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TIMBUKTU - Ritorno alla leggenda

27/2/2015

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Terra mitica dal passato glorioso, città delle sabbie, miraggio gentile e dorato alla stregua di un El Dorado africano: si sente ancora l’eco di Timbuktu, leggenda che affonda le sue radici nel sogno di un altro mondo. Il film di Abderrahmane Sissako, premiato con sette César e candidato all'Oscar, racconta l’insediamento nella porta del Sahara di un gruppo di jihadisti arrivati dalla Libia, e la non-vita di persone costrette a sopportare privazioni di ogni tipo. Le donne sono obbligate a portare calze e guanti, non è permesso fumare, non è permessa la musica, non è permesso il gioco del calcio. In sostanza non si può fare nulla; ogni vera o presunta trasgressione è immediatamente punita con la prigionia, le frustrate e spesso anche la morte.
Cinema morale prima di tutto, che in giorni di stress mediatico e terrorismi d'informazione ha il grande pregio di saper tornare semplicemente - essenzialmente - all'uomo. 
Contro ogni facile retorica, contro ogni spettacolarizzazione perversa dell'immagine, contro ogni fascinazione-ostentazione ideologica della violenza, Timbuktu si apre sulla corsa di una gazzella e torna al momento che precede lo sparo. In quella sospensione, in quella rottura, in quel medesimo frangente Sissako intercetta il momento stesso dell'irruzione, dell'insediamento dell'Altro all'interno di un mondo che conserva il sapore del mito. 
La morte interrompe bruscamente la leggenda. Eppure il gesto filmico di Sissako, dove estetica e morale sono la stessa cosa, è sempre quello del passo indietro, del ritorno al cinema e al suo respiro, allo sguardo languido del singolo che precede oscenità e nefandezze di ogni tipo. 
È sempre più interessante l'istante sacro che anticipa la detonazione, perché sa bloccare il tempo, indagare le pulsioni, identificare traiettorie e discrepanze del reale. Il film vive di questi momenti bloccati nel tempo, in grado di scovare bellezze ancestrali perfino tra le macerie e i detriti dell'umanità, anche grazie a simbolismi di ottimale efficacia (la partita senza pallone), squarci fotografici di notevole qualità e personaggi che sanno esprimere una straordinaria forza anche senza bisogno di parole (la moglie del pastore). 
Timbuktu è un esempio prezioso e rigorosissimo di un cinema volto a intercettare l'applicazione continua, pedissequa, terribile del Mito, che si reitera sempre, come una maledizione. E quando poi riflette sull'elaborazione dell'immagine di un video jihadista, innesca immediatamente i meccanismi della finzione e dei ruoli, in un training che riporta tutto, inevitabilmente, alla simulazione, alla recitazione, all'attore 2.0. 
Ancora una volta, immagini, grazia e condanna del mondo.

Samuele Sestieri

Sezione di riferimento: Film al cinema


Scheda tecnica

Titolo originale: Le chagrin des oiseaux
Anno: 2014
Durata: 97'
Regia: Abderrahmane Sissako
Sceneggiatura: Abderrahmane Sissako, Kessen Tall
Fotografia: Sofian El Fani
Montaggio: Nadia Ben Rachid
Musiche: Amin Bouhafa
Attori: Ibrahim Ahmed, Abel Jafri, Hichem Yacoubi, Toulou Kiki, Kettly Noël
Uscita italiana: 12 febbraio 2015

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