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LA FAMIGLIA BÉLIER - La musica e il silenzio

30/3/2015

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La formula vincente dell’ultimo trionfale incasso d’Oltralpe si lascia decifrare alla prima sequenza. Nella cucina soleggiata e multi-accessoriata la famiglia Bélier inizia una comune giornata di scuola e lavoro. Posate e piatti tintinnano sonoramente: confortanti segni della vita amena della campagna francese. La figlia Paula, unico membro udente della famiglia, salta in sella alla sua bici e inforca le cuffie. La camera le sta dietro nella corsa sulle stradine dissestate e in discesa mentre “That’s not my name” dei Ting Things accompagna i titoli di testa. I colori saturi della natura, la vita di un’adolescente tuttofare, la freschezza di una regia furbissima, il pop, il candore del latte e, soprattutto, l’irrompere di una diversità vissuta euforicamente: tutte componenti sparse di una storia pronta a bissare col passaparola il successo avuto in patria.

Il nucleo emotivo del film sta tutto nelle relazioni dirompenti di questa famiglia di sordomuti, nei loro silenzi soltanto apparenti. I Bélier vivono vorticosamente la loro diversità, ai più disfunzionale, dando continua prova agli spettatori delle sue difficoltà, ma anche dei suoi segreti vantaggi. La sordità impone una lotta perenne col mondo (vedi il sindaco sornione che tenta di farsi capire giusto per raccogliere due o tre consensi in più) ma in casa, nell’inviolato nucleo bucolico, esige una fisicità più presente e viva. I dettagli sul sesso sono ben temperati nel racconto, ma è indubbio che il film vive i suoi momenti più esilaranti durante questi momenti selvaggi, scorretti quanto basta. La madre che agita entusiasta i primi pantaloni mestruati della figlia o il secondogenito che va in shock per allergia al lattice del profilattico ne sono la prova. Grazie al lavoro degli attori (su tutti, i genitori interpretati da François Damiens e Karin Viard), si assiste al gioco affiatato di una famiglia dove non esistono segreti, che al momento del ciak sembra lasciarsi liberamente andare ai litigi e all’amor fou come alle piccole oscenità domestiche.
Ma l’espediente che fa ingranare il film è tutto nelle calcolate scelte musicali. Parole e note del repertorio saccheggiato di Michel Sardou intervengono nei momenti di acme sentimentale a rilassare la storia. Paula abbandona le spalle e rivela al mondo la voce che credeva di non avere. Incoraggiata dal direttore del coro, impara a spiccare il volo nel canto (“Comprenez bien: je vole”, recita il testo di Sardou). E il film prende note e toni da musicarello, giocando il tutto e per tutto nelle rispondenze tra canzoni e vissuto. “Le monde est plus marrant, c’est moins dèsespèrant en chantant”. Nelle canzoni ascoltate al piano, intonate nel coro o provate al pianoforte si confrontano i personaggi intorno a Paula: su tutti il maestro di canto che si diverte a fare il rude (Èric Elmosnino) e il ragazzo belloccio inquieto il giusto per scatenare nella ragazza le intemperie di percorso (Ilian Bergala). Ma il vero maître de musique è il regista Eric Lartigau, che dirige choristes principali e comprimari con invisibile equilibrio, mettendo a fuoco tutto ciò che serve a una visione in cui si deve stare comodi e stravaccati, con i nervi ben scoperti alle emozioni forti, come accade (unanimemente, per forza) nel finale, impossibile da sostenere tanto è vorace e liberatorio l’abbraccio dei quattro.
In mezzo agli umori e alla vita arricchita dei Bélier tutto è possibile. Non costa niente neanche provare a fare la rivoluzione, se la si fa insieme e “en chantant”. Il padre sfida alle elezioni il sindaco uscente per provare ad aprire un varco popolare e rivendicare la terra che sta per essere occupata. Questo è il punto più sfilacciato e disperso nell’economia della storia, ma è importante accorgersi che è da questo momento che l’eroina inizia a fare i conti con le proprie frustrazioni: insofferente all’iniziativa paterna, rischia di mandare a monte la sua intervista in Tv. La politica, avvicinandola con alti e bassi alla musica, le consente di avvertire, per la prima volta, una cruciale estraneità alle cause territoriali, alle mucche al pascolo, agli incassi stentati del commercio di formaggi. Sfidando la diffidenza dei genitori, già incapaci al principio di accettare una figlia non sordomuta (come le confesserà la madre in un bel momento di resa dei conti), Paula traduce in LIS i versi di “Je vole” durante l’audizione parigina, permettendo loro di ascoltare ciò che non riescono a sentire. Conciliata e approvata, è libera di spiccare “il volo” dalla terra natia. Lartigau la “congela” con i capelli al vento sullo schermo, in un fermo immagine che richiama, ribaltandone il senso, quello su Antoine Doinel ne I quattrocento colpi.
Ispirato al libro di Véronique Poulain Les Mots qu'on ne me dit pas, il film è pensato per affermare al grande pubblico volto e talento vocale di Louane Emera (premio César come miglior attrice emergente dell'anno), concorrente dell’edizione francese di The Voice, sedicenne étoile televisiva che interpreta Paula con la disinvoltura richiesta. Ammutolito il resto della famiglia, il film fa spiccare la sua voce, che emoziona e torna a risuonarci in testa anche dopo la proiezione. La famiglia Bélier funzionerebbe alla grande, tra l’altro, come lungo preserale del prossimo talent, per invitare giovanotti più o meno inquieti a saltare gli steccati dell’amore dei parents e accorrere alle prime file delle audizioni. Faceva scuola, il vecchio Sardou: “Mes chers parents, je pars. Je vous aime mais je pars”. 

Matteo Mele

Sezione di riferimento: Film al cinema


Scheda tecnica  

Titolo originale: La famille Bélier
Anno: 2014
Regia: Èric Lartigau
Durata: 105’
Interpreti: Louane Emera, Karin Viard, François Damiens, Eric Elmosnino, Ilian Bergala, Luca Gelberg
Sceneggiatura: Victoria Bedos, Thomas Bidegain, Stanislas Carrè de Malberg, Eric Lartigau
Musiche: Evgueni Galperine, Sacha Galperine
Uscita italiana: 26 marzo 2015

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