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NOI NON SIAMO COME JAMES BOND - L'imperfezione irrinunciabile

29/4/2013

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Certo cinema, quello vero, con alla base una motivazione, uno sguardo, un’idea impellente cui bisogna dare corpo se si vuole continuare a vivere, non finisce mai di spiazzarti e sorprenderti, di illuminarti e farti sentire vivo. Ecco, Noi non siamo come James Bond è quel cinema lì. Un piccolo grande film miracoloso, umile e potente, il racconto di un’amicizia che si mette a nudo nella sua fragile unicità, nella sua saggia, ostinata innocenza, donando allo spettatore il suo sguardo sul mondo capace di bypassare la malattia con levità. 
Mario Balsamo (il regista) e Guido Gabrielli (l’amico editore) sono reduci da un vissuto travagliato che però non ha scalfito il sorriso abbozzato e lo sguardo occhialuto e tagliente del primo, né tanto meno la vitalità fragorosa e spiazzante del secondo, ironico e candido, filosofico e limpido nelle sue rivelazioni a cuore aperto. La gioia delle piccole cose ora li assale, Guido torna a suonare la chitarra perché “riscoprire l’anatomia della musica è un approfondimento gnoseologico notevole”, un atto superiore di humanitas. Il loro donarsi alla macchina da presa scandisce il film andando a piazzare vari puntelli nel cuore dello spettatore, mentre tutto scorre come una partitura jazz, sorretto o forse ammansito da un montaggio per frammenti qua e là sconnessi, come a voler riprodurre lo smarrimento esistenziale che la malattia genera. È lo spettatore, poi, a dover trovare un equilibrio tra i cocci, a metter ordine in quello che è il racconto di un mood, di uno stato d’animo liminale, tra la non-vita e il prorompente, rassicurante, gioioso ritorno ad essa. 
Senza malinconia a tavolino, senza incursioni ricattatorie: l’unicità avulsa e preziosa di Noi non siamo come James Bond sta proprio nel suo non essere banalmente uggioso ma solo nostalgico, sempre a fior di commozione. Gli occhi di Balsamo si riempiono di lacrime in vari momenti del film, ma mai con furbesca indulgenza, neanche quando si ricorre al particolare del volto focalizzato sugli sguardi dei personaggi, che interloquiscono a un tavolo di ristorante con la Bond Girl invecchiata ma sempre affascinante Daniela Bianchi. Mario osserva suonare Guido, che interpreta i brani storici bondiani di Monty Norman, confeziona un inedito dal titolo assai eloquente (Two Friends) e gli fa notare che non confonde realtà e fiction, lui. 
“La vita è sempre meglio” “Dici eh?” “Sì”. Dialoghi semplici, semplicissimi, ma che vivono di un bagliore avvolgente e ristoratore, confortevole e familiare. Ed è proprio tra fiction e documentario che la messa in scena si articola, tra momenti più documentaristici (come la visita di Mario, che rimanda al migliore episodio del Caro Diario morettiano, Medici) e altri inserti che ibridano meravigliosamente la natura creativa del film, sguazzando a piene mani nella finzione: basti pensare alle sequenze di raccordo in cui Mario e Guido passeggiano nel rigoroso smoking bondiano del loro idolo assoluto, o la scena del litigio - assai emblematica - in cui Guido si adira per l’uso strumentale e indegno che secondo lui Mario sta facendo di suoi dettagli biografici troppo intimi e vergognosi. Una sequenza evidentemente molto scritta, come il poetico finale consumato in una tenda sulla spiaggia o le continue telefonate di Mario a uno Sean Connery latitante, mosse dalla voglia insistente di mettersi in contatto con lui, un modello di indistruttibilità e perfezione, per loro l’unico vero Bond, colui che sa in ogni occasione cosa fare, come agire, cosa dire. 
Questo coacervo di invenzione e documentazione rende il tessuto del film una sorta di laboratorio sperimentale, un’auto-analisi di sincerità disarmante, un’esperienza spirituale di finissima positività come ogni approccio alla malattia dovrebbe essere nel migliore dei mondi possibili (un mondo a cui il cinema, di tanto in tanto, non dovrebbe scordarsi di dare voce, data l’intrinseca natura, sua e delle sue origini). Su quella spiaggia, che è non-luogo in cui perdersi e tornare bambini, Mario e Guido si abbandonano alla magia periferica di un porto franco di sogni (ancora) incontaminati. 
Partendo dallo stratagemma narrativo di un copione legato ad un loro vecchio viaggio a Reykjavík, gli autori di Noi non siamo come James Bond allontanano da noi e da loro stessi il senso di morte, l’incombenza di un vuoto da riempire. Guido ha paura di finire il film, nato come terapia ma nel frattempo divenuto qualcos’altro, assalito da un dilemma interiore che nel loro diario di viaggio (quasi) senza filtri non può non trovare posto. Dubbi su dubbi, umanissimi fin nel midollo, che incanutiscono, rendono pensosi ma non stanchi di vivere. D’altronde, le star e i divi non invecchiano mai; anzi, con l’età ringiovaniscono. Gli uomini, invece, vivono solo delle loro irrinunciabili imperfezioni, delle più radicate, salvifiche debolezze. In fondo, Noi non siamo come James Bond, ma forse è proprio Bond che, come ogni divinità che si rispetti, vorrebbe essere un po’ come noi.  

Davide Eustachio Stanzione

Sezione di riferimento: Film al cinema


Scheda tecnica

Anno: 2012
Regia: Mario Balsamo
Sceneggiatura: Mario Balsamo, Guido Gabrielli
Fotografia: Andrea Foschi
Musiche: Teho Teardo
Durata: 73’
Interpreti principali: Guido Gabrielli, Mario Balsamo, Daniela Bianchi

Uscita: Il 27 aprile al Cinema Oxer di Latina, ospite Carlo Verdone. Il 30 aprile e il 1 maggio proiezioni speciali alla Casa del Cinema di Roma. Il calendario successivamente prevede Pordenone (Cinemazero 8 maggio), Vicenza (Cinema Araceli 9 maggio), Lugano (Cinema Lux dal 9 maggio), Napoli (10 maggio), Trieste (16 maggio), Perugia grazie alla Rete degli Spettatori (21 maggio) e Bologna (Cinema Lumiere, 27 maggio).

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