il grande regista scomparso e il fratello David sembravano magicamente materializzati in quella sala. Tutti assieme, nella casa delle ombre, per ricordare due donne recluse in una gabbia chiamata Amore, sullo sfondo di un’America che da sempre esalta i suoi divi e puntualmente affossa i suoi scomodi segreti.

Maria Silvia Avanzato

Sezione di riferimento: Festival Report


Scheda tecnica

Regia: Albert Maysles, David Maysles, Ellen Hovde, Muffie Meyer
Attori: Edith "Big Edie" Ewing Bouvier Beale, Edith "Little Edie" Bouvier Beale
Fotografia: Albert Maysles, David Maysles
Montaggio: Ellen Hovde, Muffie Meyer,Susan Froemke
Anno: 1975
Durata: 95'

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