
A portarla sul grande schermo non poteva che essere Peter Jackson, anche se in un primo momento sembrava che dovesse dirigerla Guillermo del Toro, coinvolto poi nella stesura dello script insieme a Philippa Boyens, Fran Walsh e lo stesso regista neozelandese. Del resto chi avrebbe potuto cimentarsi in questa rischiosissima impresa se non colui che aveva incantato le platee internazionali ai tempi della sua ciclopica impresa di dar vita in maniera realistica e credibile al mondo della Terra di Mezzo descritto da Tolkien ne Il Signore degli Anelli?
La narrazione riprende esattamente laddove si era interrotta ne Lo Hobbit - La desolazione di Smaug, con il drago - minaccioso e infuriato più che mai - in volo verso Pontelagolungo per seminare fuoco, distruzione e morte. Sul suo cammino trova il coraggioso Bard che alla fine riesce a penetrare l’unico punto vulnerabile della sua durissima scorza con una letale freccia nera. Nel frattempo Thorin, riappropriatosi degli enormi tesori custoditi all’interno della Montagna Solitaria, si mostra sempre più avido e insensibile alle richieste dello stesso Bard, giunto alle soglie di Erebor per reclamare una parte delle ricchezze che permettano alla sua gente di ricostruire ciò che Smaug ha incendiato e devastato. Ben presto però a reclamare una parte del tesoro giungono anche gli elfi di Thranduil e i nani guidati da Dain, cugino di Thorin. Pronti a darsi battaglia gli uni contro gli altri dovranno invece vedersela con un’altra armata, la più oscura e temibile di tutte, guidata dallo spietato orco Azog, che minaccia di travolgere e annientare tutti gli abitanti della Terra di Mezzo.
Spiace doverlo ammettere, ma in questa sorta di esalogia tratta dai romanzi di Tolkien, realizzata da Peter Jackson nell’arco di quasi tre lustri, Lo Hobbit - La battaglia delle cinque armate è l’episodio che convince meno, non riuscendo ad aggiungere alcunché all’universo della Terra di Mezzo che abbiamo imparato a conoscere e amare in questi anni. A latitare stavolta è proprio quel senso di meraviglia sapientemente evocato e suscitato dal cineasta neozelandese nelle sue precedenti incursioni nel mondo immaginifico creato dallo scrittore inglese quasi ottant’anni fa.
Ancora una volta Jackson ripropone lo stesso, identico, schema applicato a Il Signore degli Anelli, incentrando l’ultimo atto dello Hobbit su una colossale battaglia che dovrebbe competere in termini di epicità con il leggendario assedio alle porte di Minas Tirith messo in scena in modo magistrale e indimenticabile nel film Il ritorno del Re, ultimo capitolo della precedente trilogia. Purtroppo la lunga ed estenuante battaglia non raggiunge minimamente il pathos e la forza visiva che rendevano epico e memorabile il terzo e ultimo capitolo della passata trilogia, risultando tutt'al più uno sbiadito e logoro déjà vu.
Jackson fa i salti mortali per cercare di non sfigurare al cospetto della sua precedente creatura filmica, ma alla fine non vi riesce; e in fondo, come avrebbe potuto? Se accostiamo le due opere letterarie, che costituiscono l’ossatura delle rispettive saghe cinematografiche, ci accorgiamo subito che Lo Hobbit non poteva gareggiare sullo stesso campo di battaglia de Il Signore degli Anelli, romanzo fantasy di ben altra caratura e voluminosità. Alla luce di tutto ciò si conferma infine quanto mai forzata e dettata esclusivamente da logiche commerciali la scelta di suddividere Lo Hobbit, un romanzo di poco più di trecento pagine, in tre capitoli quando ne sarebbero bastati due (come del resto era stato stabilito in un primo momento).
Chi ha letto il romanzo forse ricorderà che i momenti più riusciti e importanti sono riconducibili all’arrivo dei nani a casa Baggins, all’incredibile gara a suon d’indovinelli tra Gollum e Bilbo, con successivo ritrovamento dell’Unico Anello da parte di quest’ultimo - presenti nel primo film - e a tutta la parte incentrata su Smaug che costituisce il cuore pulsante del secondo episodio, a conti fatti il migliore dei tre. Era dunque arduo, per non dire quasi impossibile, sfornare un ultimo capitolo più spettacolare e coinvolgente dei precedenti.
Si salvano alcune sequenze, come l’incipit in medias res che ci catapulta subito nel cuore dell’azione, con il disperato e impari scontro tra il crudele e terrificante Smaug e Bard, uno dei migliori personaggi della nuova trilogia, ben interpretato da Luke Evans che avrebbe meritato un’uscita di scena meno affrettata (e chissà che la sua parte non venga ampliata nella consueta e immancabile versione estesa del film). Da apprezzare anche la fedeltà del regista alle pagine del libro di Tolkien che descrivono la sorte toccata ad alcuni dei personaggi principali, mentre continua a stonare la presenza dell’elfa Tauriel, impersonata da una Evangeline Lilly non proprio a suo agio nella parte, mai apparsa in alcuna opera del romanziere inglese e creata appositamente in fase di sceneggiatura per dar vita a una forzata sottotrama romantica e implementare le quote rosa. Un po’ sacrificata invece la parte di Bilbo, ben interpretato dal lanciatissimo Martin Freeman, a vantaggio di Thorin, che divenuto Re sotto la Montagna appare sempre più inquieto e in preda a una sorta di maleficio causato dalla bramosia di ricchezze.
Nell’epilogo Peter Jackson si preoccupa principalmente di gettare un ponte con gli accadimenti successivi, già portati sullo schermo nella trilogia dell’Anello, per cercare di creare un legame indissolubile tra le due saghe, in un’operazione che ricorda vagamente, seppur in contesti e scenari diversi, quanto fatto da George Lucas nella seconda trilogia di Star Wars, che come nel caso dello Hobbit costituisce a tutti gli effetti un prequel dei primi tre film. In entrambi i casi si può affermare che il ritorno sul luogo del delitto non è stato certo indolore, anche se ha fruttato lauti incassi al botteghino.
Boris Schumacher
Sezione di riferimento: Film al cinema
Scheda tecnica
Titolo originale: The Hobbit: The Battle of the Five Armies
Anno: 2014
Uscita in Italia: 17 dicembre 2014
Regia: Peter Jackson
Sceneggiatura: Guillermo del Toro, Philippa Boyens, Fran Walsh e Peter Jackson
Fotografia: Andrew Lesnie
Musiche: Howard Shore
Durata: 144'
Attori principali: Martin Freeman, Ian McKellen, Richard Armitage, Evangeline Lilly, Luke Evans, Benedict Cumberbatch