In quella stanza, nel buco senza finestre che rappresenta per entrambi il solo contesto di vita, la sola esistenza possibile, Ma' e Jack hanno costruito il rapporto madre-figlio, una dinamica psicologica sottile di interdipendenza reciproca, un tragico gioco di sopravvivenza in bilico tra orrore e purezza, disperazione e magia, onirico e reale.
La scoperta del mondo esterno è la rincorsa più difficile verso la vita. Vittime di un tempo spezzato che si è inciso sui volti, madre e figlio dovranno confrontarsi con l’esistere nuovamente nel mondo, ricucire lo strappo dell’abbandono, tessere ancora (o per la prima volta) la socialità, (ri)definire il proprio corpo e il proprio essere dentro l’ignoto. Là fuori, l’universo si è inesorabilmente schiantato contro le mura insonorizzate e sorde della prigione. Là fuori, il ricordo idealizzato della famiglia perfetta si sgretola all’impatto con la realtà.
Il regista Lenny Abrahamson (Frank) è molto abile nella costruzione e gestione di uno spazio claustrofobico che cattura prima le tensioni emotive e psicologiche, piuttosto che quelle della narrazione per immagini. Room si configura, almeno nella prima parte, come un dramma teatrale ambientato in unica stanza, basato sul dialogo e due personaggi principali in costante interazione, protagonisti assoluti di ogni singola scena. Brie Larson e Jacob Tremblay occupano letteralmente lo spazio del film, creando una tensione sottile e costante che si snoda lungo il sentiero della violenza, della condivisione, della interdipendenza. Ma' e Jack sono vasi comunicanti nel film come gli attori lo sono del film.
Brie Larson, che negli ultimi si è ritagliata uno spazio interessante all’interno del circuito cinematografico indipendente grazie a opere come The Spectacular Now, Rampart e Short Term 12 (per il quale ricevette una standing ovation a Locarno), coglie qui l’occasione di mettere in luce il proprio talento drammatico e conquistare i voti dell’Academy, in una stagione peraltro non esaltante per le attrici e poco competitiva per la corsa all’Oscar. Non che la Larson non meriti, anzi, ma perché il cinema indie possa far sentire la propria voce tra i giganti della produzione americana serve un film intenso e sincero (spesso fino alla brutalità), con una protagonista devota, complicata e appassionata nell’accentrare verso di sé l’occhio della camera e il cuore dello spettatore. La Larson fa tutto questo, e lo fa splendidamente.
Come il protagonista di Frank, anche Ma' è costretta al distacco familiare, trascinata via dall’esistenza che avrebbe potuto e dovuto avere e obbligata alla reclusione, a diventare genitore di se stessa, e poi madre di un’altra creatura. E se il personaggio di Ma' è forse più risolto in termini di evoluzione, è il piccolo Jack a catalizzare l’attenzione su di sé. Disegnato dalla sceneggiatrice in modo volutamente ambiguo, Jack è facilmente identificabile come l’alter ego di Ma', come una sua proiezione, come il bambino (o la bambina) che giace ancora dentro di lei. Fuori da lei. Nella relazione viscerale tra Ma' e Jack risiede una grande lezione pedagogica: il valore del sogno e dell’immaginazione per una mente innocente, creativa e creatrice di armonia. Madre e figlio, uniti da un cordone ombelicale che consente loro di sopravvivere nella simbiosi e di salvarsi a vicenda.
Lenny Abrahamson continua nella sua esplorazione del rapporto tra umanità e (a)socialità. Se con Frank aveva raccontato – in leggerezza – la difficoltà di un gruppo di affacciarsi sul mondo, con Room riconduce il suo campo di analisi alla prospettiva individuale. La chiave di lettura è ovviamente diversa e drammatica, ma lo sguardo del regista non cambia. Cosa accade al nostro universo privato quando ogni certezza che credevamo di avere è messa in discussione? Quando le false sicurezze si rivelano inesistenti, e il dramma dell’abbandono ci trafigge? Che si tratti di innocenza strappata, oppure mai avuta, della ricerca di una routine impossibile dentro e fuori gli schemi schizofrenici della anormalità, che si tratti di amore filiale, materno, o di amore malato creatore e distruttore, in Room generazioni diverse di esseri umani si confrontano con il possesso e la perdita, personaggi consapevoli di una grande tragedia privatissima eppure collettiva.
Francesca Borrione
Sezione di riferimento: Film al cinema
Scheda tecnica
Regia: Lenny Abrahamson
Sceneggiatura: Emma Donaghue, basato sul suo romanzo omonimo
Interpreti: Brie Larson, Jacob Tremblay, Joan Allen, William H. Macy
Anno: 2015
Durata: 117'
Uscita italiana: 3 marzo 2016