Liberamente tratto da Le Transperceneige, graphic novel francese di culto realizzata nel 1984 ma pubblicata solo adesso qui da noi in occasione dell’uscita del film, l’ultimo lavoro di Bong Joon-ho conferma tutto il talento e l’incredibile potenziale che il regista coreano aveva già avuto modo di mettere in mostra nei suoi (quattro) lungometraggi precedenti, a partire dal folgorante Barking Dogs Never Bite, commedia d’esordio folle e nerissima.
Siamo nel 2031 e da 17 anni il pianeta terra sta vivendo una nuova era glaciale, che ha ridotto ai minimi termini il numero della popolazione mondiale. I pochi superstiti si trovano a bordo dello Snowpiercer, un sofisticato e ultra tecnologico treno rompighiaccio che ogni anno percorre l’intera superficie terrestre senza fermarsi mai grazie al suo motore perpetuo. Infinitamente lunga, questa nuova e moderna “arca sferragliante” è dotata al suo interno di ristoranti di lusso, saune, piscine, acquari avveniristici e discoteche. Lo Snowpiercer è stato concepito dal suo demiurgo, il misterioso Wilford, che non abbandona mai la locomotiva, per soddisfare ogni capriccio delle classi sociali più potenti e facoltose, che hanno avuto la fortuna di acquistare un biglietto di prima classe per vivere un’esistenza dorata nei vagoni di testa. Ben diverso lo scenario nella coda del treno, dove si trovano i più poveri, ammassati in vagoni sudici e inospitali, alle prese con fame e miseria e sotto la costante e spietata sorveglianza militare. Esasperati da torti e soprusi e da condizioni di vita intollerabili progettano ora l’ennesima ribellione, dopo quelle scoppiate in passato e represse nel sangue. Stavolta però alla loro guida c’è Curtis, intenzionato a risalire il treno fino al primo vagone perché “chi controlla la locomotiva controlla il mondo”.
Come si può facilmente intuire dalla trama, il film mette in scena una chiara e potente allegoria della nostra società, con i vagoni che riproducono fedelmente le suddivisioni e le diseguaglianze sociali. Anche se Snowpiercer può essere considerato a tutti gli effetti un film di genere, uno science fiction distopico a sfondo post-apocalittico, Bong Joon-ho non nasconde le sue ambizioni nel voler lanciare un forte messaggio politico e una netta condanna dei meccanismi che determinano la nostra scala sociale. Chi conosce la sua filmografia sa bene che il cineasta coreano è da sempre interessato a indagare la natura umana attraverso l’utilizzo e il ricorso ai generi cinematografici più disparati: dal thriller per Memories of Murder, dove partendo da un fatto di cronaca nera degli anni ’80 si può trovare un atto di accusa nei confronti della società coreana, al monster movie per The Host, fino al cupo melodramma di Mother, che pone l’accento sulla condizione politica del suo paese. In tutti i suoi lavori emerge una visione pessimistica dell’animo umano, così come in Snowpiercer, che rappresenta un ulteriore e coerente tassello della sua poetica.
Si tratta del film più costoso della cinematografia sudcoreana (39 milioni di dollari), anche se è da considerarsi una coproduzione internazionale finanziata in parte con capitali francesi e statunitensi, con il coinvolgimento tra gli altri anche del regista Park Chan-wook, che anni addietro acquistò i diritti del fumetto francese su consiglio dello stesso Bong, a sua volta rimasto totalmente stregato e rapito dalla sua lettura. Girato nel 2012 a Praga, in teatri di posa dove sono stati ricostruiti i vagoni del treno posti su speciali e appositi macchinari che ne simulassero il movimento, Snowpiercer ha costituito una vera e propria sfida a livello tecnico per i suoi realizzatori. Nell’ammirarlo sul grande schermo non si può non rimanere stupiti per la fluidità delle riprese realizzate in ambienti stretti e angusti e per l’incredibile mobilità e dinamicità della macchina da presa, capace di immortalare le numerose e concitate scene d’azione in modo assolutamente magistrale e con estrema naturalezza.
Se la troupe sul set era contraddistinta da maestranze coreane, inglesi, ceche e americane, non risulta certo meno variegato il notevole cast internazionale riunito dalla produzione. Nei panni di Curtis - il leader dei rivoltosi - troviamo Chris Evans, impegnato finalmente in un ruolo a tutto tondo e non privo di ombre, come si scoprirà col passare dei minuti, consigliato a sua volta dal saggio Gilliam (in omaggio al regista di Brazil), interpretato dal britannico John Hurt e supportato dal tecnico esperto in sistemi di sicurezza Namgoong Minsu, impersonato dal versatile e sornione Song Kang-ho, connazionale del regista che lo aveva già diretto in Memories of Murder e The Host. Il resto del cast maschile è completato dai nomi di Jamie Bell e Ed Harris, ma è giusto soffermarsi sulle magnifiche interpretazioni delle attrici coinvolte, che rischiano di mettere in ombra i loro illustri colleghi. Se Octavia Spencer si fa notare nel ruolo di Tanya, madre combattiva ed esplosiva pronta a prender parte a crudi e sanguinari combattimenti all’arma bianca pur di risalire il treno e riabbracciare il figlioletto, a rubare la scena a tutti ci pensa l’istrionica e quasi irriconoscibile Tilda Swinton, imbruttita fino all’inverosimile per impersonare Mason, il braccio destro di Wilford.
Nonostante il mastodontico ed encomiabile impegno produttivo, i limiti del budget, cospicuo ma non paragonabile a quelli faraonici di qualsiasi super produzione hollywoodiana, emergono nelle scene del treno in corsa ripreso dall’esterno e dei paesaggi innevati e desolati interamente realizzati con l’ausilio della CGI, che si dimostra troppo marcata e artefatta, incapace di restituire quel senso di verosimiglianza indispensabile per il coinvolgimento del pubblico. È l'unico neo di un film che porta impresso il marchio di fabbrica del talentuoso regista sudcoreano, ben riconoscibile anche in alcuni siparietti ironici e grotteschi come la spiazzante e orwelliana parentesi musicale del vagone-scuola, una sequenza che basterebbe da sola a giustificare il prezzo del biglietto. Nell’epilogo, teso e concitato, l’autore si prende i suoi rischi mettendo tanta carne al fuoco e dimostrando un amore incondizionato verso la sua creatura, attraverso un finale che lascia intravedere un esile barlume di speranza.
Impreziosito da scenografie splendide e immaginifiche, curate da Ondrej Nekvasil, che mutano e si rinnovano completamente passando da un vagone a un altro, da un livello (da superare) a un altro all’insegna della contaminazione videoludica, Snowpiercer riesce a coniugare impegno e intrattenimento dando vita a un blockbuster d’autore intelligente e audace, lontano anni luce dagli stereotipi e dai facili schematismi del cinema mainstream.
Boris Schumacher
Sezione di riferimento: Film al cinema
Scheda tecnica
Titolo originale: Snowpiercer
Anno: 2013
Regia: Bong Joon-ho
Sceneggiatura: Bong Joon-ho e Kelly Masterson
Fotografia: Hong Kyung-pyo
Musiche: Marco Beltrami
Durata: 125’
Attori principali: Chris Evans, Tilda Swinton, Song Kang-ho, John Hurt, Octavia Spencer, Jamie Bell, Ed Harris