non è forse giusto ch'io dica a te cose che riguardano te, e che ti dipingono con tanto amore. Io ho un culto di te. E, come tutti i culti, mi dà il rimorso di non essere così forte e fedele da praticarlo degnamente. Ciò lo dico come se ambedue fossimo morti, e la vita non ci toccasse dunque più con la sua miseria, che giorno per giorno, ora per ora, contraddice ciò che tu sei e ciò che io penso tu sia. È la vita nella sua totalità, come se noi l'avessimo del tutto adempiuta (e di fatto è quasi così) che ora io guardo. (Roma, febbraio 1970, lettera di Pasolini a Sandro Penna da Pier Paolo Pasolini, Vita attraverso le lettere, a cura di Nico Naldini, Einaudi, Torino 1994)
Un cammino a ritroso, iniziando, come in un ossimoro, dalla fine, anche se in fondo “non si muore mai”. Le ultime ore della vita di Pier Paolo, con un occhio che indugia prima sulla sua figura da artista e si ferma, poi, sul Pierruti familiare. Dallo sguardo algido della camera della tv francese a quello materno di donna Susanna (Adriana Asti) e degli amorevoli affetti più prossimi. La lirica si posa su superfici terrene, raggiunge vette pindariche ma resta sempre umana e concreta.
Abel Ferrara va oltre il biopic; si muove su coordinate più profonde, che disegnano il corpus pasoliniano nella sua totalità, seguendo i sentieri impervi di un animo caleidoscopico e ruotando intorno alle mille sfaccettature dell’uomo e dell’artista. Una complessità difficile da incanalare in una forma filmica, compressa in una narrativa che sfiora la figura policromatica e prismatica del Maestro, accarezza l’umano e si eleva oltre, con rispetto e devozione.
"Lo scandalo del contraddirmi, dell'essere / con te e contro te; con te nel cuore, / in luce, contro te nelle buie viscere". (Pier Paolo Pasolini, Le ceneri di Gramsci, 1957)
Attraverso una ricerca minuziosa e precisa, le tracce di Pasolini sono ricostruite da Ferrara con estrema attenzione. Il regista sceglie di raccontare la vita invece che la morte, segmenti di un’esistenza condotta tra le mille contraddizioni di un personaggio/persona complesso e contraddittorio, marxista e cattolico in conflitto con lo Stato e con la Chiesa, esploratore dei lati più bui della società e dell’animo umano, ma che usava spesso la parola splendido, come ricorda Mark Cousins. In rapida successione si alternano sullo schermo i corpi nudi e violati nelle scene di Salò, il suo ultimo film, e le parole delle ultime interviste concesse a Philippe Bouvard (Antenne 2 - 31 ottobre 1975) in cui si dichiarava “un militante politico, ora più che mai, pur non essendo mai stato iscritto ad un partito politico”, e Furio Colombo, il giorno prima del ritrovamento del suo cadavere all’idroscalo di Ostia (Siamo tutti in pericolo, La Stampa - 8 novembre del 1975).
“E qual è la verità?
Mi dispiace avere usato questa parola. Volevo dire "evidenza". Fammi rimettere le cose in ordine. Prima tragedia: una educazione comune, obbligatoria e sbagliata che ci spinge tutti dentro l’arena dell’avere tutto a tutti i costi. In questa arena siamo spinti come una strana e cupa armata in cui qualcuno ha i cannoni e qualcuno ha le spranghe. Allora una prima divisione, classica, è "stare con i deboli". Ma io dico che in un certo senso tutti sono i deboli, perché tutti sono vittime. E tutti sono i colpevoli, perché tutti sono pronti al gioco del massacro. Pur di avere. L’educazione ricevuta è stata: avere, possedere, distruggere” (…)
L’osmosi è continua: vita e opera, opera e vita. Ferrara tratteggia la figura di Pasolini con uno sguardo personale, una visione anarchica ma pregna d’amore verso un modello ispiratore della sua cinematografia. Il regista adotta una formula estremamente personale di ritrarre lo scrittore, attraverso frammenti narrativi che si intrecciano tra loro. Cattura gli occhi celati dietro gli occhiali scuri, si spinge oltre quelle lenti e muove verso il palpito delle passioni, protese verso una società violenta che inevitabilmente distrugge i suoi figli più fragili e geniali. Il regista accarezza con dolcezza quella figura, la sfiora, racconta il quotidiano farcito dei suoi oggetti, la sua Alfa Romeo, la lettera 22, i suoi libri, il suo aggirarsi per le periferie romane e il credo politico, perché “ogni cosa è politica, anche il sesso”.
