
Che l'intento di Dalibor Matanić fosse quello di realizzare un'opera coraggiosa e provocatoria, rifiutando a monte ogni possibile forma di racconto enfatica, lo si intuisce poco dopo l'inizio del film. E sebbene il regista croato – testimone diretto dell'intolleranza – catturi tutta l'inquietudine dietro quell'unico sparo che dà inizio alla guerra nell'ex Jugoslavia, è piuttosto la riflessione sui suoi effetti devastanti che fa muovere le immagini.
Presentato a Cannes 2015 nella sezione Un Certain Regard, dove ha vinto il Premio della Giuria, Sole alto indaga l'amore fra un ragazzo croato e una ragazza serba, attraverso tre differenti storie che si sviluppano nell'arco di tre decenni consecutivi: il 1991, il 2001, il 2011. Cambiano le coppie, sempre giovani e affamate di futuro, ma non gli interpreti. Restano soprattutto i luoghi, gli stessi villaggi, gli stessi orizzonti emotivi fuori dal tempo, le cui sponde s'incontrano lì dove a far da barriera vi sono le apparenze contenute in quella parola – tanto condivisa quanto avvelenata – chiamata “identità”.
Ivan e Jelena si amano, stanno per lasciare i paesi in cui vivono per trasferirsi a Zagabria, ma ben presto l'esplodere dell'odio interetnico si frappone fra loro distruggendo ogni progetto. Il primo episodio di Sole alto è forse quello più significativo: il sole, appunto, splende ancora altissimo illuminando il pacifico microcosmo dei due ragazzi, portato fatalmente a collidere con la società accecata dal nascente conflitto. La speranza da un lato, la sofferenza dall'altro, due forze vibranti e costantemente in lotta; uno scontro quasi archetipico che perdura per tutto il film.
È indubbio che il lavoro di Matanić debba molto alle impeccabili e struggenti interpretazioni di Goran Marković e Tihana Lazović, quest'ultima selezionata come Shooting Star dalla Berlinale 2016. I due attori, così come l'autore, hanno (ri)vissuto sulla pelle la decadente realtà che scorre sullo schermo, la triste e cupa verità di come nessun cessate il fuoco riesca a mettere davvero fine alle ostilità.
Si giunge, inevitabilmente, a fare i conti con l'odierno momento storico, profondamente ferito e dominato dall'incertezza in cui, seppur affannosamente, grazie ai più alti valori umani arriva a palesarsi una concreta ipotesi d'amore. Va detto, però, che nonostante la struttura cronologica e lineare l'opera svela la sua natura ciclica, in un continuo andirivieni tra passato e presente, tra ciò che è stato e ciò che avrebbe potuto essere. In tal senso Sole alto è una pellicola stratificata e pensata nei minimi dettagli, in particolare quelli visivi che sottolineano a più riprese la bellezza e le storture del paesaggio/personaggio, in cui si riverberano i moti dell'anima dei protagonisti.
Matanić vorrebbe, e noi tutti spettatori con lui, una civiltà capace di mettere da parte il razzismo, l'islamofobia e in generale le derive politico-sociali che tendono a dividere l'umanità in due; vale a dire “noi”, di cui dobbiamo occuparci, e gli “altri”, del cui destino poco importa. Sole alto ci ricorda che è necessario che la luce ritorni allo zenit (citando il titolo originale, Zvizdan), nel punto più alto, da cui irradiare un mondo che, come il film, si alimenta di contrasti e simmetrie.
Vincenzo Verderame
Sezione di riferimento: Film al cinema
Scheda tecnica
Titolo originale: Zvizdan
Anno: 2015
Regia: Dalibor Matanić
Sceneggiatura: Dalibor Matanić
Fotografia: Marko Brdar
Musica: Alen Sinkauz, Nenad Sinkauz
Durata: 123'
Attori: Tihana Lazović, Goran Marković Nives Ivanković, Trpimir Jurkić, Stipe Radoja, Slavko Sobin