
Questo è un film biografico; impossibile modificare quella che è stata la vita dell’astrofisico Stephen Hawking, geniale scienziato affetto da atrofia muscolare progressiva. Quando ci si confronta con una storia vera, lo scrupolo e il rigore nella trasposizione sono obbligatori, cardini e al tempo stesso barriere alla libertà creativa del regista e dello sceneggiatore. D’altra parte James Marsh, documentarista già vincitore di un Oscar (con Man on Wire), dietro la macchina da presa sa bene come trattare la materia della verità (sullo schermo) e si trova senz’altro a suo agio nella dimensione biografica, al cui servizio si pone con umiltà e coinvolgimento.
Allora cosa rende La teoria del tutto così speciale?
Il film prima di tutto concede il giusto onore alla straordinaria forza di un uomo che non si è mai fatto sconfiggere dalla malattia e che ha portato avanti, con una determinazione fuori dal comune, la ricerca verso la dimostrazione delle proprie teorie. Stephen Hawking (Eddie Redmayne) è un giovane studente di dottorato a Cambridge, e ha da poco una bella relazione d’amore con Jane (Felicity Jones), appassionata di poesia spagnola medievale, quando scopre la propria malattia. Questo è lo snodo iniziale e cruciale, quello attorno al quale si costruisce l’intera narrazione. È un racconto intimo e umano di difficoltà, perseveranza e trionfo. È l’esaltazione della grandezza dell’essere umano che non smette mai di lottare, di credere, di vivere. Stephen diventa ciò cui ha sempre aspirato. Un astrofisico riconosciuto e rispettato.
La teoria del tutto è anche il commovente ritratto di una coppia attraversata da eventi drammatici e ineluttabili. Questo senso di inesorabilità è ciò che, ci dimostra la storia, possiamo e dobbiamo combattere. Quello di Jane Hawking, sullo sfondo ma sempre presente, è un personaggio grandioso e complesso che vale la pena di ricordare, una persona che affronta la responsabilità, la gioia e il dolore delle proprie scelte di vita, moglie amorevole e madre attenta. Ma, soprattutto, è una donna che sembra progressivamente perdere la propria identità per assimilare quella del marito, essere avvolta dalla sua ombra, dalla sua debordante personalità. E così accade anche alla dolce Felicity Jones, la cui delicata e vibrante performance viene inevitabilmente fagocitata dalla prova splendida (ma non inaspettata, se si conosce il suo background anche teatrale) di Eddie Redmayne; Jane Hawking, una spalla per necessità ma che merita, come tutti, di diventare protagonista del proprio universo.
Jane e Stephen Hawking non pretendono di essere il modello di nulla, se non di se stessi. Una coppia unita da un affetto profondo, dal rispetto e dalla cura dell’altro, della sua salvezza, della sua felicità. Simbiosi e consapevolezza. L’interdipendenza tra i due è nell’interdipendenza delle interpretazioni, il modo in cui gli attori si rapportano l’uno all’altra, in un costante e sempre più necessario scambio di sguardi. Anche la fotografia sottolinea, dall’inizio alla fine e sempre con maggiore insistenza, il contrasto e la distanza tra i colori degli Hawking, compagni forse non fedeli ma devoti l’uno all’altra nell’arco di una esistenza impensabile, non ordinaria e magnifica, che trova un senso proprio nell’intellegibile.
Impossibile discutere La teoria del tutto senza affrontare la stretta relazione del film con la scienza di cui, pur in modo semplice (ma non superficiale), intende occuparsi. L'opera ruota attorno al concetto, alla filosofia, ma anche all’atto della creazione. L’idea. Il guizzo. La bramosa ricerca di quella teoria che possa spiegare il lampo nella mente, dare una risposta a una domanda che probabilmente rimarrà eternamente insoluta. Il genio. L’aspetto più intrigante de La teoria del tutto è la capacità di descrivere quella fiaccola, la naturale tensione verso il mistero. Cosa voglia dire essere uno scienziato, quale totalizzante devozione si abbia verso la ricerca.
Questa è una storia che discute il concetto di Fede, dentro di noi. Dove la scienza si ferma, comincia il mistero della vita, e la discussione sull’esistenza di Dio. La cosmologia, quando un particolare può spiegare l’intero universo. E la singolarità, punto cardine per la nostra concezione di persona. L’unicità, ciò che ci fa, che ci distingue, ci definisce e definisce il nostro valore.
È il mistero della creazione, se si vuole. La teoria del tutto è un grande film pedagogico che ci mostra quanto Howard Gardner avesse ragione quando parlava di intelligenze multiple. Stephen Hawking e le sue straordinarie intuizioni, l’attrazione per la ricerca, la disciplina, lo studio. La malattia è la materia entro la quale lo scienziato è costretto a muoversi, ma da essa non è limitato. La mente, lo spirito, quello è inarrestabile.
Nessuna barriera, allora. Non ci sono limiti oltre quelli che noi stessi ci poniamo, oltre quelli che la nostra mente ci suggerisce; il corpo altro non è che un involucro, e il nostro genio, la “creatività” (come direbbe John Dewey), è ciò che ci rende tutti speciali, irripetibili. Siamo diversi, siamo unici. Dobbiamo solo trovare la nostra dimensione. Con l’altro, nell’altro, ma anche nel mondo. La vita. Il tempo. Lo spazio. La creazione.
Francesca Borrione
Sezione di riferimento: Film al cinema
Scheda tecnica
Titolo originale: The Theory of Everything
Regia: James Marsh
Sceneggiatura: Anthony McCarten (dal libro di Jane Hawking)
Interpreti: Eddie Redmayne, Felicity Jones, Emily Watson, David Thewlis, Charlie Cox
Fotografia: Benoît Delhomme
Musiche: Jóhann Jóhannsson
Durata: 123'
Anno: 2014
Uscita italiana: 15 gennaio 2015