Nel corpo di Willem Dafoe rivive Pasolini, attraverso una struttura nervosa, mascella volitiva e mani gentili, con le dita in tensione continua sulla lettera 22, come una danza. Una trasformazione perfetta, sul campo di pallone, nel quotidiano, tra gli affetti. Dopo 4:44 Last Day on the Earth, Ferrara si affida ancora a Dafoe per una nuova messa in scena sul caos della morte, sulla fine imminente, feroce e violenta.
Ciò che vede Pasolini è ciò che vede lo spettatore: una fusione di sguardi di cui Ferrara è il tramite, in un complicato mosaico di scene e momenti. La mdp indugia sui volti, proprio come amava fare Pasolini, perché gli occhi valgono più di mille parole, e forti emozioni trapelano dai campi medi e dalle immagini ferme nei campi stretti. I visi si elevano a una santificazione profana, dallo sguardo materno in perenne trepidazione, di una intensa Adriana Asti, fino ai ragazzetti di borgata, quei ragazzi di vita rincorsi e pagati per un amore polveroso ai margini delle strade o sulle spiagge desolate.
Lo spazio in cui vive il Pasolini di Ferrara è un luogo sospeso tra la vita, la morte e l’attesa di essa, vivendo appassionatamente e con frenesia. Un non luogo che ospita il fervore delle passioni, i pensieri, le idee e gli affetti, dominato dalla necessità di ardere, tra ferocia e peccato, colpa e redenzione, descritto da un cinema spietato che dà voce all’eccesso, quello di Ferrara come quello di Pasolini.
Il film è come la lingua scritta della realtà (Pier Paolo Pasolini)
Il cineasta italo-americano ritrae con pennellate sapienti la borgata selvaggia nelle notti di sesso e la borghesia malata, attraverso una narrazione frammentaria, in perenne slittamento onirico, in cui il piano reale scivola sulle immagini delle opere pasoliniane, confondendosi nei party insieme al Carlo di Petrolio, riprovevole, ma così vicino a Pier Paolo, o seguendo il viaggio salvifico di Epifanio, ruolo destinato a Eduardo De Filippo (qui interpretato da Ninetto Davoli) per il mai realizzato Porno-Teo-Kolossal.
In questa opera ferrariana l’occhio non è indirizzato verso Pasolini, ma verso l’immagine dello stesso così cara al regista che l’ha raccontata; è un viaggio condotto in primis dallo stesso Ferrara alla ricerca del Suo Pasolini, lavorando per sottrazione e offrendo allo spettatore una visione anarchica e personale, attraverso la cifra stilistica tipicamente ferrariana.
Un’osmosi tra narratore e oggetto della narrazione, realizzata in modo pacato, tenero e affettuoso, con umiltà. “Non potrei mai vivere senza fare film”, dichiara Pasolini/Defoe, in una dialettica filmica in cui confluisce tutto l’amore di Ferrara nei confronti della settima arte e verso colui che considera tra i suoi maestri.
“Non bisogna creare aggiungendo, ma togliendo” (Robert Bresson)
Il regista cerca di condensare la complessa personalità e la poliedrica produzione artistica di Pasolini all’interno dell’angusto recinto filmico, ma inevitabilmente il ritratto dell’artista, realizzato con rapide e secche pennellate, può disorientare sia gli spettatori digiuni dell’Opera pasoliniana, che i suoi cultori.
Il bignami di Ferrara può risultare indigesto ai più ed essere gradito soltanto ai cultori del suo cinema, che probabilmente apprezzeranno e riusciranno a comprendere meglio lo sforzo espressivo compiuto dal cineasta e la sua evidente volontà di raggiungere registri più alti per descrivere un uomo, un artista, verso il quale nutre infinito affetto.
Il Pasolini di Ferrara è uno strappo figurale, una narrazione che sfiora e accarezza l’animo indomito del friulano; parla direttamente al cuore, in uno slittamento progressivo di amorosi intenti, con una messa in scena composta ed elegante, e una dialettica continua in cui alla figura scomoda dell’intellettuale si alterna quella dell’uomo.
“Io penso che scandalizzare sia un diritto, essere scandalizzati sia un piacere, e chi rifiuta il piacere di essere scandalizzato è un moralista, il cosiddetto moralista.” (Pier Paolo Pasolini)
Mariangela Sansone
Sezioni di riferimento: Film al cinema, Festival Reportage
Articoli correlati Abel Ferrara: 4:44 Last Day on Earth Welcome to New York New Rose Hotel
Scheda Tecnica
Titolo originale: Pasolini
Anno: 2014
Regia: Abel Ferrara
Sceneggiatura: Abel Ferrara e Maurizio Braucci
Fotografia: Stefano Falivene
Musica: Neil Benezra
Durata: 86 min
Uscita in Italia: 25 settembre 2014
Interpreti principali: Willem Dafoe, Adriana, Asti, Ninetto Davoli, Riccardo Scamarcio, Valerio Mastandrea
| |