Seconda premessa: a giudizio di chi scrive Deborah François rappresenta, insieme ad Anais Demoustier, la stella più splendente tra le giovani leve del cinema francese. Dopo averla ammirata in L'enfant dei Dardenne, nello strepitoso La voltapagine di Dercourt, nell'ottimo Le premier jour du reste de ta vie di Bezançon e nel controverso Student Services della Bercot, notevole era la curiosità di vederla all'opera in un ruolo senz'altro più lieve e impostato su registri interpretativi assai distanti dai lavori precedenti. Una scommessa a conti fatti vinta.
Siamo alla fine degli anni Cinquanta. Rose Pamphyle vive in un piccolo paesino di provincia, lavora nel negozio del padre ed è promessa sposa al figlio del meccanico locale. Una vita come tante, banale e priva di stimoli. La ragazza ha però ambizioni ben diverse: risponde così all'annuncio di Louis Echard, assicuratore di successo in cerca di una segretaria. Rose è accolta con vivo scetticismo, ma riesce comunque a conquistare il posto, mettendo in mostra un grande talento nascosto: la capacità di battere a macchina a velocità supersonica. Echard prende a cuore il destino della ragazza, e decide di svilupparne la dote, sottoponendola a dure sessioni di allenamento per poi iscriverla ai campionati regionali di dattilografia. Da lì in poi, Rose scalerà le vette della competizione, coltivando nel frattempo un sincero amore per il suo capo/mentore.
Régis Roinsard, specializzato nella realizzazione di spot e video musicali, debutta nel lungometraggio con un film dal chiaro sapore vintage, con il quale cerca di richiamare suggestioni e colori del periodo di riferimento. Siamo nel 1958, un'età in cui le donne inizia(va)no a reclamare con forza il proprio ruolo all'interno della società, sfidando le convenzioni per urlare al mondo il proprio sacrosanto desiderio di uguaglianza sociale e professionale. Rose è l'emblema del coraggio, della determinazione, il simbolo di chi non accetta una vita già scritta e prova ad aprire le sue ali per volare oltre i sentieri soffocanti di ruoli ormai incatramati. Echard, l'assicuratore, è invece l'uomo virile che regala al sacro potere dell'apparenza le sue disillusioni, immolando l'ordine pulito della forma per nascondere la povertà intima della sostanza.
Tra loro, così diversi ma accomunati da una disperata voglia di libertà e sicurezze, si sviluppa un rapporto che travalica i confini lavorativi per sfondare il muro del sentimento, anche se in un primo tempo è soltanto Rose a nuotare nelle acque agitate dell'amore. Lei ammicca e lui respinge; lei sfugge al ruolo virginale che le è stato assegnato e lui, finché può, la sfrutta per farla diventare una campionessa, e così sfogare indirettamente la sua repressa voglia di affermazione.
Populaire è una favola dipinta con le tonalità pastello di un technicolor d'epoca adattato alla modernità, ed è al contempo il fedele ritratto delle contraddizioni di un'epoca di cambiamento ed emancipazione. Sullo sfondo ci sono macchine da scrivere rosa, acconciature alla Doris Day, negozietti di provincia, occhiali con montature appariscenti, televisori in bianco e nero, rotocalchi patinati, ricordi di guerra, sottovesti pudiche. È un mondo artificioso, ma solo in apparenza; il lavoro compiuto a livello tecnico è infatti fedele e attento.
Rose Pamphyle, antesignana di Amelie Poulain, è l'eroina zuccherosa di un tempo ormai disperso, ed è il timido Angelo dalle sembianze fanciullesche, entro cui si nasconde però il senso di una determinazione feroce e invidiabile. Gli occhioni di Deborah François, bravissima in un ruolo meno facile di quanto si potrebbe credere, si sgranano di fronte a ogni deviazione del destino, lasciandoci gustare il suo dolce sorriso, la sensualità mai sovraesposta, le docili variazioni espressive che ne caratterizzano i tratti del viso. Un'interpretazione perfetta, a contrastare la piacioneria troppo esibita di Romain Duris, belloccio capace di passare senza difficoltà da ruoli sofferti (Tutti i battiti del mio cuore di Audiard) a commedie innocue (Il truffacuori), ma qui fin troppo monocorde nell'affidarsi solo alla sua gradevolezza estetica. Accanto a loro ritroviamo Bérénice Bejo (The Artist), in un ruolo peraltro abbastanza defilato, Miou Miou e il sempre puntuale Frédéric Pierrot (Polisse).
Premiato da un vasto successo di pubblico in patria, e candidato a cinque premi César, Populaire risulta tanto piacevole quanto prevedibile nei suoi risvolti narrativi. Roinsard sfrutta meccanismi e schemi di chiara derivazione americana, dipingendo una scalata al successo che arriva a superare barriere geografiche e linguistiche (chi ha detto Rocky Balboa?); l'autore dimostra comunque un discreto gusto cinefilo (la citazione di Vertigo) e non dimentica il paese da cui proviene.
Sappiamo infatti come la Francia, nella sua infinita autoreferenzialità, sappia sempre lodare con pieno merito se stessa, anche nell'ambito della commedia: i modelli di riferimento sarebbero innumerevoli, ma ci basta ricordare il recente e magnifico Intouchables o il delizioso Le Prènom (ovvero Quasi amici e Cena tra amici, tanto per tornare al discorso degli insulsi titoli italiani).
Anche qui, come da copione, il tocco di classe non manca, esemplificandosi nell'ultima, caustica e ficcante battuta del film: l'America per gli affari, la Francia per l'amore. Chapeau.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: Film al cinema
Scheda tecnica
Titolo originale: Populaire
Anno: 2012
Durata: 111'
Regia: Régis Roinsard
Fotografia: Guillaume Schiffman
Musiche: Emmanuel d'Orlando
Attori principali: Romain Duris, Déborah François, Bérénice Bejo, Shaun Benson, Miou-Miou, Frédéric Pierrot
Uscita italiana: 30 maggio 2013