Ecco, dinanzi a To the Wonder occorre dimenticarsi di tutto quell’irripetibile apparato di filosofia e commozione per assistere basiti e impietriti all’involuzione franante di un autore che in questa - si spera - isolata parentesi appare a dir poco irriconoscibile. La bellezza sacrale, misteriosa e intoccabile è diventata un’allitterazione continua e inutilmente enfatica, una mimesi estetica del precedente (capo)lavoro che vorrebbe ma non può, incarcerata nell’aspirazione mortificata e mai raggiunta contenuta nel titolo stesso, to the wonder, verso il miracolo (che non c’è).
Di fatto To the Wonder, più che costituire un’elegia frammentaria e in miniatura rispetto a quella che era l’epica esiodea del film con Brad Pitt Palma d’Oro a Cannes 2011, si configura come la pessima prova generale del film che ci sarebbe potuto essere ma che non c’è stato. È la cronaca di un fallimento, un’opera-calco allarmante che torna sul “luogo del delitto” di The Tree of Life per ricavarne una versione più esile e intima ma finisce soltanto col costituirne il figlio illegittimo nato prematuro, malato e deforme. Quasi uno scherzo della natura, emanato da un genio che fino a questo momento non si era mai dimostrato capace di girare un film che fosse più di tanto al di sotto dell’eccezionale (in tal senso la sua opera più modesta prima di questo film, The New World, era sintomatico di un manierismo che in questo caso non lascerà scampo a niente e nessuno).
In questa decadenza sregolata, nella quale sembra emergere tutta la fragilità di un uomo reclusosi per anni nel suo cantuccio estraneo al resto del mondo, i gesti disarticolati e liberi come i moti di farfalle da non catturare ma da lasciare scorrazzare liberamente nell’aria estremizzano la pulsione anti-narrativa del film: le immagini, come in Cronaca di un amore di Michelangelo Antonioni, sono asservite alla totale assenza di un proposito narrativo, le mani si sfiorano ma rimangono sospese, gli occhi contemplano ma non affondano mai lo sguardo. La goccia d’acqua ghiacciata non cade mai sul sasso bollente, tutto è amorfo, anonimo, sgusciante dallo sguardo di uno spettatore anestetizzato da uno stile che vorrebbe spacciarsi per generoso ma poi occlude, stringe, si attacca ai corpi oblunghi, si affloscia e sparisce, subissato dalla noia priva di esito, dalla fluvialità scoordinata e involontariamente ridicola di quei flussi di coscienza continui. Si gira a vuoto, ci si rincorre nei corridoi dei supermercati, si sprofonda nella mancanza di un punto d’arrivo che rende vana qualsiasi girandola.
Vi diranno che è un grande film, probabilmente cullati dall’illusione cieca e obbligatoria che ogni immagine che provenga dalla macchina da presa di Terrence Malick debba necessariamente essere degna di un processo accellerato di santificazione. Duole dirlo, ma non è proprio questo il caso. To the Wonder è un film di cicatrici che anziché rimarginarsi continuano a sanguinare, di crepe che non si riducono in alcun modo ma piuttosto si allargano a dismisura a ogni minima scossa o sussulto. È un lavoro che chiederebbe di essere amato pur in tutta la sua campale bruttezza, ma lenirlo in questo modo equivarrebbe a rendergli un pessimo servizio e a lodare stavolta (leggasi: per una volta) immeritatamente il suo autore. E il problema non sono certo l’ovvia legnosità di Ben Affleck, l’astratta incomunicabilità dei personaggi o l’uso massiccio di una voce fuori campo che in questo caso trasforma la meraviglia in un catalogo di banalità. E non sono neanche i troppi momenti ai limiti del pecoreccio finto-spiritualista, tra cui quello che vede protagonista una Romina Mondello alla quale vengono affidate battute del calibro di: “Io sono l’esperimento di me stessa”, “Voglio qualcuno che mi sorprenda” e “Sono un mostro cattivo”.
È piuttosto il sentore di un film tristemente terminale, il segnale esterno di una ferita interna, il simbolo di una sopraggiunta senilità dell’autore che, stando a To the wonder, sembrerebbe coincidere con una sorta di spinta dilettantistica. Attendiamo fiduciosi i prossimi episodi della sua ritrovata, solerte prolificità cinematografica per essere, si spera davvero, prontamente smentiti.
Davide Eustachio Stanzione
Sezione di riferimento: Film al cinema
Scheda tecnica
Regia: Terrence Malick
Sceneggiatura: Terrence Malick Fotografia: Emmanuel Lubezki
Montaggio: A.J. Edwards, Keith Fraase, Shane Hazen, Christopher Roldan, Mark Yoshikawa
Scenografia: Jack Fisk
Anno: 2012
Durata: 112’
Uscita italiana: 04/07/2013
Interpreti: Ben Affleck, Olga Kurylenko, Rachel McAdams, Javier Bardem, Charles Baker, Romina Mondello