Dopo quest’emersione da un’oscurità uterina, nel momento in cui la sagoma del suo soccorritore Seligman le si avvicina, ecco che la macchina da presa torna a deviare sugli edifici e sulle tubature, in una specie di slancio asincrono rispetto al centro dell’azione. Non è un caso. Perché il nuovo film di Lars von Trier, che arriva in sala anche in Italia portandosi appresso un codazzo spropositato di polemiche, furbastre campagne marketing e tanto ciarpame, un porno non lo è e non lo vuole essere; non essendo ossessionato dai corpi in quanto tali, è un film pornografico in un modo tutto suo, aulico e non catalogabile.
Non stiamo parlando, di fatto, dell’apatia del clic a profusione alla ricerca di un orgasmo di cartapesta. Proprio no. Per cui, se si cerca quel tipo di cosa, inutile bussare alla porta di Nymphomaniac. Però, esattamente come nel porno, ci sono delle immagini e dei corpi che non dialogano tra loro. Divisi da una natura e da una funzione diverse: le immagini sono qui e ora, i corpi no, simulacri di qualcos’altro da qualche altra parte, deputati al nostro desiderio. Se in un qualsiasi video su Youporn il corpo sta dunque fisicamente dentro quell’immagine ma è altro da sé, proiezione di una fantasia in cui identificarsi assumendo il corpo di un altro (vale a dire di un vicario), nel film di von Trier le immagini servono a (provare a) spiegare il senso di quei corpi fluttuanti e sospesi a mezz’aria, piuttosto che accoglierli al loro interno.
La frattura, però, anche se in forma decisamente diversa, persiste in entrambi i casi. Le immagini di von Trier i corpi li ospitano sì, come un porno può ospitare il proprio attore, ma se ne tengono a debita distanza, altere e lontane rispetto all’indecifrabilità di quel mistero. È attraverso questo processo che Nymphomaniac scarta la dimensione dell’alienazione pornografica classica per raggiungere una sua personale forma di bellezza, decaduta, non ammiccante e non consolatoria, ma disperata. Disperata come solo un teorema dimostrato può esserlo. Perché nel momento in cui fai quadrare tutti i conti, lo abbandoni contemporaneamente all’abbagliante futilità della sua perfezione.
Il film di von Trier cavalca proprio quest’ultima utopia: la volontà di redigere una “bibbia romantica della natura”, nella quale le controversie psichiche del sesso e della sessualità femminile, due rompicapi sommi e ripiegati su se stessi per il danese, possano essere spiegati con Fibonacci, Bach, il ricordo di nobili esempi letterari. È una velleità impossibile a priori e dunque rivelatrice di una struggente fragilità di fondo: in questa tensione verso la decifrazione dell’irrazionalità si innesca una sincerità perfino insperata, per uno come von Trier, che da sempre ci ha abituato, nel bene e nel male, a sgambetti smaliziati, a ritrovarci spiazzati ma anche infastiditi dinanzi alle sue creazioni. Nymphomaniac è, di conseguenza, un film eterodiretto rispetto alla forma linguistica che adotta.
La provocazione più grande, in questo caso, è per il regista de Le Onde del Destino il non aver fatto il cinema col cinema. Il suo, a pensarci bene, è un film impunemente, impudicamente e forse anche meravigliosamente anti-cinematografico. Cosa che fa del chiacchierato Lars un iconoclasta eversivo ancora oggi, anche se ormai privo di gioia dissacrante, se non nelle sue apparizioni pubbliche. È un libro da sfogliare il suo, più che un film da vedere. Allo zoccolo granitico della cinefilia dura e pura questo può dar fastidio (e chi scrive non intende tirarsi fuori dalla mischia, anzi), ma è anche vero che il cinema in questo caso esce dalla porta e rientra dalla finestra. E torna in gioco in modo inaspettato nell’onnicomprensività della sua portata di forma d’espressione totale. Nella natura dicotomica di arte debole ma fortissima, capace di abbracciare l’assolutezza panica degli ecosistemi e degli umani, divini tormenti.
In Nymphomaniac, Lars pare un bimbo che tanto non capirà mai le cose (né tantomeno le donne), e che allora si diverte a giocare intellettualmente con la materia, a plasmarla col morbo melancolico della sua immaginazione depressiva. Von Trier è in questo film un astronauta fallito che il pianeta donna non l’ha trovato, e che quindi si consola arrabattandosi con le illustrazioni scientifiche, empiriche e naturalistiche, lenitive del dolore solo se non fossero accostate all’insensatezza caotica delle pulsioni come invece provvede a fare lui.
Gli inserti del coltissimo Seligman, che è ebreo (una licenza che solo uno come von Trier poteva concedersi, dopo ciò che è successo a Cannes due anni fa), tutti didascalie e sovrimpressioni, sono la scommessa oscena e borderline di uno che col cinema vuole giocare a carte scoperte, interrogando e interrogandosi. Senza più misticismo e rimando di senso all’interno delle immagini, che sono nude, ottuse e meccaniche come l’erotismo della protagonista. Senza, allo stesso tempo, dimensioni successive rispetto a quella immanente, quasi a suggellare un definitivo approccio al marxismo.
Eppure, in fin dei conti, si tratta di immagini disponibili ad aprirsi su mondi ulteriori, spalancandosi alla geometria, alla bellezza dell’armonia, alla sinfonia della matematica. Von Trier la sua protagonista (o quell’insetto che ella è) non la ama e non la disprezza, ma preferisce, da umanista degradato, ambiguo e nichilista qual è, non schiacciarla. Piuttosto (tentare di) capirla, alla larga da qualsiasi pretestuosa accusa di misoginia rivolta nei suoi confronti. Ci prova con quanto di più luminoso e oggi (spesso) impotente esista: la cultura. A tutto ciò, che in parte è provocazione e in parte stringente necessità di un artista che non ha paura di denudarsi, tocca starci. Per evitare, se si vuole - ma non è certo obbligatorio - che tutte queste premesse crollino in un solo colpo. Occorre accogliere, come la protagonista, tutto dentro di sé.
La scelta, meno male, non è solo tra il sesso e l’amore, ma è molto più grande, tutta giocata tra l'accontentarsi di essere animali in gabbia che aspettano di morire e la pretesa di richiedere al tramonto colori più forti.
Davide Eustachio Stanzione
Sezione di riferimento: Film al cinema
Altri articoli di riferimento: Nymphomaniac Vol. II - Cine-Cilicio
Scheda tecnica
Titolo originale: Nymphomaniac
Anno: 2013
Uscita in Italia: 3 aprile 2014
Durata della versione italiana: 110’ (autorizzata ma non approvata dal regista)
Regia: Lars von Trier
Sceneggiatura: Lars von Trier
Fotografia: Manuel Alberto Claro
Musiche: Kristian Eidnes Andersen
Attori: Charlotte Gainsbourg, Stacy Martin, Stellan Skarsgård, Christian Slater, Shia LaBeouf, Uma Thurman