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NYMPHOMANIAC: VOL. II - Cine-Cilicio

24/4/2014

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Nymphomaniac vol.2 si apre in maniera ancor più scoppiettante di come l’avevamo lasciato. E come già nella prima parte del racconto, il godimento per chi guarda è più intellettuale che carnale, più intellettivo che fisico. Il buon Seligman, il dotto ebreo che puntella con i suoi coltissimi riferimenti la narrazione della sessuomane Joe, si lancia in una perfetta comparazione tra Chiesa Occidentale e Chiesa Orientale, tra visione punitiva della fede come dolore da un lato e gioiosa proiezione della sofferenza dall’altro. Ed è ovvio che Lars von Trier si senta parte della prima delle due opposte scuole di pensiero ma vagheggi, in una forma utopica impossibile da materializzare, la seconda.
Dell’ovest del mondo al danese interessa anche ciò che per lui è l’unico motore fondante dell’umanità e dei rapporti che essa intrattiene, come fa dire prontamente alla sua protagonista: l’ipocrisia, il massimo bersaglio del suo disprezzo. Lars, per mezzo dell’interposizione vicaria della sua martire erotomane, punta così il dito. Contro i suoi detrattori, contro coloro che non lo amano, contro tutto e tutti. E la grande novità è che stavolta il suo odio rancoroso sembra, per lo meno sotto il profilo artistico, più sincero che in passato. Non pretestuoso ma veicolato attraverso gli occhi fondi e neri, la bocca e la vagina di Joe (a suo modo, un occhio sul mondo, forse il più importante): fessure che si aprono e si chiudono su un universo conoscitivo proibito e luttuoso da svelare e scoprire, strumenti sensibili ora silenziosi ora parlanti, ora chiusi in loro stessi ora pronti al confronto con l’altro.
Come per Joe, il miglior modo per capire von Trier è considerare il suo un disperato tentativo di riabilitazione personale e privata attraverso il racconto di sé, una prigione lenitiva entro cui rinchiudersi come una bestia moribonda ma non sconfitta. Il sesso e la religione saranno anche due concetti interessanti, ma Lars, come Seligman, non sarà mai inginocchiato davanti a nessuno dei due (a riprova di come il regista si sia riversato sorprendentemente in entrambi i suoi due personaggi principali): piuttosto li userà come territori da calpestare e fare a pezzi per i propri scopi terapeutici, senza timore di restituirne un’immagine torva e interlocutoria.
Il vol.2 di Nymphomaniac è un film radicale oltre ogni limite, vontrieriano in modo molto più classico del precedente capitolo. Un film che vuole essere uno schiaffo sul volto, una scudisciata violenta sulla pelle, un martello sulle mani. A differenza però di quanto avveniva spesso in precedenza, e soprattutto rispetto a un’opera ancora oggi inaccettabile come Le onde del destino, qui il pasoliniano piacere nell’essere scandalizzati non è però vuota degradazione o mostruoso, ricattatorio vilipendio dello spettatore e dei suoi sentimenti. È invece una catarsi necessaria pur essendo misera, consapevole a priori del fatto che non ci sarà liberazione e quindi oltremodo libera e sfrontata.
Il vol. 2 non fa sconti, è un boccone difficile da ingoiare, è l’agonia sofferente di un corpo in cancrena, devastato, come il fisico della protagonista, da un morbo che è passione e maledizione, goduria e somma dannazione. Non è un film meno bello del primo ma di sicuro è più ruvido e coercitivo: un altro teorema a mo’ di via crucis sadomasochista in cui però, più che l’intarsio delle citazioni erudite, che pure non mancano, conta la violenza sistematica voluta e subita da chi è emarginato, l’olio di ricino di un’elegante provocazione autoriale, la macchina da presa usata come fosse il cilicio.
Il pianto di Joe, prostrata “come un albero deformato sulla collina”, è la definitiva resa di un cinema sicuramente manipolatorio che riscopriamo finalmente nella totalità del suo umanesimo sui generis, di cui quelle lacrime sono la prova tangibile. Certo, il finale può far discutere. Ma va preso come l’ennesima dichiarazione di guerra di un autore non in grado di deporre l’ascia del suo pessimismo – l’apertura parziale di Melancholia è dunque subito rimessa al suo posto – e che preferisce abbattersi con implacabile crudeltà sulle fragili debolezze delle sue creature (e in particolare su una di esse, che s’abbandonerà per un attimo alla negazione di sé). Un sortilegio che cala sui personaggi come una mannaia, cui si associa, come se non bastasse, un’ironia tragica e beffarda, che azzera nel ridicolo il vuoto del proprio senso.
Anche nel suo film più umano, più esplicativo, von Trier non rinuncia al suo tratto distintivo, riversandocelo addosso nel finale in forma se possibile mille volte più risibile del solito, come a cancellare consciamente tutti gli spiragli di luce che tutto quanto visto fino a quel momento aveva lasciato filtrare a più riprese. I suoi personaggi, ancora una volta, von Trier li abrade e li sfregia, desacralizzandoli e desacralizzandosi. In ciò, si ritrova la coerenza di uno sguardo di irrimediabile cupezza, avvezzo alla risata nera, alla perversione comica. E Nymphomaniac si conferma un film così eterodiretto e vorace di tutto ciò che non sia cinema, come scrivevamo a proposito del vol.1, da lasciarsi influenzare di buon grado – si potrebbe dire letteralmente – da tutto quanto si esprima in altre forme d’arte. In questo caso, è il verso di una canzone di Jimi Hendrix, a partire dal quale non è difficile immaginare che von Trier abbia pensato tutto il film: “Hey Joe, where you goin’ with that gun in your hand?”.
Se la visione del regista rimane tanto moralista quanto nichilista, di Nymphomaniac non si dimenticano tante cose, tutte lucenti: su tutte, la luminosità di quel tramonto che ritorna in chiusura, candido suo malgrado in un macrocosmo pieno di zone d’ombra, e il chiarore illuminista e forbito delle digressioni di Seligman, capace di illuminare anche gli angoli più bui di questa tragedia erotica dell’irrazionale in veste non di rado farsesca.
È paradossale, ad ogni modo, che un film così osceno ricorra nel finale, proprio quando tutto si eclissa nei modi che lo spettatore scoprirà, al voto di castità più ancestrale che il cinema sia in grado di offrire (altro che Dogma 95!): lo schermo al nero, il fuori campo del teatro greco. Von Trier, da artista polimorfo e perverso come un bambino freudiano, si permette anche quest’ultima irritante contraddizione, costruita apposta per suscitare spiazzamento e ribrezzo, nasi arricciati e bocche storte in espressioni di disgusto. Ma stavolta, data la pienezza del viaggio intrapreso, quel tutto (e il contrario) di tutto vale addirittura la pena concederglielo.

Davide Eustachio Stanzione

Sezione di riferimento: Film al cinema

Articoli correlati: Nymphomaniac: Vol. I - Un teorema disperato


Scheda tecnica

Titolo originale: Nymphomaniac
Anno: 2013 
Durata: 117’ (versione autorizzata ma non approvata dal regista)
Regia: Lars von Trier
Sceneggiatura: Lars von Trier
Fotografia: Manuel Alberto Claro
Musiche: Kristian Eidnes Andersen
Uscita in Italia: 24 aprile 2014
Attori: Charlotte Gainsbourg, Stacy Martin, Stellan Skarsgård, Christian Slater, Shia LaBeouf, Uma Thurman, Willem Dafoe, Udo Kier, Jamie Bell, Jean-Marc Barr.

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