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RITORNO A L'AVANA - I reduci della rivoluzione

2/11/2014

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Amadeo, stanco idealista con ambizioni letterarie, ritorna a L’Avana dopo sedici anni di esilio volontario in Spagna. I suoi quattro amici, conosciuti sin dai tempi della rivoluzione, lo festeggiano su una terrazza, tra aneddoti, alcool e sana musica americana. Tentano di capire cosa abbia lasciato loro il passato, oltre a comporre un diario di vivaci aneddoti. La vita che è stata reclama un resoconto, la vita che verrà è un enigma da svelare. Infiammati dai ritmi della musica, paghi di un’intimità ritrovata, l’esordio del film li sorprende in un ballo giunto quasi alla conclusione. Illuminati dal giorno ancora caldo, espanso, si abbandonano a ricordi colmi di dettagli, alla delizia degli ozi e del vino, provando a lasciarsi sotto i piedi, per le strade di L’Avana, la noia e la fatica di vivere. 
Laurent Cantet non è nuovo a piccoli racconti dalle ambizioni generazionali. Come già in La classe - Entre les murs, il regista sceglie una prospettiva parziale come luogo deputato al racconto: lì erano le mura di una scuola, qui è una terrazza. Dai piccoli gesti ordinari, dai discorsi sfiancanti su tutto e niente la vita è amplificata in tutta la sua contraddittorietà, e ai personaggi è dato di emergere prepotentemente, in tutta la loro detonante carica di allegria, cinismo e pulsioni distruttive. 
Testimoni traditi di una stagione piena della storia, un tempo d’amore e ideali non tramandabile, i protagonisti di Ritorno a L’Avana sono immobili come i tempi del racconto che stenta a trascorrere: la terrazza è un’alcova disfatta, dove le beltà perdute sono stracci seccati dall’afa, una prigione esposta ai venti su cui la città vigila e cui accede attraverso le voce dei suoi prigionieri. 
Cantet lascia alla storia il tempo di approfondirsi, spaccarsi nelle pieghe intrecciate dei racconti. I suoi personaggi si raccontano interrompendosi, incespicano, ritornano con ossessione sugli stessi argomenti. Scherzano, litigano, poi si danno le spalle per guardare L’Avana. Davanti alla ringhiera si stende uno squarcio di autostrada non troppo affollata, l’arteria che lascia alla vita il suo corso. Nei pochi silenzi la città sale dai muri e si svela nel suo disordine vuoto, nei rumori sempre distanti, nelle voci di un vicolo o forse di un’altra terrazza incastrata nel cemento. Ma la terrazza è anche la terra dell’approdo: gli amici, accomunati dalla sofferta rinuncia di un’utopia, hanno conosciuto l’esilio, ciascuno a suo modo. E ciò a cui assistiamo è in fondo l’ultimo resoconto di un viaggio che da L’Avana si è slanciato e a L’Avana è arenato.  
Amadeo, Eddy, Aldo, Rafa e Tanìa distrattamente ascoltano la città che pulsa nel traffico, nelle liti per strada, nelle urla dei tifosi. Diversi e incompatibili come i veri amici in ogni parte del mondo, stonano tra di loro come i colori delle case in rovina, eppure hanno un’intensità corale che satura lo spazio, nelle liti come durante i pasti a base di whisky e fagioli neri. Merito degli attori e della sceneggiatura di Cantet e Leonardo Padura Fuentes, giornalista e scrittore cubano classe 1955, da anni impegnato nell’affrontare “le vicissitudini materiali e spirituali” che la sua generazione ha conosciuto. 
Il titolo originale (Retour à Ithaque) ci riporta alle fantasie di Omero e alle avventure del suo multiforme eroe: se per Ulisse era il richiamo alla guerra la causa dell’allontanamento dalla patria e dell’inizio di un viaggio inatteso, incagliato nei punti più ostili del Mediterraneo, a spingere Amadeo verso l’esilio è stata l’insofferenza verso un ambiente ostile, impenetrabile a influenze culturali (la “penetrazione culturale” di mode e musica americane aborrita dal regime), fiero del suo credersi microcosmo autarchico: Cuba negli anni Novanta, durante il Periodo especial, all’indomani della crisi dell’Unione Sovietica. 
Cuba, simbolo storico della possibilità di dar forma a utopie di liberazione, ha privato la sua gente dell’opportunità di un riscatto, dentro e fuori i suoi confini. Vent’anni di pericoli non poterono scalfire l’animo di Ulisse, che mantenne fino al ritorno lo sguardo saldo, teso dal mare verso la sua reggia, fiducioso di riprendersi la vita perduta. Per Amadeo non c’è stato viaggio né memoria di esperienze o pericoli da trascinarsi dietro, perché l’esilio non gli ha concesso una vita appagante né una fuga di libertà: così dalla Spagna ha portato soltanto qualche pregiata bottiglia di vino e aneddoti sul temperamento delle donne catalane. 
Non esiste viaggio possibile né mondo conoscibile al di là di Cuba. Così i protagonisti restano sospesi nella risposa elusa a una domanda elementare: è stata Cuba a spingerli in quella stanza polverosa, dove sono accatastati rimpianti e speranze disattese, oppure la loro stessa debolezza, l’incapacità di rivoltarsi, reagire, disporsi sul serio alla vita a costo di rinunciare a tutto? 
Nel passaggio da un pomeriggio a un’alba la terrazza si è riempita di oggetti: bottiglie vuote, lampade, sigarette, un’enorme tela astratta. Quando la carrellata finale passa sui cinque, immobili al risveglio del giorno, inanimati tra l’inanimato, l’immagine di quella danza nel caldo del giorno precedente è talmente lontana da sembrare una lontana allucinazione, il sogno effimero di cinque anime voltate di spalle l’una all’altra. 

Matteo Mele

Sezione di riferimento: Film al cinema


Scheda tecnica

Titolo originale: Retour à Ithaque 
Anno: 2014 
Durata: 90’ 
Regia: Laurent Cantet 
Attori: Jorge Perugorrìa, Isabel Santos, Fernando Hechevarria, Nestor Jimenez, Pedro Julio Diaz  
Sceneggiatura: Laurent Cantet, Leonardo Padura Fuentes 
Fotografia: Diego Dussuel 

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