Silenzio, La sfinge, La verità sul caso Valdemar, Le avventure di Gordon Pym, L'uomo della folla, Il gatto nero, Il giocatore di scacchi di Maelzel e Canto. Sono i titoli degli otto cortometraggi (in origine erano tredici, ma Distribuzione Indipendente li ha ridotti per l'uscita in sala, i restanti cinque saranno compresi nella versione integrale visibile dal 14 Giugno su ownair.it), frammenti scomposti di cinema sotterraneo nostrano, quello che ormai non siamo più abituati a vedere o tantomeno a pensare ci possa appartenere. Tale spiacevole realtà, e la nostalgia per un genere che abbiamo ormai smesso di fare e di esportare all’estero da circa un ventennio (per lo meno a certi livelli, perché i sottoboschi sono duri a morire), non devono però automaticamente condurre all’esaltazione sperticata di qualsiasi sussulto di vita si intraveda all’orizzonte. Si rischia altrimenti di accontentarsi di poche raffazzonate briciole, che non possono di sicuro bastare, contribuendo così ad allontanare ulteriormente una reale prospettiva di rinascita del genere, cosa che già di per sé appare oggigiorno chimerica e alle soglie dell’impossibilità.
P.O.E., in tal senso, somiglia più che a quelle poche briciole che a un’autentica ventata d’ossigeno. Dello scrittore bostoniano è rimasto praticamente soltanto l’acronimo che lo evoca nel titolo e poco altro; per il resto di episodio in episodio si assiste a un puntuale smembramento dei tessuti letterari, tematici e perfino atmosferici dell’autore, smantellati e diventati evidentemente altro. Ogni possibile approccio filologico o qualsivoglia recriminazione da fan o amanti traditi è dunque da evitare in partenza, non essendo l’approccio dei registi di P.O.E. in alcun modo rispettoso. Quelli di Poe diventano piuttosto dei pre-testi, dei punti di partenza più o meno vaghi e di sicuro mai vincolanti per addensare suggestioni horror che spaziano dal metafisico al mefitico: uno stravolgimento che si inabissa in una fumosa e spesso pretestuosa orchestrazione autoriale, a tratti perfino un filo velleitaria. L’accozzaglia dei diversi stili è difficilmente digeribile, e dà piuttosto l’idea di un film privo di un centro, una sorta di giustapposizione in cui le diverse vocazioni, sebbene ci abbiano provato, non hanno in realtà dialogato tra loro.
P.O.E. è un film spezzettato anche all’interno dei singoli frammenti; si finisce pertanto a racimolare quei pochi momenti salvabili o degni di memoria che si contano sulla punta delle dita, isolatissimi, di sicuro troppo pochi per strappare la sufficienza. Si mira ad un chiaro ingrandimento della percezione, a dilatare le prospettive sensoriali dello spettatore e il raggio d’azione entro cui esse potrebbero concretamente materializzarsi. Tale espansione non è però mai adeguatamente supportata da una necessità o una funzionalità dei mezzi espressivi utilizzati: il risultato finale è una copia sbiadita di ciò che l’horror dovrebbe essere, una serie di tòpoi sgangherati che complice l’uso massiccio e fastidiosissimo della voce off fanno pensare più a un trailer di Maccio Capatonda che ad altro. C’è perfino qualche calata dialettale nell’inflessione degli attori, a riprova di una sciatteria davvero difficilmente perdonabile. Stemperarla col buffetto affettuoso di chi sa quanto sia difficile fare certi film con così pochi mezzi non equivale assolutamente a fare un buon servizio, né al nostro panorama horror (definizione quanto mai rabberciata) né ai registi di P.O.E. nello specifico.
Essere gli unici o quasi a pensare una determinata tipologia di prodotto o essere alfieri di un cinema di genere comunque prezioso e resistenziale non equivale necessariamente a dover ricevere lodi sperticate a tutti i costi, se poi il risultato pecca di un cripticismo dilagante e immotivato, di un gusto per la scarnificazione del materiale di partenza che tradisce incomprensibili pretese autoriali. Specie laddove un’onesta ma non per questo vuota matrice di genere sarebbe stata invece la veste ideale per questo tipo d’operazione. D’altronde, se ci pensiamo bene, era proprio lo spessore intellettuale (inteso come intelligenza, trasversalità, capacità di sapersi muovere e spaziare) del nostro cinema di genere ad averci reso i sovrani assoluti della categoria nei tanto rimpianti tempi gloriosi che furono. L’unione fa la forza, e coalizzarsi è sempre meglio che farsi inutili e controproducenti guerre tra poveri. Ma nonostante ciò, e anche se gli si vorrebbe voler bene, P.O.E. risulta un’operazione difficile da salvare.
Davide Eustachio Stanzione
Sezione di riferimento: Film al cinema
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Scheda tecnica
Regia: Domiziano Cristopharo, Giovanni Pianigiani e Bruno di Marcello, Paolo Gaudio, Alessandro Giordani, Paolo Fazzini, fratelli Capasso, Edo Tagliavini, Yumiko Sakura Itou
Cast: Luca Canonici, Angelo Campus, Laura Gigante, Mariano Aprea, Marco Borromei, Gianluca Russo, Lorenzo Semorile, Dario Biancone, Sara Cennamo, Alessandro Garavini, Gerardo Lamattina
Anno: 2011
Durata: 80'
Uscita italiana: 7 giugno 2013 (sale circuito Distribuzione Indipendente), 14 Giugno 2013 (on demand su www.ownair.it in versione integrale)