In occasione del Centenario della Grande Guerra, l'autore ricostruisce la lunga notte in trincea di un gruppo di soldati sul fronte nord-est, all'alba di Caporetto nel 1917, al quale viene dato ordine da parte del Maggiore (Claudio Santamaria) di spostare il posizionamento delle spie in un rudere poco distante. Le condizioni di vita dei soldati in trincea, rappresentate con la massima aderenza al reale, contrastano con la visione di una natura bellissima e oscura, pervasa da un solenne silenzio interrotto soltanto dal ticchettio dell'orologio che scandisce il tempo che precede l'eroica morte de il dimenticato.
Olmi si cala in trincea per mostrarci da vicino la sofferenza e lo smarrimento nei volti duri dei soldati, scruta gli angoli, cattura sfumature e oggetti, affiancando cosi alla descrizione realistica un'approfondita ricerca psicologica dei personaggi, che permette all'autore bergamasco di dare spessore alle immagini attraverso l'uso particolare dei suoni (specie nella sequenza d'apertura).
Il senso e la morale del film ruotano intorno al desiderio di restituire un'identità a tutti quei giovani senza nome caduti in guerra e sepolti sotto la neve, senza la quale non può esserci dignità. I nomi si ripetono come un eco ininterrotto nella mente del Capitano (Francesco Formichetti), che getta via i gradi e rifiuta gli ordini dell'ufficiale, a sua volta incapace di sfuggire alle gerarchie, affiancato da un giovane tenente in carriera (Alessandro Sperduti) che per tutto l'arco del film manifesta una sensazione di sempre più grande incertezza e inadeguatezza al grado assegnatogli.
L'incalzare dei colpi di mortaio dell'esercito austriaco assale lo spazio della natura, così irraggiungibile e ostile, fin quando arriva l'ordine di ritirata da parte degli ufficiali italiani. Nella scena chiave della lettera del tenente alla madre, la poetica olmiana si libera in tutta la sua drammaticità, in un pianto soffocato che sembra consegnarsi direttamente al tempo infinito: «si è sempre vittime e sopravvissuti due volte». Anche la visione di un luminosissimo larice d'oro, che appare agli occhi innocenti della Sentinella, è un sogno lontano che fa presto a tramutarsi in un incubo di morte. È in questi precisi momenti che con il suo Torneranno i prati Olmi incide un forte pessimismo alle proprie immagini, affrontando un tema delicato dai caratteri universali che lascia poco spazio a rimpianti.
La nostalgia per la perdita del legame tra natura e uomo, la denuncia nei confronti delle barbarie della società moderna, tipiche dell'Olmi anni Settanta e Ottanta (L'albero degli zoccoli ne è il manifesto ideale) sono le linee guida di un pensiero sempre vivo, che trova nella Grande Guerra l'occasione per mostrarci ancora più da vicino le lacerazioni di coloro che, sottratti alla realtà, si muovono sospesi tra la vita e la morte. La disobbedienza del Capitano, o del soldato anonimo che si suicida rifiutando gli ordini, «è un atto morale che diventa eroicità quando la paghi con la morte».
Olmi da sempre ci invita a fermarci e riflettere, fa del cinema lo strumento ideale di comprensione del mondo, il luogo in cui è possibile ancora oggi condurre le guerre del poeta. Alla fine torneranno i prati e tutto sarà dimenticato, lasciandoci in un stato di sonnolenza dello spirito, «la sonnolenza di chi vive sull'orlo della tragedia e non sa come reagire».
Vincenzo Verderame
Sezione di riferimento: Film al cinema
Scheda tecnica
Titolo originale: Torneranno i prati
Anno: 2014
Durata: 80'
Regia: Ermanno Olmi
Sceneggiatura: Ermanno Olmi
Fotografia: Fabio Olmi
Musiche: Francesco Liotard, Alessandro Romano, Francesco Tumminello
Attori principali: Claudio Santamaria, Alessandro Sperduti, Francesco Formichetti, Andrea di Maria